Giornata del Malato

VII domenica del Tempo Ordinario

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci porta a Cafarnao, nella casa di Pietro e di Andrea, che Gesù aveva scelto come sua abitazione. C’era una strana euforia in città: giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, in tanti si erano diretti verso quella casa. Nei loro volti si leggeva la voglia di star bene e di essere finalmente felici. Anche se solo un gruppo riescì ad entrare, il clima era comunque di festa. La presenza di Gesù allarga sempre il cuore alla speranza, crea serenità e gioia. Sembra che quelal gente comprendesse bene le parole del profeta: “Non ricordate più le cose passate!… Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”(Is 43, 18-19). Quelle persone si erano accorte che stava accadendo qualcosa di nuovo con quel giovane profeta. Per questo accorrevano a lui.


Care sorelle e cari fratelli, vorrei immaginare oggi questa cattedrale come quella casa di Cafarnao. Anche noi siamo accorsi qui. Vediamo infatti sorgere cose nuove. Non mi riferisco ovviamente ai lavori di risistemazione della cattedrale. Parlo del Vangelo che qui ci viene annunciato, offerto, spiegato. E’ una parola forte che guarisce e che cambia. E’ una parola che penetra nel profondo delle nostre persone e ci fa alzare anche dalla paralisi dell’egocentrismo che ci tiene bloccati ciascuno nel proprio piccolo lettuccio. Oggi simo venuti qui. E, in certo modo, si realizza anche per noi quel che abbiamo ascoltato. Siamo venuti nella casa ove Gesù si trova e troviamo quel paralitico, quel malato posto al centro della scena. Il Vangelo ci dice che quel paralitico dovette essere calato dal tetto, tanto era l’affollamento. Cosa vuol dire queta scena? Quel paralitico non sarebbe potuto arrivare se non avesse avuto quegli amici premurosi. Insomma, i malati hanno bisogno di amici, di veri amici. Così erano quel gruppetto di persone. Non riuscendo ad entrare dalla porta si arrampicarono persino sul tetto da dove calarono quel paralitico al centro della casa e metterlo davanti a Gesù. L’amore non conosce ostacoli; fa trovare strade anche le più impensate; nulla ferma l’amore! L’amore è irresistibile; è più forte della morte. Quante volte invece noi siamo rassegnati e lasciamo soli i malati, abbandonandoli al loro destino. Il verità, non è il destino ad essere freddo. Fredda è solo la nostra pigrizia, il nostro egocentrismo.


Diverso è quando stiamo davanti al Signore. Quel malato divenne il centro di tutta la scena. Gesù, appena lo vide, infatti, lo accolse e gli disse: “figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Sono parole di perdono, ossia di un’accoglienza che tocca le radici della vita. L’invidia, al contrario, acceca i realisti, gli egocentrici, i rassegnati, i pigri, come erano alcuni dei presenti. Tra loro c’era chi pensava che quell’uomo aveva bisogno di salute, non di perdono, di medicine non di parole, di tecnica non di amore. No, care sorelle e fratelli, quell’uomo aveva bisogno anche di perdono; potremmo dire: anche lui ha un cuore, anche lui ha un’anima. Cosa voglio dire? Che quel paralatico, quel malato, non è solo caso sanitario da curare o un caso sociale da risolvere; è un fratello, è una sorella da accogliere e da amare fino in fondo. Parafrasando un’affermazione evangelica si potrebbe dire: non di solo medicine vivono i malati, ma anche di amore. Sì, i malati hanno bisogno di affetto e di compagnia. Gli scribi, quelli di ieri e quelli di oggi, attenti solo a se stessi senza alcuna preoccupazione per gli altri, si scandalizzano di una misericordia così larga. Essi accettano anche che si dia qualcosa a quel malato, persino la guarigione, ma non il perdono inteso in senso di guarigione profonda. Insomma, i poveri, i malati, vanno aiutati, ma non messi a tavola con noi, non concepiti e trattati come membri a pieno titolo della mia famiglia.


I cuori gretti non riescono a concepire questa misericordia senza limiti. Gesù, invece, che ama senza confini, non getta una medicina a quel malato e poi va via; si commuove e lo guarisce nel cuore e nel corpo; e, al perdono, aggiunge la guarigione: “ti ordino – dice al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua”. La parola di Gesù compie il miracolo di donare la guarigione totale a quel malato reintegrandolo nella sua piena dignità di fratello. Quel povero aveva bisogno, come ciascuno di noi, di perdono e di guarigione. Insomma, non è vero che “quando c’è la salute, c’è tutto”. No, abbiamo bisogno di amore, di fraternità. Cari amici medici e operatori sanitari, questa pagina evangelica aiuta a scoprire la ricchezza dell’amore e dell’attenzione anche nel vostro lavoro quotidiano, sia in ospedale che altrove. E’ significativo che Gesù, a differenza di altre situazione, questa volta compie il miracolo per la fede degli amici di quel malato, non per la fede del malato stesso. Cosa vuol dire? Che la vostra amicizia con il malato (ma anche la nostra, perché tutti in fondo siamo medici gli degli altri) è importante quanto la cura medica. Sì, l’amicizia supplisce a quella settorializzazione della scienza che spesso costringe a fisssare lo sguardo solo un particolare aspetto della persona. L’amicizia si ha con il malato non con una parte. E voi stessi sapete quanto sia decisivo il rapporto amicale e fiducioso tra il medico e il malato.

Il Vangelo ci insegna che la vita di tutti, la nostra e quella dei deboli, quella dei medici e quella dei malati, sarà migliore se l’amicizia guiderà le nostre azioni. Si tratta di guardare i malati, e i poveri, come nostri parenti. Questo è il vero cambiamento di cui abbiamo bisogno. Gesù usa il termine “fratello” per indicare sia i discepoli che i poveri: è a dire che c’è un legame inscindibile tra sua Chiesa e poveri, tra la Chiesa e i malati. E se poi malato e povero coincidono ci è chiesto un supplemento di amore. Sono lieto dell’ambulatorio medico che sta sorgendo nei locali della Caritas o degli aiuti che vengono dati per i paesi poveri. Quando sorgono cose come queste, anche noi come quella gente di Cafarnao, possiamo dire: “non abbiamo mai visto nulla di simile”. Oggi, il mondo ha bisogno di vedere cose come queste, ha bisogno di vedere che i poveri e i malati sono messi al centro delle nostre preoccupazioni perché siano risanati nel cuore e nel corpo.