Giornata di riflessione ebraico-cristiana

Giornata di riflessione ebraico-cristiana


Nel 1990 la Conferenza Episcopale Italiana ha dato inizio alla celebrazione, il 17 gennaio, della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, posta a preludio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si tiene nei giorni immediatamente seguenti dal 18 al 25 gennaio. In Europa altre Conferenze Episcopali o Diocesi già da tempo attuano analoghe iniziative, in Austria, Francia, Polonia e Svizzera, a volte in collaborazione con altre Chiese e comunità ecclesiali e con Autorità e Comunità ebraiche. Lo sviluppo del dialogo ebraico-cristiano, intensamente promosso sotto il pontificato di papa Giovanni Paolo II, sta particolarmente a cuore a papa Benedetto XVI, che ne ha raccomandato a più riprese la promozione nei frequenti incontri con i Rabbini Capo d’Israele, di Roma, e con Autorità ed Organizzazioni ebraiche incontrate in varie parti del mondo.


 


         La fondamentale prospettiva ecclesiologica ed ecumenica che caratterizza questa Giornata si motiva a partire dall’affermazione del Concilio Vaticano II: «Scrutando il mistero della Chiesa questo Sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo» (Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, n. 4, 28 ottobre 1965). Sempre il Concilio ricorda che «gli ebrei, in grazia dei Padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento» (ibid., cfr. Romani 11, 28-29; Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 16).


 


         Dal 2005 quale tema generale della Giornata si è iniziato un programma di riflessione decennale che medita sulle “Dieci Parole” o Decalogo, rivelate a Mosè al Sinai. Le “Dieci Parole” sono considerate come un’unica espressione da parte del Signore Dio: «Tutti i dieci comandamenti il Santo Benedetto li pronunciò con una sola emissione di voce» (Rashi a Esodo 20, 1: Tutte queste parole). Il Comandamento che si pone come “Terzo” nell’ordine tradizionale seguito sia da ebrei, che da cristiani ortodossi e protestanti, suona:


«Non pronunziare il nome del Signore Dio tuo invano.


Poiché il Signore non lascerà impunito chi avrà pronunciato il Suo nome invano»


(Esodo 20, 7-8)


Ad esso corrisponde, nell’ordine, quello che la tradizione sia cattolica da sant’Agostino in poi, che quella luterana, denominano il “Secondo” Comandamento.


Il Comandamento vieta l’uso sconsiderato del nome di Dio per fini falsi o superficiali. Conseguentemente afferma l’ineffabilità della maestà di Dio e la necessità per l’ebreo, in ogni momento della propria vita, dell’osservanza delle miztvot, con amore e timore. L’amore per Dio, in una prospettiva religiosa molto intensa, può giungere per l’ebreo, ove risulti necessaria tale testimonianza, sino al sacrificio della propria vita, (“Qiddush ha-Shem – Santificazione del Nome”).


Lo scopo di tale testimonianza è glorificare nel mondo il santo Nome. In tal modo, il Comandamento rivela all’uomo tutta la sua ricchezza, che ha i suo momento più alto nella proclamazione dell’universalità della santità e della santità dell’Eterno.


 


Rav Giuseppe Laras                                                                   


Mons. Vincenzo Paglia