Giornata del Malato

Giornata del Malato

Care sorelle e cari fratelli,


 


abbiamo ascoltato dal Vangelo che Gesù, disceso dal monte con i Dodici, si trovò in mezzo ad una gran moltitudine di gente. Tutti volevano ascoltarlo, toccarlo, sentirlo vicino. Era una folla composita, accorsa da varie città vicine. Tuttavia è facile pensare che in quella moltitudine prevalessero i poveri, i malati, i bisognosi, gente comunque alla ricerca di una speranza e di una consolazione per la loro vita. In altre pagine del Vangelo si legge che Gesù non restava mai indifferente a questo spettacolo. Anzi, si commuoveva per loro, perché erano come pecore senza pastore, ossia non c’era chi si prendeva cura di loro. Anche quel giorno Gesù si commosse. E dal suo cuore sgorgò uno dei discorsi più belle e sconvolgenti della storia degli uomini: quello delle beatitudini.


Sin dalle prime parole si resta stupefatti: “Beati voi poveri, beati voi che avete fame, beati voi che ora piangete…”. Com’è possibile? Non sono parole astratte. Anzi, sono molto concrete. Concrete com’era concreta la povertà, com’era concreto il pianto, com’era concreta la malattia. E Gesù, per di più, parlava non ad un gruppo di eroi o di particolari élites. Quelle parole così sconvolgenti le diceva a quei poveri, a quei malati, a quella gente che piangeva, a quelli che mendicavano una parola per sé, a quelli che cercavano di toccargli almeno il lembo del mantello per essere guariti. Erano costoro, non altri i destinatari di quelle parole. Tanto che l’evangelista, con grande concretezza, riporta: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete”. E così oltre.


Ma perché erano beati quei poveri? Perché erano beati quei malati? Non certo perché erano poveri, o perché erano malati. Com’è possibile essere beati, ossia felici, quando si è malati e poveri? Quando si è perseguitati e colpiti? Credo sarebbe crudele dirlo. E il Vangelo non vuole affatto avallare una tale concezione.


La beatitudine non è nella povertà, o nella malattia, ma nel fatto che Dio sceglie di occuparsi dei poveri e dei malati, prima ancora di pensare ai ricchi e ai sani. Con la proclamazione delle beatitudini, pertanto, Gesù viene a dire che è giunto il tempo in cui Dio dà il pane a chi ha fame, trasforma in gioia il pianto e in allegrezza l’angoscia. Il Regno “è” dei poveri, sin da ora, perché Dio sta con loro. E’ qui il senso delle beatitudini. Il Vangelo non si lascia andare ad un facile e superficiale moralismo dicendo c’è felicità nella povertà e beatitudine nella malattia. Non di rado sentiamo dire che la malattia è un segno dell’amore di Dio che prova i suoi figli. No, care sorelle e fratelli, la povertà, la malattia sono sempre una cosa non bella e non buona, frutto dello spirito del male. La beatitudine vuol dire che finalmente, attraverso Gesù, Dio è sceso sulla terra e ha scelto di stare accanto ai poveri e ai malati, prima che accanto ai ricchi e ai sani. Ecco, allora, il Vangelo, ossia la buona notizia, da dare ai malati e ai deboli, ai prigionieri e ai carcerati: nel dramma e nella sofferenza che essi vivono, non debbono tuttavia disperare perché Dio li ha scelti come suoi amici e si pone accanto a loro. Ecco il senso vero delle beatitudini.


Ma questo porta con sé un conseguenza affascinante e terribile, nello stesso tempo. Infatti, care sorelle e cari fratelli, spetta a noi rendere vere le beatitudini. Esse, cioè, saranno vere se noi ci comportiamo come si comportava Gesù, ossia se noi stiamo accanto ai poveri e ai malati. E Gesù lo faceva. Per questo egli poté proclamare le beatitudini, perché davvero i poveri venivano aiutati e i malati guariti. Ma, se per caso, noi non scegliessimo di stare accanto a deboli e ai malati, il Vangelo delle beatitudini non solo sarebbe una menzogna, ma una terribile crudeltà. Sì, i poveri saranno beati se noi saremo capaci di stare dalla loro parte. Gli affamati saranno beati se noi, aprendo la mensa per i poveri sapremo nutrirli ogni giorno. Insomma, i poveri sono beati se termina il loro abbandono e la loro solitudine. I malati saranno beati se noi sapremo curarli e sapremo star loro vicino con affetto e tenerezza. Il Vangelo delle beatitudini è l’amore di Dio che privilegia i poveri e i deboli.


Certo, noi sani e ricchi possiamo trovare nei poveri e nei malati un grande insegnamento. Ed è questo. Loro, i poveri, i deboli e i malati sentono più facilmente il bisogno di Dio. Mentre chi è ricco, sazio e sano difficilmente sente il proprio limite e la propria radicale debolezza, e quindi con maggiore difficoltà si affida a Dio. Chi riceve solo lodi, difficilmente è pronto a un cambiamento radicale della propria vita. Insomma, chi sta bene difficilmente chiama il medico. Non ne sente il bisogno. Ma noi, care sorelle e fratelli, siamo tutti bisognosi, siamo tutti malati, siamo tutti mendicanti di amore. Anche se non lo riconosciamo. E questo provoca solo disastri. Ecco perché il Vangelo, con un procedimento a contrasto, aggiunge ai quattro “beati voi”, quattro “guai a voi”: guai a voi ricchi e a voi sazi, guai a voi che ora ridete, e guai a voi quando tutti vi diranno bene. “Guai”, perché in questi momenti è più facile sentirsi autosufficienti e per nulla bisognosi, neppure di Dio. Quel ricco, quel sazio, che è in ognuno di noi, rischia di essere talmente ripiegato su di sé da restarne imprigionato. “Guai a noi”, quando lasciamo prevalere il ricco ch’è in noi. “Guai a noi”, quando dimentichiamo il malato che siamo, perché non sentiamo il bisogno di ricorrere al medico, al Signore. Tutti, care sorelle e cari fratelli, siamo poveri, malati e bisognosi. Tutti dobbiamo, come quelle folle, accalcarci attorno al Signore. Solo da lui promana una forza di guarigione. Ed egli ci trasformerà da poveri che eravamo in gente capace di stare accanto ai deboli, ai malati, ai bisognosi.


Se noi ricchi ci avviciniamo a Dio, i poveri saranno beati perché ci avvicineremo anche a loro. Se noi sani ci avviciniamo a Dio, ci avvicineremo anche ai malati, ed essi scopriranno consolazione e conforto.