Veglia per la Pace ad Assisi

Veglia per la Pace ad Assisi


“Giuda è in lutto, le sue città languiscono, sono a terra nello squallore; il gemito di Gerusalemme sale al cielo” (Gr 14, 2). Sì, care sorelle e cari fratelli, noi questa notte vegliamo per esprimere al Signore il gemito di Gerusalemme. E’ la notte della guerra e della violenza. E’ l’ora delle armi, quindi l’ora delle tenebre. vorremmo che la nostra preghiera giungesse sino al cielo. Con il profeta Isaia subito ti diciamo: “Signore…ecco guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione…Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore?” (Is 64, 9-11).


In questa seconda domenica di Pasqua, festa della Divina Misericordia, prontamente accogliamo l’invito del Papa, uomo buono che non cessa di caricarsi sulle spalle ancora una volta la speranza di pace del mondo, vogliamo unirci a tutte le comunità cristiane sparse in ogni parte della terra per far salire sino al cielo una particolare preghiera “per quelle popolazioni ora dilaniate da forme di violenza inaudita”. C’è come un grido disperato che Giovanni Paolo II vuole far salire a Dio dall’intero pianeta. Potremmo dire un grido globale, una preghiera universale che unisca tutti i credenti al suo sdegno per la guerra e alla sua preghiera per la pace. Sì, questa non sia solo l’ora delle armi! Sia piuttosto l’ora della preghiera! E lo scrive convinto: “Di fronte alla caparbia determinazione con cui, da una parte e dall’altra, si continua ad avanzare sulla strada della ritorsione e della vendetta, si apre di fronte all’animo angosciato dei credenti la prospettiva del ricorso della preghiera accorata a quel Dio che, solo, può cambiare i cuori degli uomini, anche dei più ostinati”.


Noi apriamo questo giorno che vedrà credenti di ogni cultura e di ogni razza in una grande mobilitazione orante. Lingue diverse, modi vari di esprimersi, a Nord come a Sud, in Occidente come in Oriente, questo giorno ci vede tutti come una sola voce che s’innalza sino al cielo per invocare la pace nella terra di Gesù. Più volte Assisi è stato luogo singolare di preghiera per la pace. E’ ancora davanti ai nostri occhi l’avvenimento del 24 gennaio scorso: il Papa Giovanni Paolo II con i responsabili delle grandi religioni mondiali e di tutte le confessioni cristiane in preghiera, ancora una volta, per la pace. In quel giorno abbiamo sentito il legame stretto che c’è tra Assisi e la pace. Ma vorrei aggiungere che il cuore di questo legame è il vincolo inscindibile tra la città di Francesco e la Terra Santa. Per più ragioni la pace di quella terra è la nostra pace. Così come la guerra nella Terra Santa riverbera il suo dramma nel mondo intero.


Le drammatiche vicende della terra di Gesù, della terra di Maria, degli apostoli e, perché no, di Francesco, toccano il cuore stesso del cristianesimo. Lo toccano certamente nei suoi aspetti concreti relativamente ai luoghi santi e alla loro incolumità. Ma, credo, ci sia un legame ancor più profondo che riguarda la comprensione stessa di Gesù. Sì, Gesù è assieme ebreo e palestinese, è assieme giovane dell’uno e dell’altro popolo. Indivisibilmente. E’ Gesù, perciò, che continua ad essere lacerato in quei giovani israeliani uccisi o feriti dagli attentati kamikaze. Gesù, il vero martire. Lui che è morto non per uccidere, ma per salvare la vita di tutti, a cominciare da quella del buon ladrone. Ed è ancora lo stesso Gesù che continua ad essere ucciso in quei palestinesi che, da anni cercano un giusta patria, e che la violenza dei carri armati schiaccia ed elimina, lasciando insepolti i loro cadaveri. E’ vero purtroppo, e sono ormai settimane ed anni, che ciascuna parte piange i “suoi” morti e, mentre piange, medita e mette in atto la vendetta contro l’altra parte, andando così verso una catena infinita di morte.


Ma, fratelli e sorelle, se alziamo un poco lo sguardo vediamo che più in alto, c’è un Padre, sì, quello che “fa sorgere il suo sole sui malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”(Mt 5, 47), il quale li piange tutti questi morti, perché tutti, di ambedue le parti, sono “suoi” morti; ambedue sono figli “suoi”, egli che, come scrive Paolo, “è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2, 14). Quel muro, l’inimicizia, è stato rialzato e drammaticamente irrobustito. Penso con nostalgia a quelle parole di Martin Buber: “In Palestina, noi non abbiamo mai vissuto con gli Arabi, ma accanto a loro. La coabitazione di due popoli sulla stessa terra diviene fatalmente opposizione, se non si sviluppa nella direzione di un essere-assieme. Nessun cammino permette di tornare ad una pura e semplice coabitazione. E’ invece ancora possibile incamminarsi verso lo “stare assieme”, anche se numerosi ostacoli si sono accumulati su questa via”. Queste parole le pronunciò nel 1929 davanti a un uditorio di personalità sioniste, a Berlino, pochi giorni dopo che decine di ebrei erano stati barbaramente massacrati da alcuni arabi a Hébron.


Queste parole sono lontane. Vicino, c’è solo il pianto delle mamme israeliane e di quelle palestinesi che piangono i loro figli innocenti. Quest’urlo, Dio l’ha fatto suo. E’ l’urlo di Gesù sulla croce: “Dando un forte grido, spirò”, scrive Marco. Di fronte al calvario, al Venerdì Santo che ancora continua in quella terra, dove Gesù, ebreo e palestinese, è ancora crocifisso si sente un urlo. E’ l’urlo di Dio, perché si ponga fine allo sterminio dei suoi figli. No, non piange solo per quelli di una parte o per quelli dell’altra parte. Dio urla per tutti: “un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più” (Mt 2, 17). Questa notte noi che siamo venuti per pregare, e per vegliare, forse veniamo sorpresi da questo urlo. E’ lui che per primo si rivolge a noi e supplica. Supplica ogni uomo e ogni donna, supplica soprattutto chi è più direttamente responsabile delle istituzioni politiche, perché ascoltino questo grido. E’ una richiesta piena di sconcertante ragionevolezza. Una cosa, infatti, è certa: l’ora smisurata delle armi, dell’una e dell’altra parte, non porterà mai all’ora della pace. Le armi non daranno ad Israele la giusta sicurezza, né potranno permettere al popolo palestinese di raggiungere il suo diritto ad uno spazio nazionale. Le armi acuiscono un dissidio che non porterà nessuna delle due parti a vincere, semmai ambedue a soccombere, ad essere sconfitte.


Noi, care sorelle e cari fratelli, siamo qui a vegliare, a vegliare in questo Venerdì Santo mentre ancora una volta “si è fatto buio su tutta la terra”, in attesa dell’alba di quel “primo giorno dopo il sabato”(Lc 24,1). La nostra preghiera è piena di fiducia nel Signore del cielo e della terra. Egli “può cambiare i cuori degli uomini”, soprattutto “di quanti hanno la responsabilità e il potere di compiere i passi necessari, anche se costosi, per avviare le parti in lotta verso accordi giusti e dignitosi per tutti”, come qualche giorno fa si è espresso Giovanni Paolo II. Noi preghiamo perché la Pasqua di risurrezione arrivi presto nella terra da dove essa è iniziata. Sì, possiamo ripeterlo, in quella terra c’è tutta la terra. E in quella pace c’è come iscritta l’intera pace. Per questo ha ragione il salmista: “Si attacchi la lingua al mio palato, se mi dimentico di te, Gerusalemme”. Non dimentichiamo gli ebrei, i musulmani e i cristiani che vivono nella Terra Santa! Non dimentichiamo – e ad Assisi dobbiamo dirlo – i figli di San Francesco che da secoli vivono, operano, pregano e custodiscono quei luoghi santi! Questi luoghi non sono semplicemente della mura. Sono soprattutto il segno che la pace è più forte dell’odio, che l’amore è più forte del male. Abbiamo bisogno di spazi come questi che sfuggano alla logica della guerra senza quartiere. Essi in passato hanno dato rifugio ad ebrei ed oggi lo danno a Palestinesi. Sì, vorrei dire che di qui, dall’Occidente, noi ancora una volta attendiamo che dalla Terra Santa torni l’annuncio della risurrezione. Attendiamo che i figli di San Francesco possano venire ad Assisi, in fretta, come quelle donne in quel mattino presto, ad annunciare a noi tutti che l’alba della risurrezione è iniziata, che la pietra pesante che pesa su quella terra è stata rotolata via. Nell’attesa, noi vegliamo e preghiamo perché il Signore intervenga presto, e con il profeta diciamo: “Svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi”, come nel giorno della Pasqua.