Funerale di don Antonio Conti

Funerale di don Antonio Conti

Care sorelle e cari fratelli,


 


monsignor Antoniio Conti è tornato nella sua città che l’ha visto nascere il 3 marzo del 1916. è tornato qui, nella sua cattedrale, ove è stato ordinato sacerdote il 6 novembre del 1938 dal vescovo Mons. Boccoleri. Molte volte ci siamo sentiti telefonicamente e, ogni volta, speravo che potesse tornare a Terni per una visita. Purtroppo, le recarie condizioni della sua salute non glielo hanno mai permesso. Eccolo ora al centro, nel cuore, di questa cattedrale circondato dalla preghiera e dall’affetto di noi tutti; dal tuo affetto Mons. Gualdrini: e ti ringrazio per essere venuto; dal vostro affetto, cari sacerdoti, che spesso mi avete arlato di lui; e dall’affetto di tutti voi, care sorelle e fratelli, accorsi numerosi per dare l’ultimo saluto ad un padre e ad un fratello così degno. E come non esprimere a voi, carissime Operaie della Grazia, sua famiglia prediletta, tutto il nostro dolore per una perdita come questa?


Sì, possiamo paragonare il vostro dolore a quello di Eliseo che non voleva che il suo maestro, Elia, lo lasciasse. Anche voi, in questi anni, e in quest’ultimo tempo in particolare, avete forse ripetuto: “Non ti lascerò, non ti lascerò!” E con voi, anche noi, anche questa nostra Chiesa sembra continuare questo grido. Sì, non vorremmo lasciarlo. Come, del resto, lasciar partire un padre e un figlio come questo? Potremmo dire che è stato uno dei chiamati della prima ora da quel èpadrone di cui parla il Vangelo per andare a lavorare nella sua vigna. E subito vi è andato. Ma non basta. Egli stesso, in certo modo, nei successivi 64 anni di sacedozio si è fatto simile a quel padrone ed è andato di ora in ora, di tempo in tempo, di città in città, a Terni e a Piacenza, a chiamare altri operai perché lavorassero in quella vigna che ormai gli aveva rapito il cuore e la mente. Aveva compreso che non bastava che lavorasse lui in quella vigna. No, non è rimasto semplicemente un fedele e onesto operai. Don Antonio è stato rapito dall’amore e ha sentito l’urgente bisogno di chiamare altri operai.


Care sorelle e cari fratelli, senza l’amore per quel padrone che lo aveva chiamato nella prima ora e senza quella vigna di cui si è innamorato è impossibile comprendere Mons.Conti. Si potrebbero dire tante cose di lui, ma senza il fascino di Dio, che lui chiamava “Padre amatissimo”, e senza l’amore appassionato per la Chiesa tutto diventa in lui incomprensibile. Oggi, guardando questo nostro fratello scorgiamo quanto l’amore di Dio lo abbia travolto e quanto la passione per la Chiesa lo abbia divorato. Don Antonio, sin da quando giovanissimo divenne parroco, di santa Maria degli Spiazzi, suo primo incarico pastorale, non si è più fermato. Ha vissuto senza sosta la sua missione di pastore venuto per servire e non per essere servito. E davvero non aveva dove posare il capo. Non si è più risparmiato. L’amore lo ha come travolto, trasportandolo dentro uno stile pastorale esagerato, generososo, creativo.


Era da poco sacerdote e subito si è dovuto scontrare con il dramma della guerra che fece subire a Terni più di 100 bombardamenti che rasero quasi al suolo questa nostra città. Chi è sopravvissuto ricorda don Antonio in quei giorni correre tra le case bombardate per aiutare chiunque avesse bisogno di aiuto, senza alcuna distinzione. E la presenza del rappresentante del Comune sta ad indicare il riconoscimento della città per questo suo figlio. Fu un tempo tragico per tutti. Ma per lui, oltre la guerra, c’era un altro dramma. Era lo stesso dramma che sentiva quel padrone del Vangelo nel vedere la sua vigna distruggersi senza che nessuno se ne prendesse cura. E don Antonio uscì. Sì, vorrei dire che uscì come quel padrone, andando direttamente nella piazza per chiamare operai per la sua vigna. Erano tempi duri e difficilmente comprensibili. Oggi li chiamiamo tempi di scristianizzazione. Per primi se ne accorsero due preti di Parigi i quali  osarono parlare della Francia come un paese di missione. Fecero un clamore enorme. Ma avevano ragione. Ebbene anche a Terni, don Antonio, nel 1944, ebbe la stessa intuizione. E subito raccolse un piccolo gruppo di giovani, sotto l’auspicio del vescovo Felice Bonomini, che non a caso chiamò “Gioventù missionaria”, missionaria non fuori, nei cosiddetti paesi di missione, ma tra noi, a Terni, con la finalità di accogliere essi stessi il “Dono di Dio” e con l’impegno generoso di aiutare i fratelli a conoscere il mistero di Dio, la “Grazia”, appunto, e a viverlo quotidianemente nella vita. Tanti che stavano oziosi nella piazza della vita furono “presi a giornata” da don Antonio e mandati a lavorare nella vigna del Signore. Riuscì a comunicare loro la passione per l’evangelizzazione. Aderì con entusiasmo, ad esempio, all’opera della Adorazione eucaristica diurna voluta dal vescovo nella chiesa di san Giovannino. Ma non possiamo enumerare ora le molteplici opere da lui ideate e dirette. Per tutte ricordo la fondazione, nel 1948, dell’Ufficio Catechistico della nostra Diocesi. Don Antonio fu tra i primi in Italia a costituire il Centro Catechistico, che ebbe come suo cuore le Operaie della Grazia, con lo scopo di promuovere la formazione spirituale, dottrinale, e pastorale dei catechisti parrocchiali. Con loro, animò e guidò a Milano, anche una casa editrice scolastica con una rivista per gli insegnanti della scuola primaria. La costruzione della Domus Gratiae, fi davvero un dono impareggiabile per la formazione dei sacerdoti, dei catechisti, degli insegnanti, delle famiglie della nostra diocesi. Non c’è dubbio che la nostra vita ecclesiale, penso in particolare alla catechesi e alla liturgia, deve a don Antonio Conti un decisivo apporto.


Non sono mancate le difficoltà nella vita di questo sacerdote. Esse lo hanno non poco provato, mai però frenato. Anzi, lo hanno ancor più spronato a percorrere le piazze della vita ove il Signore lo inviava per continuare a radunare operai per la vigna del Signore. Dal 1986, don Antonio, con la Comunità delle Operaie della Grazia, è stato accolto con amore e con stima dalla Diocesi di Piacenza. Anche qui la sua opera è stata indefessa e intensa come mostra, ad esempio, l’attività del Centro di Vita “La vite e i tralci”, divenuta luogo di preghiera e di incontro, sempre a servizio dei sacerdoti, delle parrocchie e dei gruppi. Potremmo dire che don Antonio ci lascia sulla piazza, mentre continuava, come quel padrone, sino all’ultima ora del giorno,  a chiamare “operai” per la vigna. Si è riservato per sé solo l’ultimo momento della sua vita. E per don Antonio possiamo immaginare la conclusione della parabola mentre riceve la paga dal Signore. Sì, il momento della sua morte lo ha vissuto, potremmo dire, come il momento di ringraziamento: circondato dalle sue sue “Operaie”, sul letto di morte, chiudeva il suo lavoro muovendo le labbra per pronunciare il Cantico del Magnificat. Ora, cantando, don Antonio, parte per il cielo. Sì, un po’ come Elia. Vorremmo chiedergli di lasciarci un poco del suo spirito. Non osiamo, come Eliseo fece con Elia, dirgli: “Due terzi del tuo spirito diventino miei”. Ma almeno raccogliamo il mantello che il profeta lasciò cadere a terra. Scrive il secondo libro dei re: “Quindi Eliseo raccolse il mantello, che era caduto ad Elia, e tornò indietro, fermandosi sulla riva del Giordano”. Mentre don Antonio sale verso il cielo raccogliamo la sua ansia pastorale, la sua passione per la catechesi, la sua impazienza per l’annuncio del Vangelo. Questa missione è il suo mantello. Cari sacerdoti, care sorelle e cari fratelli, non passiamo oltre, raccogliamo il mantello di Don Antonio e fermiamoci sulle rive di questa nostra terra per continuare la sua profezia.