FAMIGLIA DEI BAMBINI E DELLE DONNE DI STRADA ALLA LUCE DELL’INSEGNAMENTO DI PAPA FRANCESCO
Ringrazio di cuore per l’invito rivoltomi a partecipare a questo Simposio Internazionale. Di fronte a quel che sta accadendo proprio in queste ultime settimane, con la drammatica fuga di tanti uomini e donne dalla guerra e dalla disperazione, appare con evidenza l’attualità del tema scelto, come pure la sollecitudine di questo Dicastero che, nel cuore della Chiesa Cattolica, tiene alta la sensibilità evangelica per venire incontro a queste nuove tragedie del mondo contemporaneo. Purtroppo, c’è voluta la foto di un bambino morto adagiato dalle onde del mare su una spiaggia, per aprire almeno un varco di umanità nel cuore della società contemporanea, ormai indurito dall’abitudine alla violenza. Quanta amarezza, di fronte a tanta durezza! E quel bambino è solo un episodio di una tragedia ben più ampia, come voi ben sapete.
Per restare nell’ambito del fenomeno migratorio sarebbe sufficiente anche solo mettere in fila le immagini che ci giungono in questi giorni dalle televisioni e dai giornali per comprendere la vastità del fenomeno e la novità che rappresenta con le migliaia e miglia di donne e di bambini che fanno parte di questa lunga catena umana che fugge in cerca di pace e di un futuro migliore. L’associazione Save the Children – per portare un solo dato – ha calcolato che almeno 7.600 minori non accompagnati sono sbarcati in Europa dall’inizio del 2015 dopo aver subito ogni tipo di abusi e di violenza. Per questi bambini sono preferibili tali violenze, all’inferno della guerra, ch’è davvero la madre di tutte le povertà. Il tema delle migrazioni, che da sempre traversa la storia umana, sta diventando in questi ultimi tempi una questione sempre più decisiva per il futuro del mondo: da come la si affronta dipende la qualità dello sviluppo della convivenza umana.
La Chiesa, esperta in umanità, come amava dire il beato Paolo VI, non a caso, anche attraverso questo Dicastero, si china su queste tragedie e le fa sue. Il tema stesso di questo Simposio internazionale si iscrive in questo orizzonte di misericordia. Mi avete chiesto, come Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, una riflessione che leghi la famiglia alle situazioni dei bambini di strada e delle donne di strada alla luce della Evangelii Gaudium. Ho pensato di allargare il fascio di luce facendo cenno al pensiero di papa Francesco in questo campo, sin da quando era cardinale arcivescovo di Buenos Aires. Già allora il cardinale Bergoglio è intervenuto più volte su questi temi. Da quando poi è divenuto Papa continua a denunciarne lo scandalo. Fin dal viaggio nelle Filippine, Papa Francesco chiese a sorpresa di visitare un centro per bambini di strada, dopo la messa nella cattedrale di Manila. E chi era presente a questo incontro con i bambini sottratti dalla fondazione Anak-Tnk ai giri di droga e prostituzione, ha scritto: “L’incontro con ragazzi salvati dalla strada, accanto alla Cattedrale è stato un momento fortissimo”. Non poteva che essere così per un Papa che chiede una Chiesa “in uscita” o, se si vuole, di mettersi “sulle strade”.
E’ inoltre importante che questo Simposio avvenga alle soglie del Sinodo Ordinario dei Vescovi che, dopo un cammino sinodale di due anni, si concentrerà a riflettere su “La vocazione e la missione della Famiglia nella Chiesa e nel mondo”. Come sapete il tema dei ragazzi di strada e delle donne di strada è entrato nell’Instrumentum laboris nei numeri dal 24 al 30. E’ ovvio riconoscere che dietro ogni bambino di strada, come anche dietro ogni donna che si prostituisce, c’è una famiglia distrutta, magari in estrema povertà, un padre senza lavoro o mal pagato, un figlio non desiderato, un padre e una madre maltrattati in un ambiente ostile e, nella maggior parte dei casi, tutti questi fattori messi assieme. E’ perciò particolarmente utile il lavoro di questi giorni anche in vista del prossimo Sinodo di ottobre.
Per parte mia, dopo qualche cenno sulla situazione delle donne e dei ragazzi di strada, mi fermerò a proporre qualche semplice riflessione sul pensiero di papa Bergoglio su questi temi e sulla centralità dello spirito di “famigliarità” per affrontarli. Si tratta perciò di ritessere a tutti i livelli, da quelli della famiglia di origine di queste donne e di questi ragazzi a quelli della Chiesa e della stessa società, relazioni di carattere “familiare” che solo potranno sanare queste drammatiche ferite che coinvolgono non solo i corpi ma l’animo di questi milioni di fratelli e di sorelle.
Bambini di strada nel mondo
Non è mio compito entrare nell’esame dettagliato della loro situazione che voi conoscete molto meglio di me. Fa comunque impressione che il numero sia così elevato e il silenzio così forte. E già qui c’è un nodo problema: l’ignoranza infatti lascia più libertà ai padroni di queste nuove schiavitù. Diviene così più difficile arginare il male e promuovere la liberazione. C’è bisogno di una nuova cultura della dignità umana per provocare uno sdegno di fronte a tali tragedie. Sappiamo bene che la sola repressione non basta.
Uno sguardo seppure sommario ai numeri ci dice la vastità del fenomeno dei ragazzi di strada. Essi affermano che è difficile farne una stima perché questi bambini, pur vivendo sotto gli occhi di tutti, sono per assurdo i più invisibili: sfuggono alle statistiche, ai censimenti, alle istituzioni, sono esclusi dai dibattiti pubblici, dai programmi e dalle politiche statali. E non c’è neanche un consenso internazionale circa la definizione di bambino di strada: quella più utilizzata, anche dall’Unicef, considera street children i minori per i quali la strada costituisce la casa o la principale fonte di sostentamento, senza adeguata protezione o sorveglianza. In questo concetto sono compresi sia i bambini che lavorano sulla strada (street-working children) e che la sera rientrano a casa o in qualche altra struttura protetta, sia i bambini che invece non hanno un luogo sicuro a cui fare ritorno (street-living children). Sempre l’Unicef ricorda, inoltre, che sono 640 milioni i bambini nel mondo che non hanno un’abitazione adeguata, 400 milioni non hanno accesso all’acqua potabile e 140 milioni sono drop out, fuori dal circuito scolastico. Comunque, per quel che riguarda i bambini di strada la cifra comunemente accettata è quella che ritiene si aggirino tra i 100 e i 150 milioni nel mondo. I dati mostrano inoltre che dagli inizi degli anni ’90 il fenomeno è divenuto ormai di natura urbana, ovunque nel mondo, e si presenta con maggiore crudezza nelle megalopoli soprattutto del Sud del mondo. E’ il frutto amaro di un processo doloroso e graduale di un sistema neoliberale e colonizzatore che si affida solo alla legge del mercato. Negli ultimi anni si è visto chiaramente che le periferie delle grandi città, nelle quali arrivano i contadini attratti dalla possibilità di lavoro come la vendita ambulante, generano i “ragazzi di strada”, dai quartieri di una zona industrializzata, dove non c’è più lavoro come in Edimburgo, Liverpool e Birminghan, fino alle strade di Mosca, di Shangai, di Città del Messico, di Buenos Aires.
Le statistiche rivelano che sono milioni i ragazzi di strada orfani oppure fuggiti (o cacciati) da situazioni familiari disumane sia a livello affettivo, che morale ed economico. C’è da rilevare che non sono i ragazzi a scegliere di vivere in strada, ma la povertà estrema, la disgregazione familiare e l’abbandono, la violenza e gli abusi sempre più spesso di natura sessuale sono il denominatore comune che li spinge verso la strada; oppure vi sono costretti dalla dipendenza dei genitori dall’alcool e dagli stupefacenti. Ci sono poi da considerare gli oltre 50 milioni i bambini nel mondo ai quali, ogni anno, viene negato un diritto di nascita basilare: essere riconosciuti come cittadini. Si tratta di milioni di bambini che, proprio perché senza un’identità ufficiale e senza diritti, rischiano maggiormente di diventare invisibili ragazzi di strada.
La strada però non solo un caso. Talora, per questi bambini, è un’alternativa effettiva rispetto ad una vita di stenti. La strada, paradossalmente, offre loro una speranza. Se da un lato, in famiglia, vi sono uno stress psicologico fortissimo e varie forme di abuso, dall’altro c’è la strada, senza controlli, che rappresenta l’idea, errata, di libertà dai bisogni ed appare come l’unica alternativa alla disperazione. La strada attrae, vivere in strada è un modo migliore di provvedere a se stessi; il bambino sente di avere migliori opportunità poiché la strada appare quasi accogliente e materna, offrendo le risorse materiali ed emozionali che la famiglia o la società continua a negargli. L’attrazione della strada è data proprio dalla presenza di bande di coetanei che si conquistano una zona, una piazza, un quartiere. La banda diventa la famiglia, risponde, in apparenza, alla necessità di sicurezza e di protezione, nonostante abbia poi anch’essa le sue regole, le sue dinamiche, la sua violenza; ci sono dei capi a cui ubbidire, invidie e vendette. Rispetto alla violenza subita in casa, però, quella della strada appare meno certa e forse più controllabile.
In verità, non è poi così semplice. La violenza diviene praticamente l’elemento comune a tutti i bambini di strada; i pericoli e l’emarginazione della strada finiscono per riportali in situazioni di sopruso, simili a quelli dai quali sono fuggiti. Amnesty International rileva che i meninos de rua sono particolarmente esposti a sfruttamento, violenze ed abusi di tutti i tipi, da quello di natura psicologica a quello fisico e sessuale. La violenza psicologica è esercitata da chi li disprezza, li sfugge, li vive come criminali. La società, in genere, li vede come un pericolo e li abbandona anche alla violenza fisica: “Sono come dei topi o dei cani rabbiosi”. Un giornale brasiliano, qualche anno fa, scriveva: “Volete mantenere pulita la città? Collaborate uccidendo un bambino di strada”. Le forze dell’ordine sono responsabili di molti atti di violenza quali pestaggi, torture fisiche e psicologiche, abusi, estorsioni, arresti arbitrari e pretestuosi (ad esempio, per accattonaggio); il rilascio avviene spesso dietro ricompense in denaro o in natura. Alle retate della polizia (spesso notturne, per evitare la presenza di scomodi testimoni) si aggiunge anche l’ipocrisia delle autorità che, se da un lato condannano tali soprusi, dall’altro invitano a “ripulire” le strade in concomitanza di grandi eventi nazionali od internazionali che richiamano l’interesse dei media. Il bambino di strada è trattato come un essere sub-umano (pestaggi con manganelli, catene e scosse elettriche), indegno dei diritti umani fondamentali.
Tale drammatica situazione trasforma i bambini che vivono in strada facendoli divenire violenti: entrano nelle fila di gang, assaltano i turisti, commettono reati e ripropongono le angherie e le prevaricazioni di cui sono stati vittime. Sono facile preda di malviventi che li utilizzano per commettere furti o spaccio di droga e, poco a poco, sono coinvolti in delitti più gravi. Nel momento in cui si comincia a creare una certa dipendenza da gruppi di fuorilegge organizzati, i bambini non hanno altra scelta che continuare a praticare furti e altre attività delinquenziali, diventando l’obiettivo principale degli squadroni della morte. Se tentano di abbandonare il gruppo sono ugualmente a rischio perché ricercati dai malviventi. Cari amici, non vado oltre, ma anche solo questi brevi cenni mostrano la gravità e la drammaticità di questa piaga.
Le donne sulla strada
Non dissimile è la gravità dell’altra forma di schiavitù: la tratta delle donne a scopo di prostituzione e sfruttamento sessuale. Gli studiosi parlano di 240.000 milioni di persone vittime del traffico, con un volume d’affari annuale che rende agli sfruttatori circa di 10 miliardi di dollari. Questo Pontificio Consiglio, nel primo Incontro Internazionale sulla Pastorale per la Liberazione delle Donne di strada, realizzato nel giugno del 2005, rilevava che il numero di queste donne cresceva in maniera esponenziale a motivo di una varietà di squilibri economici, sociali e culturali. “In alcuni casi – si scrive nel rapporto finale – le donne coinvolte hanno sperimentato violenza patologica o abuso sessuale fin dall’infanzia. Altre sono state indotte alla prostituzione con l’obiettivo di un sufficiente sostentamento per loro stesse e le loro famiglie. Alcune abbandonano situazioni di povertà nel loro Paese di origine, pensando che il lavoro offerto all’estero cambierà la loro vita”. E molte arrivano in Europa “per rispondere ad una crescente domanda di ‘consumatori’”.
Il testo del documento delinea anche un identikit del cliente: «Una gran parte supera i 40 anni, ma è coinvolto un crescente numero di giovani tra i 16 e i 24 anni». Con un risvolto inquietante: «Un numero sempre maggiore di uomini cerca le prostitute più per dominare che per soddisfazione sessuale. Nelle relazioni sociali e personali, in effetti, essi sperimentano una perdita di potere e di mascolinità e non riescono a sviluppare relazioni di reciprocità e di rispetto. Tali uomini cercano pertanto le prostitute perché ciò dà loro un’esperienza di totale dominio e controllo su una donna per un certo periodo di tempo». Nei loro confronti non basta la «condanna sociale» e legale: occorre il sostegno per la soluzione di disagi profondi. Infatti «comprare sesso da una prostituta non risolve problemi che sorgono dalla solitudine, dalla frustrazione o mancanza di relazioni autentiche». Prevenire la richiesta, dunque, ma anche il traffico, e riabilitare le vittime della coercizione sia maschile che femminile: purtroppo, anche alcune donne «partecipano all’oppressione e alla violenza verso altre donne e alcune, anzi, sono spesso scoperte all’interno di reti criminali collegate alla crescita della prostituzione».
Nella parte finale del documento si sottolinea il bisogno di «una rinnovata solidarietà nella Chiesa e tra le congregazioni religiose, i movimenti laicali, le istituzioni e le associazioni al fine di dare maggiore visibilità e attenzione a questa cura pastorale». E, non a caso, si ricorda l’impegno generoso ed efficace di molte suore in centri di accoglienza, alloggi e case sicure, programmi di formazione ed educazione; e anche alcuni ordini contemplativi si fanno solidali attraverso la preghiera e l’aiuto finanziario. Il testo richiama l’urgenza di formare appositi operatori pastorali (compresi seminaristi, religiosi e sacerdoti), in collaborazione con le Chiese di origine, di transito e di destinazione delle ragazze: «Le Conferenze episcopali – scrive il testo – devono assumere la responsabilità di denunciare questa piaga sociale. Si suggerisce ai vescovi di incoraggiare nelle loro Lettere pastorali la promozione e la protezione della dignità umana delle donne e dei minori». Con questa notazione finale entro nella seconda parte di queste mie semplici riflessioni.
La Chiesa si fa prossima
In questi ultimi decenni la Chiesa è stata pronta nell’avvicinare bambini e donne di strada. Ed ha cercato di comprendere le ragioni e individuarne le soluzioni. Ho accennato al Primo Incontro Internazionale di Pastorale per la Liberazione delle Donne di strada promosso da questo Dicastero. Si debbono ricordare anche altri convegni sui bambini di strada, come pure gli interventi della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali con la promozione di riflessioni in materia coinvolgendo non solo studiosi ma anche rappresentati delle diverse fedi religiose. Questo per restare solo nell’ambito della curia romana. Innumerevoli sono gli interventi a livello locale: un fittissima rete di amore e di misericordia che con tenerezza e coraggio, talora davvero eroico, cerca di raccogliere e salvare queste sorelle e questi fratelli dalle catene della schiavitù.
C’è bisogno tuttavia di continuare a riflettere su queste drammatiche schiavitù che deturpano la società umana. Ed è indispensabile promuovere in ogni modo una nuova responsabilità sia dei fedeli che degli uomini di buona volontà per commuoversi e piegarsi su questo notevole numero di nuovi schiavi e nuove schiave. E’ quanto mai opportuno perciò che questo Pontificio Consiglio continui con tenacia a riflettere, a denunciare e a suggerire proposte. C’è bisogno di occhi più attenti per leggere la storia anche nelle sue pieghe più nascoste. Aveva ragione papa Benedetto XVI nel dire che la Chiesa ha “un cuore che vede”. L’intelligenza della fede infatti porta i credenti a leggere con maggiore profondità le ferite e a suggerire con più creatività il farsi “prossimi” ai colpiti. E non dimentichiamo che “prossimo” è il superlativo di “proper”, quindi “i più vicini”. Sì, la Chiesa è chiamata ad essere “la più vicina” ai bambini di strada e alle donne di strada. La Chiesa deve, per definizione, farsi prossima, la più vicina, come suggerisce la parabola evangelica. Del resto quale immagine evangelica mete più in relazione l’uomo mezzo morto lasciato ai bordi della strada e i ragazzi e le donne della strada? La strada che porta da Gerusalemme a Gerico oggi è rappresentata dalle strade delle periferie delle megalopoli; e l’uomo mezzo morto di queste grandi città non è uno solo, sono milioni di bambini e di donne che i nuovi briganti sbattono ai margini della strada.
La donna e la sua stirpe come argine al male
Mi son chiesto perché in questo convegno viene trattato congiuntamente il tema dei ragazzi di strada con quello delle donne di strada. E non mi è parso casuale. Vi scorgo piuttosto una ragione che ho trovato in un passo biblico delle origini. E’ il momento della cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. Dio, nonostante la gravissima disobbedienza, non li abbandona. E compie due gesti. Anzitutto li “riveste”, perché non affrontino “nudi” la nuova vita con le sue durezze: “Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelle e li vestì” (Gn 3, 21). Non è questa un’immagine di tenerezza verso quella coppia che pure è peccatrice? Ma non solo questo. Dio si rivolge poi al serpente, che potrebbe apparire come il vero vincitore della scena, e gli annuncia la sua sconfitta che avverrà ad opera di un’alleanza tra la donna e la sua stirpe: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”(Gen 5, 15-17). E’ come se Dio ponesse un freno all’avanzate del male attraverso l’opera della donna e della sua stirpe, attraverso l’opera della madre con i suoi figli.
Il brano biblico è interpretato quasi unicamente in rapporto a Maria e a Gesù. Tale interpretazione cristologica e mariana non è però slegata a quella più generale della donna con i suoi figli. La donna e il bambino, le donne e i bambini, sono un argine, una barriera al dominio del male nel mondo. Anche le donne e i bambini di strada. Gesù, “nato da donna”, come dice Paolo, porta al suo culmine quella dimensione di argine del male sino alla sua sconfitta. E’ una missione per certi versi propria della donna e dei suoi figli. E’ vero che il nostro tema sembra apparire come l’esatto contrario, ossia come la vittoria del serpente. In verità quella parola biblica ci spinge a leggere più in profondità la drammaticità della situazione nella quale si trovano tanti milioni di bambini e di donne. In loro, Dio stesso si nasconde: nei bordi delle strade delle megalopoli Dio stesso si nasconde in questi bambini e in queste donne.
Ed è di qui, da queste periferie, che deve iniziare la risurrezione della società. E avviene attraverso la loro liberazione, la loro risurrezione. Di qui deve allora riapparire quella alleanza dell’inizio tra la donna e la sua stirpe contro il serpente. E la vittoria potremmo dire è la ripresa della famiglia, intesa in senso ampio, ossia la ripresa della dimensione della famigliarità, dell’incontro, del legame reciproco. Riprendendo l’esempio della parabola evangelica del buon samaritano direi che l’albergo è la famiglia, è la Chiesa, è la società stessa quando diviene appunto “familiare”. E c’è da aggiungere che forse l’albergatore, questa volta, ha il volto di una donna, di quella donna dell’inizio che Dio ha posto come argine al male. E la donna, nel contesto di cui parliamo, ha una forza tutta particolare. Sì, direi che le donne, nel contesto dei ragazzi di strada e delle donne di strada, hanno una forza in più, una vocazione più forte, più efficace di quella degli uomini. Ho letto in questo orizzonte l’impegno che, ad esempio, gli ordini religiosi femminili hanno preso per fronteggiare questo problema già nel primo incontro sulla tratta delle donne a cui ho accennato.
Il cardinale Bergoglio, i ragazzi e le donne di strada
Vorrei ora introdurre una pagina che riguarda il cardinale Bergoglio nella prospettiva di cui stiamo trattando. C’è un suo passaggio che vorrei ricordare come a sottolineare questa alleanza tra la madre e il figlio, tra la donna e la sua stirpe. Nell’omelia tenuta in occasione della celebrazione della Messa per la vita il 25 marzo 2011 nella Cattedrale di Buenos Aires, il cardinale richiamava a concentrarsi sullo sguardo di Maria per i piccoli, per i ragazzi. E diceva: «Sappiamo accompagnare la vita? La vita dei nostri ragazzi, dei nostri figli e di coloro che non lo sono… sappiamo dare ai ragazzi degli incentivi durante la loro crescita? Sappiamo porre dei limiti nella loro educazione? E i ragazzi che non sono nostri, quelli che – perdonatemi l’espressione – sembrano i “figli di nessuno” preoccupano anche me? Sono vita! È alito di Dio! O mi preoccupa di più prendermi cura del mio animale domestico […]? Mi prendo cura della vita dei bambini quando crescono? Mi preoccupo per le compagnie che frequentano? Mi preoccupo affinché crescano maturi e liberi? So educare i figli nella libertà? Mi preoccupo dei loro svaghi […]?”.
Lui per primo, come vescovo, richiamò l’attenzione da avere per i ragazzi di strada. In uno dei pellegrinaggi dei giovani al Santuario di Nuestra Señora di Luján, scrisse una bellissima lettera sull’infanzia e l’adolescenza a rischio. Dopo aver stigmatizzato la brutalità di questa condizione, scrive: “In questi ultimi anni si sono incorporate al paesaggio cittadino nuove realtà: blocchi stradali, picchetti, persone che vivono nei villaggi… Una realtà, a mio parere la più dolorosa, che si è imposta in questo paesaggio ha come protagonisti i bambini. La presenza di situazioni ingiuste e rischiose di cui sono vittime i nostri bambini e i nostri adolescenti ci rende colpevoli e ci commuove. Bambini e giovani che vivono per le strade, medicando, dormendo nelle stazioni della metropolitana e in quelle ferroviarie, talvolta in ricoveri di fortuna, da soli o in gruppo, sono realtà di tutti i giorni nel paesaggio cittadino. Bambini e adolescenti che raccolgono cartone e rovistano nell’immondizia alla ricerca di quello che sarà probabilmente il loro unico pasto quotidiano, anche a tarda notte. Bambini e giovani, spesso sotto gli occhi dei grandi che li controllano, sono occupati in diversi lavori formali e informali, vendono cose, puliscono i parabrezza delle auto, aprono le porte delle automobili o distribuiscono santini nelle metropolitane.” (Carta por la Niñez, 2 ottobre 2005).
Questa sua sensibilità la trasferì anche nel documento di Aparecida: “Vediamo con dolore le esperienze di povertà, di violenza familiare (soprattutto nelle famiglie irregolari e disgregate), di violenza sessuale, per le quali passano in gran numero i nostri bambini: il lavoro minorile, i bambini di strada, i bambini portatori di HIV, gli orfani, i bambini soldato, i bambini e le bambine illusi ed esposti alla pornografia e alla prostituzione forzata, tanto virtuale quanto reale. Soprattutto la prima infanzia (da 0 a 6 anni) ha bisogno di attenzione e di speciale sollecitudine. Non si può rimanere indifferenti davanti alla sofferenza di così tanti bambini innocenti” (DA 439).
“Questa realtà – sosteneva nella lettera citata sopra – parla di un degrado morale sempre più esteso e profondo, che porta a domandarci su come recuperare il rispetto per la vita e per la dignità dei bambini. A molti di loro stiamo rubando l’infanzia e ipotecando il futuro: è una responsabilità che pesa su tutti e in particolare su coloro che hanno maggior potere, educazione e ricchezza”. Il cardinale esorta poi a prendere coscienza del fatto che “ogni bambino emarginato, abbandonato o che vive per la strada, con limitato accesso ai benefici dell’educazione e della salute, è espressione completa non solo di un’ingiustizia ma anche di un fallimento istituzionale che comprende la famiglia ma anche chi la circonda, le istituzioni del quartiere, la parrocchia e i diversi dipartimenti dello Stato, nelle varie espressioni”.
E ancora: “molte di queste istituzioni reclamano una risposta immediata, ma non con l’immediatezza della luce di un razzo. La ricerca e la messa in atto di risposte che non siano di ripiego non può farci dimenticare che è necessario un cambiamento di cuore e di mentalità, che ci porti a dare maggior valore e maggiore dignità alla vita di questi bambini sin dal grembo della madre, e fino al riposo eterno tra le braccia di Dio Padre, e ad agire ogni giorno di conseguenza. Dobbiamo addentrarci nel cuore di Dio e iniziare ad ascoltare la voce dei più deboli, questi bambini e adolescenti, e ricordare le parole del Signore: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me ” (Mt 18,5); e “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,10)”.
Alla lettera, il cardinale, fece seguire un allegato nel quale richiamava la politica al grave compito di edificare una società umana a misura dei piccoli. Non è questione di qualche provvedimento in più – sosteneva – ma di ripensare l’intera società, perché è solo da un armonioso sviluppo della società che si evitano piaghe purulente come queste dei bambini di strada. Non manca di richiama il compito della scuola e delle altre istituzioni educative. Ma si ferma di più a sottolineare l’urgenza di “rafforzare i legami familiari”. E richiama la Convenzione dei Diritti del Bambino citandone alcuni passaggi. Tra gli altri questo: “Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività… riconoscendo che il fanciullo ai fini dello sviluppo armonico e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione” (Convenzione dei Diritti del Bambino).
Papa Francesco, la vocazione e la missione della famiglia
Avviandomi alla conclusione vorrei iscrivere quanto detto nell’orizzonte della vocazione e missione della famiglia così come papa Francesco l’ha delineata nel corso delle catechesi del mercoledì di questo anno, soprattutto nelle ultime tre ove delinea la vocazione e la missione della famiglia, liberandola dalla sua involuzione familistica. Se la famiglia – com’è iscritta nel disegno della creazione ‒ si apre al più vasto orizzonte del legame sociale, può ben conquistarsi il diritto di stare al timone della storia, della cultura, della politica e dell’economia dei popoli: sarebbe un’autentica rivoluzione per la comunità umana. La riapertura di questo orizzonte è la visione che deve guidare il rinnovamento ecclesiale di questa fase storica, come pure il suo compito di essere famiglia per chi non l’ha o per quelle che sono lacerate dalle ferite. C’è bisogno di ritessere quella rete di familiarità che purtroppo oggi è sempre più sfrangiata che sola può accogliere e salvare coloro che sono messi ai margini e i ragazzi e le donne di strada tra i primi.
Nella prospettiva della fede, la famiglia è condotta oltre se stessa. Si potrebbe dire che per sua natura deve essere “in uscita”, appunto, “sulla strada” e nello stesso tempo sempre “aperta” per accogliere. E questo può accadere se si riscopre quella vocazione che Dio all’origine della creazione ha dato all’alleanza dell’uomo e della donna perché con Lui custodissero il creato e formassero le generazioni. Il sacramento cristiano ha incorporato questa vocazione e questa missione nel legame indissolubile di Cristo e della Chiesa.
Una Chiesa che si rende disponibile a sostenere questo protagonismo, è una Chiesa che prende sul serio la sua stessa ricomposizione come alleanza famigliare e popolo di famiglie. Dobbiamo affermare che la Chiesa è chiamata a riscoprire la sua dimensione di «famiglia di Dio». E il popolo dei credenti – al cui interno la famiglia cristiana trova il suo posto essenziale – è chiamato a riapparire come la fioritura comunitaria di un ordine degli affetti che si apre all’amore di Dio e che si allarga senza porre nessun confine. E la sua grammatica è quella che viene appresa nel passaggio attraverso la condizione famigliare dell’uomo e della donna, del bambino e dell’anziano, del forte e del debole, del sapiente e del semplice, dell’uomo e della donna.
Papa Francesco allarga ancora il suo sguardo. Vuole una Chiesa che, attraverso una fitta rete delle comunità famigliari, rilanci una trasversale riapertura che accolga chiunque ha bisogno di fraternità, scardinando il familismo deteriore di «due cuori e una capanna». È sul filo di un nuovo entusiasmante appello alle famiglie ad allargare il cuore e le braccia perché nessuno sia escluso. E’ una storia che Papa Francesco, nelle catechesi, fa partire da Nazareth. Ma che deve andare lontano. Anche i ragazzi di strada e le donne di strada rientrano in questo orizzonte della familiarità. L’immagine della Chiesa allora deve acquistare i tratti di comunità famigliari credenti, che abitano la città e le case e a allargare il cuore a chiunque ha bisogno di affetto e di aiuto.