Esequie di don Zbignew Szymczyk

Carissimi sacerdoti, care sorelle e cari fratelli,

ci siamo raccolti oggi attorno all’altare per consegnare don Zibi nelle mani misericordiose del Signore e per dare a lui il nostro ultimo saluto. Quante volte lo abbiamo avuto accanto nelle celebrazioni proprio qui a San Francesco o nella concattedrale di Amelia! Lo ricordo nell’ultima celebrazione di poco tempo fa pregare assieme a noi. Oggi varca la soglia di questa chiesa per l’ultima volta, prima di intraprendere il tratto di strada che lo separa dal cielo. Siamo stati tutti colpiti amaramente dalla sua morte così prematura e siamo tristi per il distacco. Lo siamo noi tutti di questa diocesi e voi, carissimi familiari, che siete venuti dalla Polonia per stare accanto a questo fratello che avete amato e stimato, e che ora attendete che torni nella vostra terra per riposare nella pace.
Egli ha chiuso la sua vita terrena proprio mentre terminava l’anno sacerdotale. Non è una coincidenza casuale. La sua morte viene come a suggerirci che l’intera vita di don Zibi si racchiude proprio nella sua vita spesa per il servizio sacerdotale. La Madonna Nera di Czestochowa, alla cui ombra nacque 48 anni fa, lo ha fatto crescere durante la fanciullezza nella fede facendo maturare in lui la vocazione al sacerdozio. Attese la laurea in chimica, avuta nell’università di Cracovia, per entrare nella Compagnia di Gesù ove fu consacrato sacerdote. Venne inviato missionario ad Atene e divenne parroco dei polacchi residenti in Grecia. Qui svolse con passione il suo ministero pastorale. L’ambiente era difficile, non di rado ostile, ma lui sapeva intrattenere rapporti di amicizia con tutti, con i piccoli per i quali spendeva molto del suo impegno e con i grandi anche della Chiesa ortodossa. Qui apprese quella visione larga della Chiesa che tante volte gli ho riconosciuto e che ha più volte testimoniato anche tra noi. La sua vita in Grecia non è stata lineare e senza disagi e sacrifici. Li ha affrontati con coraggio pagando l’impegno anche con problemi alla salute.
Lo incontrai a Roma e mi espresse il desiderio di poter venire nella Diocesi per vivere qui il suo servizio sacerdotale e poter realizzare un suo sogno: quello di creare un luogo ove accogliere gli artisti di vari paesi e lavorare con loro per far incontrare e crescere assieme la fede e la bellezza, quasi a voler rendere colorata l’una e piena di senso l’altra. Lo abbiamo visto lungo questi anni realizzare momenti particolarmente significativi con decine di artisti dei vari paesi europei, sia dell’Est che dell’Ovest, che di tempo in tempo si riunivano assieme, a partire da Poggio e poi in altri nostri centri, e poi spargersi nella contemplazione di questa nostra terra per dipingerne la bellezza e la fede. E con loro discuteva della vita, delle domande e delle speranze della società contemporanea. Don Zibi era un uomo di notevole cultura e attento alle correnti filosofiche contemporanee di cui discuteva con gli artisti. E’ stato un apostolato singolare e per certi versi unico. E in tanti hanno mostrato gratitudine per questo servizio.
Tutto in lui però partiva dal suo cuore sacerdotale. Abbiamo ascoltato il brano del Vangelo di Giovanni che narra il colpo di lancia che lacera il cuore di Gesù. Per un verso ci ricorda che don Zibi è stato colpito dalla morte proprio nel cuore, ma soprattutto sottolinea che è nel suo cuore di sacerdote che si racchiude il segreto della sua vita. Chi è un prete se non un discepolo che si lascia ferire il cuore dai bisogni e dalle domande della gente e che accetta di spendere la sua vita per il Vangelo e per i fedeli che vengono affidati alle sue cure? Il Vangelo della morte di Gesù ricorda in particolare a noi sacerdoti, ma anche a tutti i credenti, che la vita ci è stata donata perché la spendiamo per il Signore e per i fratelli. E dobbiamo donarla con amore, appunto, con tutto il cuore. Gesù ha amato sino all’ultima goccia del suo sangue. E’ la via che i sacerdoti debbono seguire sull’esempio di Gesù. E’ da un cuore che ama così che scaturisce quella forza attrattiva che porta al Signore, come scrive Giovanni: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. Carissimi sacerdoti è una alta indicazione anche per noi.
Questo non per invitarci ad avere una grande idea di noi stessi. La Lettera agli Ebrei ci ricorda la nostra debolezza e le nostre fragilità che il sacramento non annulla. Ma il Signore sceglie la debolezza che noi siamo per renderci servi dei suoi santi misteri. Il Papa lo ha sottolineato nei giorni scorsi parlando ai sacerdoti. Sì, per misericordia, per grazia, siamo ministri di Dio. Così lo era don Zibi. Lo ricordo a Poggio, la prima parrocchia che ha avuto nella nostra Diocesi, ove con amore ha servito i grandi e i piccoli. I bambini erano felici di stare con lui, con questo singolare parroco che parlava loro di Gesù, che li raccoglieva per insegnare loro inglese, che si prodigava per il restauro della piccola ma splendida chiesina parrocchiale di San Nicola, e soprattutto che si prendeva cura della loro fede. Quando fu necessario nominarlo parroco in altra sede lo inviai a Santa Maria in Campitelli anche per realizzare il suo sogno di un luogo per radunare gli artisti. Ha amato questa parrocchia e ha iniziato non solo a restaurane le mura ma ad accompagnare i fedeli perché crescessero nell’amore di Dio.
Purtroppo la forza del male lo ha strappato in maniera violenta alla vita e al ministero pastorale. Desidero dire un grazie all’impegno incredibile dei medici della cardiochirurgia che hanno fatto il possibile per tenerlo tra noi. Il suo corpo ha ceduto mentre nell’ospedale si era iniziata l’adorazione eucaristica per invocare su di lui la misericordia di Dio. E’ passato da questo mondo al Padre accompagnato dalla preghiera. E il Signore che lo aveva scelto tra gli uomini per servire le cose che riguardano Dio lo accoglie ora tra le sue braccia perché possa nel cielo partecipare alla gloria dei servi del Signore.