Dialogue Between Religions and Cultures: Is It Still Relevant?

Intervento all'incontro internazionale per la pace a Washington

La domanda che ci poniamo in questa tavola rotonda tocca uno dei nodi centrali di questo nostro incontro. E non è una domanda semplicemente teorica. Essa fa i conti con la storia di oggi e con il futuro stesso del nostro pianeta. Quando nel secolo scorso si ritrovarono a Chigago rappresentanti di diverse religioni per un meeting, diverso da questo ma con qualche analogia, non si posero questa domanda. Oggi siamo obbligati a porcela. L’attentato terroristico contro le due torri, dell’11 settembre del 2001, assieme agli altri che si sono susseguiti successivamente, ha segnato uno spartiacque nella storia del mondo. Si è detto e scritto a tale proposito. E molto è cambiato nella politica internazionale. Senza dubbio sono cresciute preoccupazione, incertezza, diffidenza, ansietà per il futuro del pianeta. A dire il vero sembra che sia finito un mondo. Ed in effetti è evidente la percezione di un profondo cambiamento nei rapporti tra popoli. Appare tramontata una visione ottimistica delle relazioni tra culture e popoli. Tutti ormai conosciamo la tesi di Huntington sul “conflitto tra le civiltà”, che sembra divenire sempre più una realtà e non più una ipotesi. Si sentono perciò spesso interrogativi come questi: non è finita la stagione del dialogo? Del resto, a che serve dialogare tra le culture, i popoli e le religioni? E comunque le religioni non sono destinate in ogni caso a contrapporsi? E il dialogo non rischia di aprire ingenuamente le porte alla violenza?


Ebbene, di fronte a tale situazione noi siamo qui a dire che il dialogo è l’unica via per superare la deriva perché è l’unico modo vero per comprenderci gli uni gli altri. Non dobbiamo perciò lasciarsi sopraffare dalle ondate di pessimismo, generatrici di diffidenza, di chiusura, di ripiegamenti su di sé. Le religioni, che peraltro sono tornate sullo scenario pubblico, sono decisive per stabilire un legame di fraternità tra i popoli. È vero che possono essere coinvolte nell’alimentare i conflitti, nel sacralizzare i confini, nel benedire le diffidenze ataviche e nel battezzare quelle nuove. E in effetti dobbiamo rilevare che le religioni sono attualmente sottoposte all’ambigua pressione delle passioni di parte e di quelle nazionalistiche. Tanti cercano, anche nelle religioni, motivi per elevare barriere protettive e per tagliare ponti ritenuti pericolosi. Ne nascono temibili fondamentalismi (che sono la malattia infantile delle religioni) per cui la vita umana può essere sacrificata. Tutti ci rendiamo conto della crescita del tasso di odio e di risentimento lungo le strade del mondo, ed è facile che qualcuno imbocchi i sentieri della violenza e perfino del terrorismo. Non c’è dubbio che ci sono motivi per dire che è l’ora di chiudersi e non di dialogare, che è l’ora del ferro e non della mano tesa. Ma non è questo comunque l’atteggiamento che le religioni, pur nella differenza della loro spiritualità e dei loro cammini di fede, hanno verso l’uomo. Esse, nella loro diversità, parlano ad un uomo che considerano debole e peccatore e a cui indicano una via (o delle vie) per raggiungere la perfezione. Le religioni comunicano all’uomo la speranza che, con le armi spirituali della fede, può divenire migliore.


E questa responsabilità deve crescere nella coscienza degli uomini e delle donne di religione. È la responsabilità di comunicare agli uomini spaesati del nostro tempo la speranza di essere migliori. È un compito che ciascuna religione deve sentire per i propri aderenti, ma è urgente che assieme lo sentano anche per il mondo. È questa la prospettiva che emerge da questi nostri incontri, fin da quello di Assisi del 1986 voluto da Giovanni Paolo II. Sono passati venti anni da allora e quell’evento continua a farci sognare un mondo in cui è possibile convivere tra uomini e donne di religioni e culture diverse. In questi anni l’incontrarsi ha preso la forma di un libero e partecipe dialogo tra credenti, e tra laici e credenti, conclusosi in un convergere comune verso un messaggio di pace a partire dalla preghiera delle diverse religioni. Questi incontri hanno liberato non poche energie di pace. Il dialogo è anche una proposta che sorpassa le frontiere del mondo religioso e che si fa metodo di ricerca per la pace. Questi incontri creano un clima di comprensione e di affezione tra esponenti di mondi religiosi diversi e storicamente lontani. Non debbono perciò vincere il pessimismo e la paura che ci rendono tutti più deboli: quella paura che fa divenire ora aggressivi ora intimamente fragili. La forza dei credenti non è l’arroganza, ma la santità e la sapienza: la forza interiore di chi, al di là degli avvenimenti più o meno difficili, sa indicare la via del bene. C’è una forza interiore nelle religioni vissute che sa indicare la via del bene. Insomma la fede impegna “con” e non “contro” gli altri. E’ chiaro che in questo orizzonte è totalmente esclusa la realizzazione di una sorta di democrazia delle religioni, o di una intesa a ribasso tra di esse con un comune denominatore religioso. Dialogare non significa perdere o attutire la propria identità; ma neppure rinunciare alla condizione, a tutti comune, di essere sempre cercatori della salvezza propria e altrui. I molteplici incontri realizzati in questi anni, segnano un itinerario per questo millennio. Non mancano le difficoltà, ma c’è una convinzione di fondo: le mura che separano le religioni l’una dall’altra non arrivano sino al cielo. E il cielo, fin da ora, sta sopra i muri: il suo nome è Amore, un cielo che va oltre la fede (le fedi) o meglio che le comprende tutte. Questo “segno dei tempi” ch’è l’incontro tra i credenti di diverse fedi va coltivato con perseveranza e con decisione, perché porti frutti buoni per tutti. Si tratta, infatti, di liberare le energie presenti nelle diverse tradizioni religiose per evitare il rischio che restino asfittiche nel chiuso delle singole credenze. Tali incontri non sono un disagio da subire, ma una opportunità che può arricchire i credenti di ogni religione. Ed ecco perché oggi qui a Washington, di fronte alle enormi sfide che salgono dal nostro pianeta, questo incontro mostra non solo che è possibile, ma che è una via di speranza per tutti.


ENGLISH VERSION


La preghiera internazionale per la pace a Washington organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio