Camminare insieme in amore e verità

Camminare insieme in amore e verità

La “settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” compie quest’anno cento anni di vita. L’iniziativa nasce nel 1908 per opera di p. Wattson, un episcopaliano americano divenuto poi cattolico. Egli immaginò otto giorni di preghiera che partissero, non a caso, dal 18 gennaio, festa della “cattedra di san Pietro”, e terminassero il 25 gennaio, memoria della conversione di san Paolo. L’iniziativa si è affermata via via in tutto il mondo cristiano. E oggi unisce la quasi totalità dei cristiani. Il titolo di questa centesima edizione, tratto dall’esortazione di san Paolo ai Tessalonicesi: “Pregate continuamente”(1Ts 5,17), ne sintetizza il senso. Ma quel che caratterizza in particolare questi giorni è l’unirsi in preghiera dei cristiani delle diverse tradizioni. Non è stato facile raggiungere questo traguardo; per molto tempo era proibito e, in alcuni luoghi, lo è ancora oggi. Questi giorni perciò manifestano essi stessi i notevoli passi nel cammino ecumenico. Tutte le Chiese e comunità cristiane hanno ormai la chiara coscienza che la preghiera comune resta il momento più alto della comunione fraterna. Ci si lega così in maniera diretta alla preghiera che Gesù stesso fece nell’ultima cena quando, vedendo quel piccolo gruppo di discepoli e quelli che sarebbero venuti dopo di loro, pregò il Padre: “perché tutti siano una cosa sola”(Gv 17, 22). Si potrebbe dire che sta qui la radice dell’ecumenismo. Per questo l’ecumenismo non è una questione che riguarda solo alcuni esperti, non è un settore particolare accanto ad altri settori della vita della Chiesa.


L’impegno per l’unità tra i cristiani appartiene alla struttura dello stesso atto di fede, appunto perché Gesù è venuto sulla terra per riunire i figli di Dio che erano dispersi. La caratteristica fondamentale dell’ecumenismo è dunque la disponibilità dei cristiani di stare e di camminare insieme anche se permangono le diversità. Una regola pratica dell’ecumenismo è, dunque, fare tutto ciò che possiamo fare noi e lasciare al Signore quanto soltanto Lui può fare. I cristiani hanno l’obbligo di camminare insieme se vogliono essere discepoli di Gesù. Semmai il problema è come camminare assieme mentre resistono ancora le differenze. Due sono i binari che delineano il cammino verso l’unità dei cristiani. Il primo è quello della ricerca della unità della fede, sapendo comunque che l’unità resta sempre un dono gratuito di Dio ai suoi figli. Non va mai dimenticato. Nei decenni passati forse ci siamo illusi troppo facilmente che i colloqui teologici avrebbero potuto, in un tempo più o meno breve, restaurare l’unità della fede. E magari si scambiava la teologia con la politica, il dialogo sulla fede con la diplomazia, come se volessimo fare noi quel che solo Dio può fare. Di qui è venuta qualche disillusione, sino a far parlare di inverno ecumenico o addirittura di passi indietro. Certo, non vanno disattesi i colpevoli rallentamenti dovuti anche al clima di ripiegamento su di sé che coinvolge anche i cristiani. Ma non c’è dubbio che il cammino verso l’unità della fede deve continuare con decisione, direi con audacia, ma senza scorciatoie e cedimenti. Il documento di Ravenna tra cattolici e ortodossi, come la dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra cattolici e luterani, mostrano l’indispensabilità del percorso verso la verità.


Ma c’è una altro binario, quello dell’amore, che non solo non è disgiunto dal primo ma addirittura lo sostanzia. Riprendo alcune parole dell’allora cardinale Ratzinger in una riflessione sull’ecumenismo a trenta anni dal Vaticano II: “Dovremmo sottometterci sempre al criterio dell’amore di Dio e del prossimo e cercare di venire incontro, a partire da esso, alle grandi sfide del nostro tempo… La fede deve essere un’educazione costante all’amore, al timore reverenziale di fronte alla fede dell’altro, alla tolleranza, alla collaborazione nella diversità, alla rinuncia, alla disponibilità attiva per la pace. La fede deve essere esercitata e vissuta come una simile pratica del bene… Più importante di tutti i fini immediati di politica ecclesiale è la maturazione quotidiana di ciò che è essenziale: di una fede che opera per mezzo dell’amore”. L’invito all’ecumenismo coincide con l’esortazione a vivere in profondità la propria fede, senza mai staccare lo sguardo dal Signore e camminando con amore accanto ai fratelli.


Appena divenuto Papa, Benedetto XVI, ha voluto sottolineare il suo personale impegno: “vorrei ribadire – affermava a Bari – la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via dell’ecumenismo. Chiedo a voi tutti di prendere con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l’unità”. Benedetti sono questi giorni di preghiera che ci permettono di gustare sin da ora, sebbene in speculum et in enigmate, il mistero dell’amore che è la sostanza della verità. Con Giovanni Paolo II possiamo continuare a sperimentare quel che scriveva nell’enciclica Ut unum sint: “Se i cristiani, nonostante le loro divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera comune attorno a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li divide a paragone di ciò che li unisce”. 


(da FAMIGLIA CRISTIANA)