Presentazione del libro “Scritti in onore di Pietro Borzomati”
Non avrei mai immaginato negli anni Settanta, quando per la prima volta incontrai Pietro Borzomati – ricordo che eravamo in un convegno di storia sociale e religiosa che si teneva a Maratea, quel Sud dal quale Pietro viene e del quale, oltre che studioso, è anche testimone – ebbene, mai avrei pensato di partecipare alla presentazione di questo volume in suo onore che viene come a coronare il suo impegno di studioso. E tanto meno avrei pensato di farlo come vescovo, come suo vescovo. Un aspetto, quest’ultimo, che non posso ovviamente tacere, anche perché fu tra i motivi per cui Terni mi divenne fin dall’inizio più familiare. Queste mie brevi parole saranno pertanto segnate dal clima di amicizia che mi lega a Pietro Borzomati.
I tanti anni di amicizia che mi legano a lui sono stati certamente segnati dal comune impegno di studiosi di storia religiosa. Per lo meno fu così all’inizio. Erano i primi passi di quell’approccio storiografico italiano che indagava la dimensione religiosa intrecciarsi con la storia dei paesi, delle città, insomma con la vita della gente. Ci trovavamo dentro quella prospettiva di ricerca storica, iniziata dal professor Gabriele De Rosa, che metteva in stretto rapporto la vita religiosa con la vita sociale. Fu nel 1972 che si mise a punto la pubblicazione della rivista “Ricerche di Storia sociale e religiosa” dopo un decennio almeno di ricerche condotte sia al Nord che al Sud, negli archivi ecclesiastici (visite pastorali e libri parrocchiali), in quelli delle organizzazioni cattoliche, delle confraternite, e così oltre. Fu anche importante la comparazione tra il cattolicesimo del Nord e il cattolicesimo meridionale come, appunto, appariva dallo scavo archivistico. Non mi soffermo su questo per ribadire che sempre più emergeva l’influsso profondo, sebbene fortemente differenziato, dell’esperienza della fede nella vicenda storica italiana.
De Rosa ricorda quegli anni, e soprattutto quel metodo, con queste parole: “Siamo partiti indubbiamente da un desiderio di immergerci, rubo l’espressione nientemeno a Nietzsche, in quella che egli chiamava la storia antiquaria, e che è la storia degli empirici, del quotidiano sentito e sperimentato secondo una dimensione del tempo e della vita da ricostruire attentamente con la forza e il gusto appunto del vissuto, di ciò che appartiene a uno spazio che non è solo fisico, ma disegnato insieme dal mercato, dalla mentalità e dalla pietà”. Si trattava di un indirizzo che si differenziava dall’approccio giuridico-sociologico praticato ad esempio in Francia da Le Bras che peraltro aveva portato una linfa nuova di grande efficacia nella storia del fatto religioso. Nelle ricerche praticate da questo nutrito e variegato gruppo di studiosi, la pietà, la pratica religiosa, le connessioni interdisciplinari, la sociabilità erano, più che categorie di ricerca, una riserva incredibile di domande per un’indagine che, ripeto, fin da principio si fondava sullo scavo archivistico e su quel tipo di analisi storica che legava il religioso vissuto con i movimenti della società. Credo siano sufficienti anche solo questi brevi cenni per intuire l’ambiente storiografico nel quale incontrai Pietro Borzomati il quale, peraltro, aveva rapporti già consolidati con il suo maestro Massimo Petrocchi. Ma voglio restare alla linea amicale che mi sono prefissa.
Debbo dire, in effetti, che con il passare degli anni i nostri rapporti di amicizia si sono non poco irrobustiti. E’ vero che per Pietro l’amicizia è parte essenziale della sua vita di credente ma anche di studioso. E qui penso che tocchiamo uno di quei caratteri del Mezzogiorno e della stessa Calabria che segnano coloro che vengono da quella terra. In ogni caso concordo pienamente con quel che dice Massimo Naro, altro amico giovanissimo e carissimo di Pietro che ha curato con intelligente pazienza questo splendido volume, quando nella presentazione nota, che “un tratto caratteristico di Borzomati è, infatti, la capacità di intessere rapporti di amicizia che, occasionati dalla ricerca, finiscono con il legare stabilmente e arricchire sul piano umano”. Ecco perché questo volume, frutto della collaborazione di noti studiosi – basta scorrere velocemente l’elenco per accorgersene – è assieme anche una testimonianza di stima e di amicizia per Pietro Borzomati da parte di tutti i collaboratori. Come dire, tutti valenti studiosi, ma anche tutti amici. Ne esce così un volume che è prezioso contributo sul piano storico, ma anche una bella testimonianza di amicizia.
Ed io, che mi sono ormai allontanato dalla ricerca storica, non ho però perso l’amico, anzi l’ho ritrovato, e arricchito, a Terni. In questi due anni e mezzo l’amicizia sì è come irrobustita ancor più, senza però perdere mai quei tratti di attenzione e di discrezione, di prontezza nel consiglio e di sollecitudine nella collaborazione. Non è questa la sede per parlarne, e tuttavia non posso non sottolinearne un aspetto per la peculiarità e per il legame che, ancora una volta, ho visto tra lo studioso e il credente. E mi riferisco, oltre gli apporti relativi alla dimensione culturale della vita della diocesi, soprattutto alle sollecitazioni e all’impegno concreto di Pietro per la valorizzazione sul piano pastorale dei santi della diocesi e per la promozione dei processi di beatificazione diocesani già avviati e che chiedono una rinnovata attenzione. Ricordo che fu l’oggetto di uno dei miei primi colloqui con lui appena giunsi a Terni. Era certamente l’interesse dello storico che emergeva. Ma soprattutto era il credente che amava la sua chiesa e che voleva fosse segnata anche da testimonianze evidenti di santità. Cari amici, è un modo bello di amare la propria Chiesa. Direi anzi la Chiesa intera. In effetti, nella produzione scientifica di Pietro Borzomati l’amore per la Chiesa emerge con estrema chiarezza. Si potrebbe anzi dire che tutta la sua opera di studioso è incomprensibile senza questo amore. E’ sufficiente scorrere anche solo l’elenco dei numerosissimi studi (33 monografie, 15 collaborazioni e più di 156 tra articoli e presentazioni) di Pietro Borzomati per accorgersi di come egli abbia percorso in lungo e in largo, si potrebbe dire, il complesso e variegato territorio ecclesiale: dal movimento cattolico, al rapporto tra vita religiosa e vita sociale, dalle grandi figure di santità ai protagonisti minori, sino alla storia degli emigrati e delle esperienze di povertà.
Se per lui la ricerca storica è il riflesso della sua passione per la Chiesa, questo tuttavia non gli ha impedito di coniugare bene l’imparzialità dello storico, e quindi la scientificità dell’approccio alle fonti, con la scelta del credente. E’, anzi, l’unico modo per poter esercitare, con la passione del credente e con la laicità dell’approccio metodologico, il mestiere dello storico nel contesto contemporaneo. Naro lo chiarisce bene nella presentazione di questo volume. Non mi dilungo comunque su questo importantissimo aspetto della ricerca di Borzomati, anche perché appare evidente in tutte le sue ricerche. Credo però sia opportuno ribadire che anche la sua vita di storico è legata al servizio della Chiesa. E, ovviamente, deve essere un servizio, appunto, da storico. Per parte mia potrei dire che a partire già dai primi incontri con lui, quando parlavamo delle diverse ricerche storiche che stavamo conducendo, facilmente si passava a dibattere dei problemi della vita della Chiesa di oggi, dei nuovi orizzonti che avrebbe dovuto intraprendere, delle nuove prospettive che avrebbe dovuto immaginare, come pure dei problemi che era necessario affrontare e risolvere. In questi due ultimi anni spesso le nostre riflessioni sono cadute sulla vita di una diocesi operaia come quella di Terni, oppure sulle prospettive della Chiesa in Umbria o sul futuro della Chiesa italiana e della sua missione nel paese. La lettura del contributo su Pietro Borzomati tracciato da Paolo Gheda fa emergere, oltre l’impegno di Borzomati nelle varie istituzioni scientifiche, anche il prezioso contributo che ha dato alla Chiesa italiana in questo difficile passaggio di secolo. Borzomati non ha solo studiato la vita della Chiesa, se così posso dire, ha anche contribuito alla vita stessa della Chiesa in Italia. Basti ricordare il suo impegno nelle settimane Sociali dei cattolici italiani, oppure la sua partecipazione al progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, senza dimenticare il suo lavoro all’interno del variegato mondo associativo italiano a partire dalla direzione dell’Ufficio Studi dell’Azione Cattolica Italiana.
Ma se mi è permesso però di aggiungere anche solo una ulteriore piccola osservazione di carattere più storiografico, direi che l’impegno dello storico Pietro Borzomati si inserisce a pieno titolo nella scia di un altro grande studioso meridionale, don Giuseppe De Luca che, della storia della pietà, fece lo scopo stesso delle sue ricerche e del suo impegno editoriale. La ben nota “Introduzione alla storia della pietà” di De Luca – una introduzione che costituì in verità un denso volume che apriva la nota collana prodotta nelle Edizioni di Storia e Letteratura e che resta tra i pilastri di coloro che intraprendono lo studio della spiritualità -, metteva in luce, per la prima volta nel panorama italiano, l’importanza appunto della “pietà” nella vicenda storica italiana ed europea. Non si trattava, per De Luca, di far emergere un generico “sentimento religioso”, come invece aveva fatto lo studioso francese, Henrì Bremond, autore di una monumentale opera in proposito. De Luca si distaccò piuttosto da questa prospettiva per privilegiare appunto la “pietas” concreta, se così posso dire, ossia quel rapporto con Dio che si manifestava nelle più diverse forme della vita umana, persino nell’opposizione atea al fatto religioso, e che hanno lasciato un segno tangibile nella storia soprattutto del nostro paese. Ebbene, a me pare che proprio questo intreccio tra pietas e terra, tra religiosità e vita, ha trovato nei lavori di Borzomati un proseguimento originale. Se mi è permesso, direi che Pietro Borzomati, all’interno di quel filone individuato come storia sociale e religiosa, non si è fermato sull’aspetto associativo o sociale, ma ha sviluppato sempre più l’aspetto della “pietas” o, se volete, della spiritualità. Si può forse individuare un itinerario in questo senso anche all’interno della sua stessa ricchissima bibliografia. Penso che se oggi è più frequente negli storici del fatto religioso scrivere e parlare di “spiritualità”, non c’è dubbio che questo si deve anche al contributo portato dalla produzione scientifica di Pietro Borzomati.
Si potrebbe parlare a lungo del senso e del valore della spiritualità come emerge dalle ricerche storiche del prof. Borzomati. Ne parla Massimo Naro nella sua introduzione. Lo stesso prof. Durand lo rileva con acutezza in un suo precedente intervento. Anzi, lo storico francese fa notare l’aspetto originale della prospettiva di Borzomati nel panorama della storiografia italiana: “Dico originale, perché mi pare che in genere la storiografia, soprattutto italiana, abbia privilegiato il rapporto politica-religione, società religione, dimenticando a volte la fonte stessa dell’azione, cioè la fede…Penso che il merito di Borzomati sia quello di riscoprire il legame tra vita interiore ed azione, tra fede e presenza nella società”. Queste osservazioni di Durand che qualificano gli studi storici di Borzomati sono in verità radicate nella concezione stessa della vita cristiana che egli ha. E’ convinto, ad esempio, che la testimonianza dei santi, dei santi della propria terra, sia importante per una comunità cristiana perché essi aiutano a seguire il Vangelo non in maniera astratta e disincarnata, ma concreta e visibile. Questo lo ha portato alla valorizzazione di figure, di eventi e di protagonisti di quel mondo “minore” che pure hanno segnato in maniera profonda la terra italiana fin nelle sue pieghe più nascoste. Le figure da lui studiate o presentate sono maestri di vita spirituale per tutti. Non è solo casuale che l’intensificarsi di questa attività storiografica di Pietro Borzomati sia legata anche all’aumento vertiginoso di canonizzazioni avvenuto nel pontificato di Giovanni Paolo II. E non penso unicamente all’impegno di Pietro presso la Congregazione delle Cause dei santi. C’è da dire che il lavoro di storico di Borzomati non è né asettico né troppo facilmente agiografico. Attraverso le sue ricerche emerge quel vissuto ecclesiale che ha fermentato l’esperienza di tanti credenti e che ha innervato la vita del nostro paese. E per questo la loro storia può continuare a sostenerla. Mi pare significativo, da un punto di vista storiografico, quel che Andrea Riccardi sottolineava precedentemente a proposito di questo metodo di Borzomati. Diceva Riccardi che è stato proprio il nesso tra pietà e vita concreta la chiave interpretativa che ha permesso a Borzomati di cogliere la peculiarità della risposta meridionale alla modernità. E aggiungerei che questa sua passione di storico va ritrovata anche nel suo impegno di credente.
Oggi, il professor Borzomati, senza dimenticare le sue radici meridionali, o meglio ancora calabresi, è però pienamente inserito nella vita dell’Umbria. Dico Umbria e non solamente Terni, ove vive, o Perugia, ove insegna. Questo pendolarismo di Pietro è per tutti gli umbri uno stimolo: mentre si resta radicati nel proprio ambiente è però necessario vivere e operare in un orizzonte più ampio e complesso.