Esequie di Maurizio Manili

Esequie di Maurizio Manili


Carissima Morena, Yuri,  il papà Franco, familiari, care sorelle e fratelli  


 


Ci ritroviamo oggi in questo santuario a noi così caro per dare il nostro ultimo saluto a Maurizio. E’ un’altra vita strappata da questa nostra terra con incredibile violenza. E’ esperienza comune quella della forza del male che si abbatte sulla vita umana e che facciamo fatica a comprendere. Ma sappiamo anche che il male non agisce da solo, ha sempre accanto a sé alleati irresponsabili, servi ciechi e crudeli che di fatto gli spianano la strada sino alla morte. E il dramma di queste ultime morti sul lavoro non è che l’anello di una lunga catena di morti sul lavoro che sembra inarrestabile. E purtroppo la nostra terra umbra sembra averne il triste primato. Ci chiediamo increduli: com’è possibile che si continui a morire sul lavoro? Com’è possibile che il lavoro che deve essere fonte di vita diviene luogo di morte? Dio ha dato un’alta dignità al lavoro. Lui stesso ha lavorato sei giorni nella creazione per poi riposarsi il settimo giorno. Da noi, invece, il lavoro sembra non contare e ancor meno la vita del lavoratore. Ed ecco allora che il luogo di lavoro diviene per colpa dell’incuranza, per colpa di un facile profitto, occasione di morte.


E tutto è ancor più tragico se ci troviamo di fronte a chi, come Maurizio, ha amato il lavoro, lo ha curato, lo ha sviluppato. Sì, Maurizio, come ogni lavoratore, partecipa all’azione creatrice e ha diritto al giusto guadagno e al meritato al riposo. E invece non solo non c’è stato il riposo, ma gli è stata tolta anche la vita. Voi che lo avete conosciuto sapete meglio di me quanto Maurizio fosse appassionato del suo lavoro, quanto si è adoperato per la sua azienda, quanto si curava dei dipendenti e del loro lavoro. Sì, alcuni di voi mi hanno detto di lui che era un imprenditore modello. E questo rende la sua morte ancor più offensiva della  vita e del lavoro. E soprattutto crea un vuoto incolmabile per la moglie, il figlio, il papà e gli altri familiari. Non è più possibile che accadano morti come queste. Ma si richiede che tutti noi, nessuno escluso, che l’intera società, a partire da chi ha responsabilità per il lavoro, dobbiamo impegnarci in maniera nuova perché la morte di questi nostri fratelli non sia avvenuta invano. Non solo non possiamo dimenticare quanto è accaduto, soprattutto dobbiamo trovare i modi perché tutti i luoghi di lavoro siano sicuri, perché i familiari che restano a casa non debbano più avere paura per i loro cari che lavorano. Non è possibile indugiare oltre. C’è bisogno di un sussulto morale, di un’attenzione nuova, più responsabile per chi lavora. Penso al gran parlare di questi giorni sulla questione del dare o meno la morte; mi chiedo se non dovremmo parlare di più di come evitare la morte sui luoghi di lavoro, di come creare e sostenere una cultura nuova della vita, una nuova sensibilità verso i familiari di chi è colpito. L’altro giorno al funerale di Giuseppe un fratello diceva: non vi dimenticate di noi. No, non vi dimenticheremo. E’ vero purtroppo che non di rado la nostra indifferenza, la nostra non curanza, l’attenzione solo ai nostri interessi si infiltra velenosa nelle pieghe della la vita, quella del lavoro fino a spianare la strada alla morte e quella tra noi sino a farci dimenticare degli altri.


Ma abbiamo visto, care sorelle e cari fratelli, quanto siamo fragili, quanto è facile cadere! C’è bisogno di chiedere al Signore che cresca nel nostro cuore l’amore, l’amicizia, la solidarietà, il rispetto reciproco. L’indifferenza, la lontananza senza dubbio spianano la strada al male e alla morte. Noi siamo qui in questa santa Messa che ci fa stringere attorno a Maurizio. Ho voluto essere presente anch’io a nome dell’intera diocesi per stringerci gli uni accanto agli altri, come a volerci proteggere, come a non voler abbandonare né Maurizio, Né i familiari e neppure noi stessi. E’ l’amore vicendevole che ci rende tutti più forti e più sereni anche per il futuro. Sentiteci così vicini a voi cara Morena e Juri.


Ho voluto scegliere per questa celebrazione il brano evangelico della sepoltura di Gesù: è quel che anche noi facciamo con Maurizio, che aveva solo dieci anni più di Gesù. Come Giuseppe di Arimetea, come quelle donne, anche noi infatti siamo attorno al corpo morto di questo nostro fratello dopo che è stato anche lui “crocifisso” dalle fiamme. E ora non possiamo fare altro che piangere e pregare; lei anzitutto, cara signora Morena, che ha perso uno sposo esemplare, tu carissimo Juri che perdi il papà, voi familiari che perdete familiare. Maurizio vi ha amato, curato, cresciuto, sostenuto. Sì, noi non possiamo fare altro che piangere come accadde anche ai familiari di Gesù, davvero disperati per quella morte così atroce. Quella scena evangelica è anche la vostra e la nostra. Narni non ha perso solo un suo figlio, ma una parte di sé.


Ed eccoci così, con il nostro dolore accanto a Maurizio e davanti al Signore. Questa santa Messa è una invocazione per questo nostro fratello perché sia accolto nelle mani di Dio. E la fede ci apre uno spiraglio e ci fa vedere Gesù – come noi diciamo nel credo – che è sceso negli inferi. Sì, Gesù quando è stato posto nel sepolcro non è rimasto inerte, è sceso negli inferni di questo mondo, è sceso nell’inferno di fuoco scatenatosi a Campello sul Clitunno e ha raccolto tra le sue braccia nche Maurizio assieme agli altri tre compagni perché non cadessero nel nulla e li porta nel cielo, in quella città ove non c’è più né lutto né lacrima e ove la morte non avrà più alcun potere.