Omelia del Venerdì santo

Venerdì Santo

Care sorelle e cari fratelli,


abbiamo iniziato questa santa Liturgia prostrati a terra per imitare Gesù nell’orto degli ulivi, prostrato per l’angoscia di morte. Come restare insensibili davanti ad uno che ci ama sino alla morte? “Noi tutti – scrive Isaia – eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada… Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… E’ stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità”. Questa è la ragione di quella prostrazione. E come se non bastasse, “si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello”. Gesù è l’agnello che ha preso su di sé i peccati del mondo, che ha ingaggiato la lotta contro il male, anche a costo della vita. Gesù non voleva morire: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice”, disse nell’orto. E quale fosse la volontà di Dio, Gesù lo sapeva bene; lo disse anche: “La volontà del Padre mio è che io non perda nessuno di quelli che mi hai dato”. La volontà di Dio era evitare che il male ci travolgesse, che la morte ci inghiottisse. Gesù si è lasciato schiacciare lui dalla morte per evitare che travolgesse noi. Sì, Gesù non voleva perderci e ha lottato fino alla fine perché nessuno fosse rapito dall’abisso della morte. Per questo la passione continua. Continua in questi giorni nei numerosi orti degli ulivi sparsi nel mondo ove la morte semina angoscia, come in Irak; continua nei tanti paesi di questo mondo ove milioni di profughi non trovano pace; continua in quei malati lasciati soli nell’agonia; continua in quegli anziani abbandonati nei cronicari dimenticati da tutti; continua ovunque si suda sangue per il dolore e la disperazione.


Il Vangelo della passione che oggi abbiamo ascoltato inizia proprio nell’orto degli ulivi. Le parole che Gesù rivolge alle guardie esprimono bene la sua decisione di non perdere nessuno di coloro che il Padre gli aveva affidato. Quando arrivano i soldati Gesù va loro incontro; non solo non fugge, prende l’iniziativa: “Chi cercate?” Alla loro risposta: “Gesù, il nazareno!” replica: “Se cercate me, lasciate stare costoro”. Non vuole che i suoi siano colpiti e che soccombano al male. Ha passato tutta la vita a raccogliere i dispersi, a guarire i malati, ad annunciare un regno di pace e non di violenza, di amore e non di odio. Ed è proprio questo impegno che motiva la sua condanna a morte. Da dove nasce l’opposizione contro di lui? Dal fatto che era misericordioso, troppo; dal suo amore per tutti, persino per i nemici. Frequentava troppo i peccatori e i pubblicani. E poi perdonava tutti, e facilmente. Se si fosse fermato a Nazareth avrebbe superato i 33 anni; oppure, se avesse abbassato le esigenze del Vangelo, nessuno gli avrebbe detto nulla; e se anche avesse tralasciato quella caparbietà nel difendere i deboli, nessuno avrebbe alzato le mani contro. Insomma, bastava pensare un po’ più a se stesso e un po’ meno agli altri e certamente non sarebbe finito sulla croce. Pietro fece così: fuggì come tutti, poi ritornò sui suoi passi, ma all’interrogatorio incalzante della serva negò persino di conoscerlo. Con una frasetta di diniego si salvò.


Gesù, al contrario, non rinnegò né il Vangelo, né Pietro, né gli altri. Ad un certo momento gli bastava poco per salvarsi. Pilato era convinto della sua innocenza, e gli chiese solo qualche chiarimento. Ma Gesù tacque. “Non mi parli? – chiese Pilato – Non sai che ho il potere di metterti in croce?” Pietro parlò e si salvò. Gesù tacque, non voleva perdere nessuno di quelli che gli erano stati affidati, e fu crocifisso. Anche noi siamo tra coloro che il Padre ha affidato alle sue mani. Egli ha preso su di sé il nostro peccato, le nostre croci, perché noi tutti fossimo sollevati. Ecco perché oggi la croce entra solennemente in mezzo a noi e noi ci inginocchieremo davanti ad essa e la baceremo. La croce per noi non è più maledizione, ma Vangelo, ossia fonte di una nuova vita: “Ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga (Tt 2, 14). Su quella croce è stata sconfitta la legge, sino ad allora irresistibile, dell’amore per se stessi. Questa legge è stata scardinata da colui che ha vissuto per gli altri sino a morire sulla croce. Gesù ha tolto agli uomini la paura di servire, la paura di essere solidali, la paura di non vivere solo per sé. Con la croce siamo stati liberati dalla schiavitù di noi stessi, del nostro io, per allargare le mani e il cuore sino ai confini della terra.


Questa santa Liturgia, non a caso, è segnata in modo del tutto particolare da una lunga preghiera universale; è come allargare le braccia della croce sino ai confini della terra per far sentire a tutti il calore e la tenerezza dell’amore di Dio che tutto supera, tutto copre, tutto perdona, tutto salva. Care sorelle e cari fratelli, allarghiamo il nostro cuore assieme a quello di Gesù e preghiamo per il mondo intero.