Funerale di don Reginelli
Care sorelle e cari fratelli,
oggi, giorno del Signore, abbiamo accolto in questa cattedrale don Umberto Reginelli. Dopo aver sostato nella chiesa di San Giovannino, dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita sacerdotale assieme a don Fernando, don Umberto ha varcato per l’ultima volta la soglia di questa cattedrale di cui è stato canonico e che tante volte lo ha visto entrare per la preghiera e che per lunghi anni sentito come la sua casa. Oggi è tornato qui, ultima sponda della sua vita terrena, per compiere il tratto finale che lo separa dal cielo. Il Vangelo del Battesimo di Gesù sembra descrivere questo definitivo battesimo di don Reginelli che lo porta ad immergersi nell’amore pieno del Signore che vedrà faccia a faccia. Ed è proprio il Signore ad aprirgli i cieli e a venirgli incontro per accoglierlo nel regno che ha preparato per i suoi servi, come Gesù stesso disse ai suoi discepoli mentre anche lui stava per lasciarli per andare al Padre: “Non sia turbato il vostro cuore… io vado a prepararvi un posto…perché siate anche voi dove sono io”(Gv 14,1-3).
Don Umberto, per tutta la sua vita ha servito il Signore. E’ stato scelto da Dio e consacrato per essere al servizio Suo e della Chiesa. Le parole del profeta Isaia sul servo di Yahweh sono vere anche per lui: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi sono compiaciuto. Ho posto il mio spirito su di lui”. Sì, ecco il servo sul quale il Signore si è compiaciuto. La vita di don Umberto è stata segnata per intero dal ministero sacerdozio che egli ha vissuto spendendolo per il servizio del Signore in questa Chiesa diocesana che egli ha amato e servito. Me lo diceva spesso in questi ultimi tempi della malattia. E voi tutti lo sapete molto meglio di me. Lo ricorda bene mons. Gualdrini che gli è stato vicino per tanti anni e lo ricordate anche voi cari sacerdoti, soprattutto quelli tra voi che lo hanno visto nel suo servizio al seminario, prima come vicerettore e rettore, e poi come economo e professore. Qualcuno mi raccontava il suo generoso impegno negli anni attorno alla guerra quando era necessario provvedere al nutrimento per i seminaristi che scarseggiava. Altri tra voi lo ricordano come parroco a San Faustino, altri ancora come cappellano della chiesina della Madonna di Lourdes ove ha curato con grande attenzione l’adorazione eucaristica perpetua. E’ stato un sacerdote esemplare nella pietà. Lo ricordano anche le donne dell’Azione Cattolica che lo hanno avuto come assistente spirituale, e i malati dell’ospedale di Narni che visitava quand’era cappellano. E tanti, davvero tanti altri, lo ricordano con affetto e riconoscenza avendo potuto sperimentare con lui la grazia del sacramento della riconciliazione o la consolazione della direzione spirituale. Lo ricordo anch’io negli ultimi anni mentre nella chiesa di san Giovannino era sempre disponibile per le confessioni e comunque per accogliere ed ascoltare chiunque si presentava.
Era un prete dalla personalità schiva e riservata. Le parole di Isaia sul “servo” si possono applicare anche a lui: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce”. Don Umberto non ha certo né gridato né alzato il tono nelle piazze. Al contrario, anche nel tratto era riservato. Ma questo non nascondeva quella intelligenza viva e acuta che lo ha caratterizzato sino alla fine. Non era un prete dalla passione per una vita pubblica. La sua vita non è stata movimentata sebbene abbia esercitato molti servizi. In ogni caso non stata un’esistenza banale o superficiale. Non smetteva di leggere e di aggiornarsi, mostrando così uno spiccato senso della sua responsabilità di sacerdote dedicato alla salvezza delle anime. Anche nell’ultimo periodo, quando la malattia lo aveva indebolito di più, ha conservato la sua arguzia, frutto di un paziente e lungo lavoro su se stesso. In effetti, era severo con se stesso e con gli altri. E proprio tale atteggiamento rigoroso lo portava ad essere esigente. Alcuni gli facevano notare la sua severità, ma egli la giustificava con la preoccupazione, direi tutta sacerdotale, della salvezza delle anime. Davvero la “salus animarum, prima lex” lo ha segnato profondamente. Diceva spesso: “Non voglio essere responsabile che qualcuno non vada in paradiso”. Ma la sua severità si accompagnava con la sapienza sacerdotale. Per riprendere il testo di Isaia si potrebbe dire che non ha spezzato la canna incrinata e non ha spento lo stoppino dalla fiamma smorta.
E credo, care sorelle e cari fratelli, che quei tanti credenti, piccoli e grandi, di varie generazioni, che don Umberto ha seguito spiritualmente, quelli che ha battezzato, le innumerevoli persone che ha confessato e ha nutrito con l’Eucarestia, quelli che ha consegnato nelle mani di Dio al momento della morte, tutti costoro – e sono tanti! – oggi si accalcano alla porta del cielo, come noi ci raccogliamo in questa cattedrale, per fargli festa assieme al Signore al suo arrivo in paradiso. Essi sono la sua vera corona di gloria. Don Umberto, come del resto ogni prete, ogni pastore, non entra da solo nel cielo: è sempre accompagnato in terra ed accolto nel cielo da tutti coloro per i quali è stato ministro della salvezza.
Per tutti questi amici del cielo – ed anche per noi – risuona oggi quella stessa voce che si udì dal cielo in quel giorno del battesimo di Gesù al Giordano: “Questi è il figlio mio, l’amato”. Il Signore ha amato don Umberto. L’ha amato sin dalla nascita a Collescipoli nel 1916. Lo ha quindi affidato alle cure dei genitori, che ora lo aspettano nel cielo per riabbracciarlo, e all’affetto dei familiari, della nipote e di coloro che gli vogliono bene. Lo ha poi affidato alla nostra chiesa diocesana scegliendolo come suo sacerdote e lo ha accompagnato con amore lungo i suoi anni di ministero, quelli passati qui a Narni, a Terni e poi a Collevalenza; ringrazio Fabrizio che lo ha assistito sino all’ultima ora. Non è mancata la sofferenza in questi ultimi tempi. E la sento scendere nel profondo del mio cuore. Ho visto anche il suo sollievo quando riceveva le nostre visite, fino all’ultima fattagli da don Antonio e don Zanzotti nel pomeriggio di venerdì poche ore prima della sua morte. Quando l’ho visitato l’ultima volta, mentre era ricoverato all’ospedale di Terni, mi disse che era pronto per recarsi dal Signore.
Avremmo voluto che restasse ancora con noi. Ma eccoci davanti al mistero della morte di un fratello, di un amico, con il dolore per la separazione da lui. La nostra preghiera di oggi, giorno della risurrezione di Gesù, è sostenuta dalla certezza che la morte comunque non ci separa. E resteremo uniti a lui nell’amore di Dio. Questa santa liturgia è per lui la sua Messa definitiva: inizia qui sulla terra e lo porta nel cielo. Così consegniamo nelle mani di Dio questo nostro fratello. Sappiamo che sono mani più forti della morte. Don Umberto, da parte sua, stringe tra le sue mani la corona del rosario donatami dal Papa che gli avevo portato ultimamente. E’ un modo per esprimere il legame che Maria, la madre di Gesù, ha per lui. Ella, che ben conosce il cuore e la vita dei sacerdoti, lo accompagni al Signore. Siano le sue mani di madre a consegnare questo figlio al Padre. E tu, Signore, che lo hai tanto amato da chiamarlo al ministero sacerdotale, accoglilo tra le tue braccia, sollevalo dall’ombra della morte e conducilo nella santa dimora del cielo, certi o Padre che anche in lui hai posto il tuo compiacimento.