Cari preti, prendete esempio dal Papa e predicate di più

Risposta ad Hans Kung pubblicata da "Panorama"

Hans Kung, in una lettera aperta indirizzata ai vescovi chiede che ci si avvii verso un nuovo Concilio. Inizia la lettera ricordando che con Ratzinger erano i più giovani teologi del Vaticano II. E in effetti – io ero allora studente di teologia – i loro testi attraevano. Oggi si trovano in due posti molto diversi con responsabilità diversissime. E se ne deve tener conto. Che il Papa – per fare un esempio – faccia ogni sforzo per ricondurre all’interno della Chiesa i lefebvriani, è suo compito diretto. Chi è “pastore” lo capisce bene: deve risponderne a Dio, come Gesù stesso quando si rivolse al Padre dicendo: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato”(Gv 18,9). Nel caso specifico comunque si richiedeva loro l’accettazione incondizionata del Concilio che peraltro resta la stella polare di Benedetto XVI. Un nuovo Concilio davvero non ha senso. Il che non vuol dire che non si debbano discutere i nuovi temi posti dalla cultura, dalla scienza, dall’economia e dalla politica in questo delicato passaggio storico, oltre che di quelli che riguardano la vita stessa della Chiesa. Si richiede una attenta pensosità e sedi adeguate per il dibattito. E il Vaticano II resta un riferimento decisivo. Se c’è una esortazione da fare è riprenderne in mano i testi. Quanti preti e laici delle nuove generazioni li hanno letti? C’è una “lettera” del Concilio che va riproposta. E Benedetto XVI lo fa indicandone una lettura nella prospettiva della “riforma” non della “discontinuità”. Lo suggerisce sia la visione teologica che la sapienza spirituale. E’ singolare poi che Kung sorvoli le tre encicliche di Benedetto XVI. Per fermarci solo all’ultima, la Caritas in Veritate, essa viene considerata da non pochi economisti come il manifesto che offre la visione più adeguata per far fronte alle nuove frontiere aperte dalla globalizzazione. Se poi si esamina l’elenco dei cosiddetti fallimenti, l’analisi di Kung, è non solo ingenerosa ma anche scorretta. Prendiamo il caso del dialogo interreligioso e di quello ebraico-cristiano. E anche solo in piccola parte posso parlarne per esperienza diretta. E’ miope non vedere la necessità di un intervento e onesto riconoscere le novità a partire dallo stesso discorso di Ratisbona che è un errore restringere all’incidente della citazione sull’Islam (tra l’altro è bene non scambiare gli incidenti di percorso con la sostanza del pensiero!). Aver posto il legame tra fede e ragione in una strettissima e indispensabile dialettica significa porre le basi per lo sradicamento di ogni fondamentalismo. Non c’è dubbio alcuno per Benedetto XVI che si debba promuovere il dialogo tra le religioni: “Qualcuno vorrebbe che noi crediamo che le nostre differenze sono necessariamente causa di divisione e pertanto al più da tollerarsi… Ma noi sappiamo che le nostre differenze non devono mai essere mal rappresentate come un’inevitabile sorgente di frizione o di tensione sia tra noi stessi sia, più in largo, nella società. Al contrario, esse offrono una splendida opportunità per persone di diverse religioni di vivere insieme in profondo rispetto, stima e apprezzamento, incoraggiandosi reciprocamente nelle vie di Dio”(a Gerusalemme). L’incontro – è bene ripeterlo – non deve avvenire a scapito della verità, la quale – continua Benedetto XVI –  “rende il consenso (tre le diverse fedi) possibile e mantiene ragionevole, onesto e verificabile il pubblico dibattito e apre la strada alla pace”. Anche nel dialogo con gli ebrei bisogna guardare più in profondità e cogliere quei passi in avanti che si sono visti nell’incontro nella Sinagoga di Roma quando un Papa e un Rabbino hanno commentato le Scritture l’uno accanto all’altro. E con edificazione reciproca. Ed è proprio Benedetto XVI a spronare i credenti dell’una e dell’altra religione a continuare in questo campo. Sul piano ecumenico bisognerebbe ascoltare l’Ortodossia per cogliere la stima e l’attesa verso Papa Benedetto. Non vado oltre a commentare gli altri punti indicati da Kung: sulla lotta all’AIDS dovrebbero piuttosto fare un esame di coscienza i Paesi occidentali che vogliono lavarsi la coscienza con la stantia riproposizione della cosiddetta prevenzione. Neppure mi fermo sulla questione della pedofilia, una ferita gravissima che ha trovato in Benedetto XVI colui che l’ha affrontata per primo in maniera decisa. E’ vero però che la Chiesa all’inizio di questo millennio si trova ad affrontare una sfida in parte nuova e comunque straordinaria. Al centro vi è la questione di un nuovo dinamismo della Chiesa per comunicare il Vangelo di sempre agli uomini di oggi. E’ una questione ampia che senza dubbio richiede una maggiore collegialità tra i vescovi (Benedetto XVI è consapevole di dare un nuovo dinamismo ai Sinodi dei Vescovi e già lo ha fatto nell’ultimo Sinodo sulla Parola di Dio). Così pure è indispensabile una più forte vitalità delle Chiese locali (dalle parrocchie ai singoli cristiani). E uno dei cardini del rinnovamento è proprio la predicazione del Vangelo, vera forza della Chiesa. Non dovremmo tutti guardare con ben più attenzione di quello che facciamo la predicazione di Benedetto XVI? Sono certo che se tutti i preti lo imitassero, una nuova linfa vitale scorrerebbe nelle vene delle Chiese. Ed è in questo versante, ben più che su quello organizzativo, che si gioca la riforma della Chiesa e la sua efficacia nel toccare i cuori degli uomini. Addossare poi a Benedetto XVI le “colpe” di una debolezza della Chiesa, significa dimenticare che essa è anzitutto comunione, ossia una corpo vivente chiamato a comunicare il Vangelo nella molteplicità delle funzioni e dei carismi. E Kung sa bene che non si può identificare la Chiesa con il Papa o con la gerarchia. Il rinnovamento della Chiesa è una sfida enorme che ricade su tutte le componenti di quel ricco, variegato e straordinario popolo che è la Chiesa cattolica. Su questa via deve essere accolta con più attenzione l’esortazione alle comunità cristiane di Benedetto XVI perché siano “minoranze creative”, come ebbe a dire in Slovacchia o, come scrive altrove, ad essere davvero “sale della terra”. Il rinnovamento della Chiesa passa nelle profondità dei cuori dei credenti ben prima che nella pur indispensabile dimensione organizzativa. C’è bisogno di più fede e di più santità o, se si vuole, di testimoni che sappiano dare la loro vita per il Vangelo e per gli altri. Solo così la Chiesa è davvero credibile e attraente. E, grazie a Dio, gli esempi, non mancano, neppure oggi.