Decennale dell’episcopato

Dieci anni dall'ingresso a Terni

Gentili autorità, care sorelle e fratelli tutti, 

     in questa terza domenica di Pasqua, il Vangelo ci riporta la terza volta che Gesù si manifesta ai discepoli. E anche noi ci ritroviamo nella liturgia domenicale attorno all’altare, invitati da Gesù stesso, come fece con i suoi discepoli su quella spiaggia: «Venite a mangiare». Era ed è una scena colma di emozioni e di domande, soprattutto di una, quella che Gesù fece a Pietro. Non fu una domanda sul passato e neppure sulle paure o sui tradimenti dell’apostolo. Gesù non chiese né chiarimenti né spiegazioni, ma solo: “Simone di Giovanni, mi ami tu?”. Era la domanda centrale, risolutiva, quella che cambia la vita. Gli apostoli, erano tornati a fare i pescatori di pesci, non più di uomini. Ma non riuscivano a pescare più nemmeno i pesci. Il Vangelo nota che Gesù si presentò sulla riva. E lui che aveva detto loro in passato: “Senza del me non potete far nulla”, dice : “Gettate le reti dalla parte destra della barca e troverete”. Ed in effetti, obbedirono e non riuscivano più a tirare su la rete tanto era piena di pesci. Davanti a tanto amore capiscono, o meglio il discepolo che Gesù amava capisce e grida: “E’ il Signore!” Giungono a terra e vedono il pranzo già preparato da Gesù. Terminato il pranzo, con il fuoco ancora acceso, Gesù guarda Pietro negli occhi e gli rivolge la domanda cruciale: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?» Gesù non ricordò a Pietro il triplice tradimento di qualche giorno prima, accanto al fuoco acceso ne cortile del Sommo Sacerdote. Gli chiese solo se lo amava. E Pietro, che si era vergognato di lui davanti ad una servetta, questa volta rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo ». Era una risposta più vera di quella che aveva dato nel cenacolo quando a Gesù che gli ricordava la sua debolezza rispose: «Per te sono disposto ad andare in prigione e alla morte» (Lc 22,33). Ora, la risposta era più vera, più umana. E, a lui che certo non poteva vantare meriti, Gesù disse: «Pasci i miei agnelli »; ossia, sii responsabile degli uomini e delle donne che ti affido. Ma come, proprio Pietro che aveva mostrato di non essere in grado di restare fedele, proprio lui doveva essere il responsabile? Proprio lui? Sì, perché ora Pietro accoglieva l’amore che Gesù stesso gli donava; e nell’amore si diviene capaci di parlare, di testimoniare, di prendersi cura degli altri. Gesù glielo chiede non una volta sola, ma tre volte, ossia sempre. La domanda sull’amore è centrale per la vita dei discepoli. Anche per noi, questa sera.

     Sono passati dieci anni da quando ho iniziato con voi un comune cammino. Questa sera ci ritroviamo attorno a questo altare, davvero simile a quella brace accesa sulla riva del lago di Tiberiade, e qui il Signore ci serve la Messa, l’Eucarestia. Noi, sullo slancio missionario di Giovanni Paolo II, abbiamo “gettate le reti dalla parte destra della barca”, ossia secondo le indicazioni del Vaticano II. E i frutti sono stati abbondanti. Sì, guardando indietro, a partire dagli anni del dopo Concilio con l’opera pastorale di mons. Quadri e del caro Mons. Gualdrini che da poco abbiamo accompagnato al cielo, possiamo dire che questa Chiesa diocesana – come tante altre – ha potuto gustare una pesca miracolosa. Le reti gettate sulla scia del Concilio hanno permesso un provvidenziale cammino. Gli apostoli contarono 153 grossi pesci. Forse noi non giungiamo a tanto. Ma di fronte alla scena evangelica che abbiamo ascoltato, ribadiamo il primato della Domenica e della Eucarestia. Potremmo dire di non esserci allontanati da quella spiaggia. Abbiamo posto al centro della nostra vita spirituale e della nostra preoccupazione pastorale l’incontro con Gesù risorto. E’ stata una scelta alta: nell’Eucarestia infatti c’è già tutto il mistero della salvezza. E’ il miracolo dei miracoli. E’ di qui che la Chiesa riprende vigore. Per questo riteniamo l’altare i cuore da cui rinasce anche il movimento della catechesi dell’iniziazione cristiana. Noi della Diocesi di Terni-Narni-Amelia ci gloriamo di celebrare con gioia la Messa della Domenica, siamo felici di parteciparvi con devozione, anzi con passione. La Messa è il centro della nostra vita e il tesoro più grande che doniamo alle nostre città. Anche le Sante Scritture le accogliamo con la devozione e la solennità con cui sono proclamate durante la Messa. Per questo cantiamo prima e dopo il Vangelo l’Alleluja. E, per parte mia, ho ritenuto compito primario del vescovo il commento alle Scritture perché nessuno rimanesse privo di questo cibo. Care sorelle e cari fratelli, non dimenticate di leggere la Parola di Dio ogni giorno! E’ il modo migliore per pregare. E chi di voi lo fa con regolarità sa bene di quale tesoro si tratti.

     Dalla Eucarestia siamo spinti all’amore, all’amore di tutti e particolarmente dei poveri, come amava dire papa Giovanni XXIII. Sì, l’amore per i poveri discende direttamente dalla Eucarestia. Nei poveri, infatti, è presente lo stesso Gesù dell’Ostia consacrata. Non si può andare a Messa senza aiutare i poveri, altrimenti saremmo come quel sacerdote e quel levita della parabola del buon samaritano che pensano di salvarsi andando al tempio e lasciando solo quell’uomo mezzo morto. Dall’Eucarestia si sprigiona una forza che ci fa uscire da noi stessi e ci rende capaci di amare il mondo per renderlo più giusto, più umano, più solidale. E’ per questo che il tema ultimo che abbiamo affrontato, “Eucarestia e Città”, è come una esortazione a gettare le reti nel mare delle nostre città, nelle acque della nostra società. Troppo spesso ce ne siamo dimenticati, magari per pensare solo alle questioni interne alla nostra vita diocesana, parrocchiale o, peggio, a quella individuale. La domanda di Gesù a quei sette apostoli: “non avete nulla da mangiare?”, è la domanda che gli uomini e le donne di questo inizio di millennio rivolgono alla Chiesa e anche a noi. E’ una domanda di amore e di felicità. Non sempre è esplicita, anzi spesso è nascosta dalla montagna di solitudine, di disinteresse, di rassegnazione. Tutti, in verità, piccoli e adolescenti, giovani e meno giovani, adulti e anziani, tutti abbiamo bisogno di essere amati. Terni, Narni, Amelia, l’Umbria, hanno bisogni di amore.

     Gesù, questa sera, a nome di tutti costoro ci guarda negli occhi e ci chiede: “Chiesa di Terni, mi ami?” Amiamo noi, care sorelle e cari fratelli, Gesù e tutti coloro che hanno bisogno di essere amati e considerati? Ascoltiamo questa domanda. Se fissiamo i nostri occhi in quelli di Gesù, li vedremo lucidi di commozione per questa nostra città, pieni di amore per i tanti poveri e soli, e diciamogli assieme a Pietro: “Tu lo sai, Signore, che ti amo”. Sia questa la nostra risposta, questa sera. L’amore, l’amore gratuito, è l’unica vera forza che abbiamo. E’ l’unica risposta che può saziare il cuore della gente, l’unica ragione che può frenare le violenze, anche quelle di questi giorni, l’unica energia interiore che spinge ad aiutare gli altri, a dire loro parole sagge che giungano sino al cuore. L’autorità di Pietro – anche quella della Chiesa e di ogni credente – si fonda sull’amore, su questo amore per gli altri. L’evangelista nota che Pietro era nudo, mentre stava sulla barca. Nudo non tanto di vestiti, ma di forza. Solo l’amore ci veste, solo l’amore ci rende capaci di dare un anima alla nostra società. Per questo Pietro riceve il mandato di “pascere” le pecore solo dopo aver risposto alla triplice domanda di amore. Questo è vero per Pietro e per ogni cristiano. E’ vero per il nostro Papa, Benedetto XVI, di cui ricordiamo i primi cinque anni di pontificato. Cinque anni di amore per il Signore e per la sua Chiesa. Sin dall’inizio Benedetto XVI si è presentato come un “umile operaio” che vuole condurre il gregge affidatogli dal Signore sulla via dell’amore e della verità. Ci stringiamo a lui con affetto dicendogli tutto il nostro affetto filiale. E ci auguriamo che l’anno prossimo possa venire a visitare la nostra Chiesa diocesana ed esortarci all’amore. Abbiamo bisogno di essere esortati all’amore per affrontare con maggiore audacia il decennio che si apre.

     Care sorelle e cari fratelli, la domanda sull’amore è rivolta anche a me e a ciascuno di voi. C’è nella domanda di Gesù anche un’ambizione: “Mi ami tu, più di costoro?” C’è un di più che ci viene chiesto. E come vorrei che questa Chiesa diocesana, che le nostre comunità sentissero rivolta a se stesse questa domanda d’amore! L’amore fa uscire da se stessi e rende responsabili degli altri. L’amore di Gesù è la nostra forza. Quel che conta è seguire Gesù. “Seguimi!” è la parola che chiude questa pagina evangelica sull’amore. L’amore sul quale siamo interrogati, infatti, impegna anzitutto il Signore, ancor prima che noi. Gesù ci ha amati per primo e mai più ci abbandonerà, anche quando «un altro ci cingerà la veste e ci porterà dove noi non vorremmo». Quel che conta è rispondere sempre alla domanda dell’amore. Il Signore ce la pone ogni domenica, anche questa sera. La pone a me, a ciascuno di voi, a questa Chiesa. Beati noi se risponderemo come Pietro: “Signore, tu sai che ti amiamo!”.