Funerale di Oscar Luigi Scalfaro
Ap 21, 1-7; Gv 19, 25-30
Autorità, care sorelle e cari fratelli, carissima Marianna,
abbiamo ascoltato il Vangelo della morte di Gesù mentre diamo il nostro ultimo saluto al presidente Scalfaro. Lo salutiamo da qui, da questa Basilica divenuta per lui il luogo della Eucarestia domenicale. Lo rivedo tra i banchi partecipare con gioia alle celebrazioni assieme a tutta la gente con uno stile di fraterna semplicità che toccava il cuore dei partecipanti. Oggi vi entra per l’ultima volta e alla stessa ora – le tre del pomeriggio – di quando Gesù “consegnò il suo spirito” al Padre. Oggi non è, come sempre prima, tra i banchi; sta davanti a noi tutti o, meglio, davanti al Signore, con il suo corpo senza vita. Ho scelto questo brano evangelico perché solo la morte di Gesù può aprire uno spiraglio di luce sul buio della morte, quella che giungerà per ciascuno di noi e quella che oggi ci toglie questo amico caro. Per lui c’è poi una ragione in più, la presenza della Madre di Gesù, accanto al Figlio che muore. Credo che anche oggi, come allora, Maria stia qui, accanto a questo suo figlio, morto. L’amore, la vicinanza, l’affetto rendono il terribile momento della morte più sostenibile e il distacco meno amaro. Stando accanto a Gesù che muore, la morte non è l’ultima parola. E noi oggi ci stringiamo attorno al presidente, assieme a te cara Marianna, che gli sei stata accanto per la tua intera vita e che hai avuto la consolazione di sorreggerlo tra le tue braccia proprio mentre, senza soffrire, è spirato dopo averti detto con tono affettuoso e rassicurante per te: “sto bene”. Era appena iniziata la domenica, il giorno della risurrezione di Gesù. La sua Messa, ieri, era quella del cielo.
Noi questa mattina, in questa santa celebrazione, vorremmo fare nostra preghiera le parole che Gesù rivolse dalla croce alla Madre: “Donna, ecco tuo figlio”, nella certezza che Maria accoglie tra le sue braccia questo suo figlio per presentarlo al Signore. La profonda pietà mariana che segnava la fede del Presidente non può non intenerire il cuore di questa Madre che lui non ha cessato di amare e per la quale ha continuato a tessere ovunque le lodi. Sì, il presidente, per l’intero corso della sua vita, ha sentito in profondità il bisogno di una presenza materna nella vita dei credenti, nella vita degli uomini, spesso indurita dalla violenza e dall’abbandono. Tutti abbiamo bisogno di una protezione materna, nessuno è così forte da poterne fare a meno.
Anche per questo Oscar Luigi Scalfaro è stato un grande cristiano, un credente con una religiosità che lo legava alla tradizione profonda della pietà anche nel nostro paese. Era una fede scevra da ideologismi; si nutriva della lettura delle Sante Scritture, partecipava con attenzione alla Santa Liturgia, non tralasciava mai la preghiera ed era fedele all’aiuto per i poveri, sino alla fine della sua vita, sino a questi ultimi giorni. Lo ricordo, ad esempio, inviare i suoi doni per il pranzo dei poveri a Natale che si tiene qui in Basilica. E non dimenticò mai il turbamento che ebbe nel vedere la condizione dei poveri a Calcutta quando volle partecipare ai funerali di Madre Teresa. Fu audace, durante la guerra Iran – Irak, nel richiedere al governo turco di lasciar passare attraverso la frontiera trecento profughi irakeni permettendo loro così di sfuggire dalla morte. “Un vero miracolo”, commentava lui stesso.
Ha sempre manifestato la sua fede, senza tuttavia ostentarla. Per lui la fede era fonte di ispirazione per la vita, era un sostegno per conservare l’integrità nei comportamenti, era la forza per l’impegno civile e politico. Per questo non ha mai voluto abbandonare il distintivo della Azione Cattolica nella quale era entrato militante fin da giovane. L’impegno nella vita pubblica, anche in quella politica, non significò mai mettere da parte la professione della sua fede cristiana. Semmai, era proprio dalla fede che traeva il disinteressato impegno in favore del bene comune del paese, dell’intera società, dell’Europa. Del resto, lui riluttante, dovette cedere alle pressioni dell’allora vescovo di Novara, Leone Ossola, che gli impose di scendere in campo per aiutare il paese a ristabilirsi. Il vescovo si giustificò: “Oggi sacrifichiamo uno dei nostri giovani migliori, d’altra parte ora la prima linea è lì, nella politica”. E il giovane Oscar Luigi non ha mai pensato la sua fede staccata dalla militanza nella politica, senza confondere i piani, sino al termine dei suoi giorni. Sono significative le parole inviate dal papa Benedetto XVI: “Si è adoperato per la promozione del bene comune e dei valori etico-cristiani propri della tradizione storica e civile dell’Italia”.
Il Presidente Scalfaro in effetti è stato anche un grande italiano. Ha speso l’intera sua vita per l’Italia, impegnandosi negli anni della ricostruzione e dello sviluppo e poi combattendo perché conservasse la struttura costituzionale stabilita neglki anni del dopoguerra. Abbiamo appena terminato di celebrare i 150 anni dell’unità. Lui, con qualche orgoglio, sottolineando la diversità delle sue origini familiari, napoletane, calabresi e piemontesi, amava dire: “sono figlio dell’unità d’Italia”. E’ stato figlio di questso paese e assieme ne è stato un grande servitore. Nel corso del Novecento sono state molteplici e talora apicali le responsabilità che lo hanno visto in prima linea. Non è mio compito parlarne, altri lo faranno con ben maggiore competenza, e sarà la storia a trarre le conclusioni. Ma dobbiamo riconoscere – ed è bene sottolinearlo oggi mentre lo accompagniamo verso la patria del cielo che pure ha tenacemente cercato – che nel corso della sua vita Oscar Luigi Scalfaro ha amato questa patria terrena con passione, con tenacia, anche con caparbietà sino all’ostinazione. Ultimamente – consapevole delle difficoltà del paese ma anche dell’urgenza di una nuova consapevolezza – amava ricordare un episodio che diceva avesse segnato in lui una svolta nella coscienza del primato del bene comune del paese. Raccontava che lo colpì il fatto di alcuni parlamentari che al mattino, nell’approntare le leggi ordinarie, si scontravano e non solo verbalmente, mentre nel pomeriggio, impegnati nella scrittura della Costituzione, si trasformavano: le differenze del mattino – quelle legate ai pur legittimi interessi di parte – venivano accantonate per far emergere la comune volontà nel delineare le fondamenta su cui costruire il paese distrutto dalla guerra. “Avevo 27 anni, allora, e non ho mai più dimenticato quella scena”, concludeva il Presidente, come ad auspicare anche oggi lo stesso spirito.
Di qui la sua passione nella difesa della Costituzione repubblicana perché quel “patto che ci lega” – come amava dire – fosse rispettato nella lettera e nello spirito, senza dimenticare il bisogno di modifiche da apportare ma, appunto, nello spirito che l’ha fatta nascere. E ieri mattina, quando sono giunto al suo capezzale, mentre la morte – arrivata dolce e senza traumi, forse a ricompensa di altri che aveva dovuto soffrire nella vita – mi è caduto lo sguardo sul suo comodino, accanto al letto: vi erano poggiati la corona del rosario, la Bibbia, le Fonti Francescane e la Costituzione Italiana. Si potrebbe dire che Scalfaro era tutto qui. Sì, cari amici, oggi il nostro paese perde un grande credente e un grande cittadino. Ma se ne conserviamo la passione che aveva per il Signore e quella che aveva per il paese, partirà certamente più lieto verso la patria del cielo, la Gerusalemme celeste di cui abbiamo ascoltato dall’Apocalisse. E’ stato un servo buono e fedele e può entrare a far parte del cielo, come sta scritto: “Chi sarà vincitore erediterà questi beni: io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio”(Ap 21,7).
Sulle porte della Gerusalemme del cielo incontrerà il Signore – Domineddio, come lui lo chiamava – che ha amato nella sua lunga vita e di cui ha cercato il volto. La Madre di Gesù, già da questa questa Basilica lo sostiene tra le sue braccia e lo conduce nel cielo per consegnarlo tra le braccia del Figlio perché abiti là dove ogni lacrima è asciugata e non vi è più la morte. E tanti altri si accalcano alle porte della santa Gerusalemme per salutarlo, si possono scorgere gli amici dell’avventura politica, a partire dal suo De Gasperi e tanti che ha incontrato nella sua vita. Tra tutti, ecco anche la sua adorata sposa, Maria, Marianuzza, che la morte gli tolse giovanissima. Il dolore per questa separazione lo ha accompagnato per la vita. E quando ti diceva, cara marianna, che “era bellissima” tu lo prendevi anche un po’ in giro dicendogli che lui invece era ormai vecchio. Oggi si riabbracceranno con un amore ancora più grande e senza più separazione. E il Presidente, circondato dai tanti amici che lo circonderanno nel cielo, ben più numerosi di quanti ne contiene ora questa basilica, ripeterà anche a noi: “Sto bene”. Sì, caro Presidente tu starai certamente bene, ma a noi comunque mancherai, ci mancheranno le tue parole, il tuo sorriso, i tuoi consigli, le tue impennate, il tuo rigore, la tua testimonianza di credente, la tua umanità profonda, il tuo amore per questo nostro paese.