Pasqua 2006 – Venerdì santo

Pasqua 2006 - Venerdì santo

Care sorelle e cari fratelli,


abbiamo iniziato questa santa Liturgia prostrati a terra, come a voler imitare, almeno esternamente. Gesù prostrato nell’orto degli ulivi per l’angoscia che sentiva.


Come restare insensibili davanti ad un amore che giunge sino alla morte pur di non abbandonarci? “Noi tutti – scrive Isaia – eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada… Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… E’ stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità”.


Gesù è trafitto nel cuore ancora oggi dalle cattiverie che gli uomini si lanciano tra loro, ed è schiacciato ancora oggi dal peccato, dalle guerre, dalle ingiustizie, dalle violenza che schiacciano uomini e donne in tante parti della terra. Il profeta aggiunge: “si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello”. Gesù davvero è come un agnello che ha ingaggiato la lotta contro il male: un agnello in mezzo ai lupi, come è avvenuto anche al mio compagno don Andrea Santoro e tanti altri martiri uccisi ancora oggi, appunto, come agnelli, solo perché amavano e spendevano la loro vita per gli altri.


Gesù non voleva morire, tanto che disse mentre era prostrato nell’orto: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice; sia fatta però no la mia la tua volontà”. E quale fosse la volontà di Dio, Gesù lo sapeva bene; lo disse una volta ai discepoli: “La volontà del Padre mio è che io non perda nessuno di quelli che mi hai dato”. La volontà di Dio era evitare che il male ci travolgesse, che la violenza omicida fosse l’unica forza che muove gli uomini, che la morte ci inghiottisse nel nulla. Ebbene Gesù si è lasciato schiacciare lui dalla morte per evitare che travolgesse noi. Non voleva perderci; nessun discepolo doveva essere rapito dal male e dalla morte. E la passione continua ancora oggi; continua nei numerosi orti degli ulivi sparsi nel mondo ovunque ci sono uomini e donne lasciati soli nell’angoscia: penso ai malati abbandonati e soli, ai colpiti dall’Aids


in Africa, ai profughi delle numerose guerre, ai condannati a morte, a coloro che sono in preda dell’angoscia, e a tanti altri di cui neppure ci accorgiamo ma che sudano sangue per il dolore e la disperazione.


Il Vangelo della passione che oggi abbiamo ascoltato inizia proprio dall’orto degli ulivi e le parole che Gesù rivolge alle guardie esprimono bene la sua decisione di non perdere nessuno. Quando arrivano i soldati, è Gesù che va loro incontro; non solo non fugge, sembra persino prendere l’iniziativa: “Chi cercate?” “Gesù, il nazareno!”, gli dicono. E lui: “Se cercate me, lasciate stare costoro”. Non vuole che i suoi siano colpiti; vuole salvarli dal male; non vuole che noi siamo colpiti, vuole salvarci. Del resto, ha passato tutta la vita a raccogliere i dispersi, a guarire i malati, ad annunciare un regno di pace, di giustizia e di amore. Ed è proprio questo impegno che motiva la sua condanna a morte. Da dove nasce l’opposizione contro di lui? Dal fatto che era misericordioso, troppo; dal suo amore per tutti, persino per i nemici. Frequentava troppo i peccatori e i pubblicani. E poi perdonava tutti, e facilmente. In troppi gli andavano dietro. E questo era pericoloso; disturbava il potere dei forti e la tranquillità della maggioranza. Sarebbe stato sufficiente attutire un poco le esigenze del Vangelo oppure allontanarsi da Gerusalemme o, comunque, pensare un po’ più a se stesso e un po’ meno agli altri e lo avrebbero lasciato in pace, non sarebbe finito sulla croce. Pietro –


per fare un esempio – fece così: un po’ seguì il Signore, poi ritornò sui suoi passi, ma all’interrogatorio della serva lo rinnegò. Con due o tré “non lo conosco”, si salvò.


Gesù, invece, non rinnegò ne il Vangelo, ne Pietro, ne gli altri. L’evangelista Giovanni fa intuire che ad un certo punto bastava poco a Gesù per salvarsi. Filato, che era convinto della sua innocenza, gli fece capire che bastava anche un semplice chiarimento. Ma Gesù taceva. “Non mi parli? – chiese Filato – Non sai che ho il potere di metterti in croce?” Pietro parlò e si salvò. Gesù tacque e fu crocifisso. Tacque non perché non sapeva che dire, tacque perché doveva prendere sulle sue spalle tutte le nostre croci perché noi ne fossimo sollevati. Non voleva che il male ci schiacciasse. Con


quella croce che si è presa sulle sue spalle ci ha salvati. Ecco perché oggi la Santa Liturgia la fa entrare solennemente, noi ci inginocchieremo davanti ad essa e la baceremo. La croce non è più per noi una maledizione, è Vangelo, è buona notizia, è fonte di una nuova vita: “Ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga (Tt 2, 14). Su quella croce Gesù ha sconfitto la legge dell’amore per se stessi. Gesù ha tolto agli uomini la paura di servire gli altri, la paura di essere solidali, la paura che il Vangelo ci tolga qualcosa. La croce invece ci libera dalla schiavitù di pensare solo a noi stessi, di amare solo noi stessi, e ci dona la libertà di allargare le mani e il cuore sino ai confini della terra. Ecco perché questa Liturgia è segnata in modo del tutto particolare da una lunga preghiera universale che allarga le braccia della croce sino ai confini della terra. Sì, il Venerdì Santo ci allarga il cuore come quelle braccia della croce perché tutti possano sentire la forza dell’amore di Dio che tutto supera, tutto copre, tutto perdona, tutto salva. Care sorelle e cari fratelli, allarghiamo il nostro cuore assieme a quello di Gesù e preghiamo per il mondo intero.