Comincia un nuovo anno
Il 2002 inizia con un forte e diffuso bisogno di protezione. Le immagini di quel terribile attentato dell’11 settembre, che ha cambiato il corso della storia, hanno scavato nel profondo della coscienza collettiva. Forse ha ragione chi dice che il nuovo secolo sia iniziato in quel giorno. E’ mutata la psicologia (tutti siamo ancora attoniti, sconcertati, allibiti, impauriti) ma nuove alleanze, prima impensabili, si sono costituite contro il terrorismo. Certo, con il terrorismo non si dialoga; anche se la lotta appare lunga e dura e prenderà i giorni e i mesi del 2002. Ma è solo un aspetto; si potrebbe dire: la “pars destruens”. Resta aperta l’altra parte, la “pars costruens”. Non possiamo non chiederci: quale futuro costruire dopo il “ground zero”? E si tratta del futuro dell’intero pianeta, non solo quello di una parte (debbono entrarvi a far parte l’Africa e il grande mondo dei poveri). La stessa inedita e preziosa alleanza contro il terrorismo richiede – pena una probabile inefficacia – l’impegno per la costruzione di un futuro comune che potrà realizzarsi unicamente sulla via della convivenza tra i popoli, tra le culture, tra le civiltà, tra le religioni.
La domanda è tra le più complesse: come è possibile convivere tra persone, fedi e popoli diversi? E’ una questione che traversa la geopolitica e la politica nazionale, i comportamenti civili e quelli religiosi. E riguarda anzitutto il cambiamento interiore delle persone, sia della coscienza che dei valori di riferimento. Non si tratta di perdere o attutire la propria identità scivolando verso una improbabile, e neppure auspicabile, omogeneizzazione. Semmai, il problema è come conservare le diverse identità senza che si pongano l’una contro l’altra, l’una nemica dell’altra. Insomma, si deve comporre la particolarità e l’universalità.
E’ ciò che possiamo chiamare l’arte del convivere tra diversi, che appare, peraltro, una sfida obbligata. La globalizzazione del mercato, della tecnica, delle comunicazioni rende impossibile ogni separazione. In passato si poteva vivere separati (penso all’Europa del “cuius regio eius religio”; si trattava allora della separazione tra cattolici e protestanti). Oggi questo è impossibile. L’ordine del mondo uscito dalla seconda guerra mondiale (quello che, nella sua drammaticità, ha comunque accompagnato gli ultimi cinquanta anni del Novecento con la divisione del mondo in due blocchi), non è più proponibile, anche se lo volessimo. Non resta altro che incamminarci verso un mondo in cui i diversi sappiano convivere. Ed è qui che bisogna concentrare i nostri sforzi: ossia ri-apprendere e ri-praticare l’arte del convivere (per secoli è stata possibile). E come ogni arte, anche questa richiede disciplina interiore, conoscenza e comprensione reciproca, superamento di pregiudizi e ricerca di valori condivisi. In tale orizzonte si staglia il messaggio di Woitjla per la giornata mondiale della pace: non c’è pace senza giustizia; non c’è giustizia senza perdono. La vera pace – scrive il Papa – è frutto della giustizia, ma senza il perdono che risana le (inevitabili) ferite la stessa giustizia diventa ardua. Il perdono non si oppone alla giustizia bensì al rancore e alla vendetta. Ambedue sono essenziali pilastri per il ristabilimento di una pace duratura.
C’è una convinzione che sta al fondo della speranza: nel cuore dei popoli (e, a maggior ragione, delle religioni) ci sono energie positive per la convivenza, assieme anche a forze cieche e violente. Sconfiggere queste ultime e liberare le prime, fa parte della difficile arte del convivere. Atenagora, un credente, nato in quel crogiuolo di popoli ch’è la terra balcanica, vissuto negli Usa e poi eletto patriarca ecumenico a Istanbul, diceva: “Tutti i popoli sono buoni. Ognuno merita rispetto e ammirazione. Ho visto soffrire gli uomini. Tutti hanno bisogno di amore, se sono cattivi è forse perché non hanno incontrato il vero amore…So pure che esistono forze demoniache e oscure, che a volte si impossessano degli uomini e dei popoli, ma l’amore di Gesù è più forte dell’inferno”. Nel 2002 il mondo ha bisogno di più giustizia e più perdono, o, se si vuole, di più ragione e più fede. E’ un’alleanza che può vedere laici e credenti operare assieme per una convivenza di pace.