Trigesimo della morte di Santo Quadri

Trigesimo della morte di Santo Quadri


Con questa domenica inizia il nuovo anno liturgico. Non è la replica di una storia già conosciuta. Siamo a tal punto analfabeti di Dio da aver bisogno di tornare alla Sua scuola. Tutti! Stare con il Signore non è una ripetizione sempre uguale: lo diventa quando teniamo la nostra vita lontana da Lui e dai fratelli. Le domeniche ci aiutano a capire nell’oggi il mistero della sua presenza tra gli uomini. E’ un mistero di amore. E, come ogni storia di amore ha vari momenti, tutti importanti, così anche questa con Gesù. Quel che ci è chiesto è ascoltare e seguire il Signore e, anzitutto, di attenderlo. Gesù stesso esorta: “Vigilate, non sapete quando il padrone di casa ritornerà”. Tutta la nostra vita è un’attesa. Quando non aspettiamo più nessuno, quando il domani sembra non esserci più, iniziamo un pò a morire. Quando lasciamo solo qualcuno lo aiutiamo a morire. Qualche volta pensiamo che in fondo gli altri non aspettino niente, non gli serva nulla, stiano bene come sono. Non è così. Chi aiuta gli uomini a sperare? Chi cerca di capire e rispondere all’attesa dell’altro o di interi popoli segnati dalla guerra e dalla violenza? Chi incoraggia e risponde all’attesa di tanti giovani? Anche per questo dobbiamo essere “vigilanti”.


 


  Il tempo liturgico viene scandito dal tempo di Dio; o meglio, è il tempo di Dio che entra in quello degli uomini. Ed è misurato dal mistero stesso di Gesù: inizia dalla sua nascita, continua con la predicazione in Galilea e in Giudea sino alla morte, resurrezione e ascensione al cielo. Ogni domenica, da questa prima di Avvento sino alla festa di Cristo re, la Parola di Dio ci prende per mano, ci sottrae in certo modo alla schiavitù dei nostri ritmi, e ci introduce dentro il mistero di Cristo, per renderci partecipi della sua stessa vita. Con il tempo liturgico riceviamo il grande dono di divenire contemporanei di Gesù. E’ questa la “forza” delle domeniche, che faceva dire ai primi cristiani: “Per noi è impossibile vivere senza la domenica”. E’ impossibile vivere senza guardare Gesù, o meglio, senza lasciarci guardare e aiutare da lui ogni domenica.


 


  L’Avvento, lo sappiamo bene, è un tempo che ci viene offerto per prepararci alla nascita di Gesù. La Chiesa mette sulle nostre labbra la supplica del profeta Isaia: “Perché Signore ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema? Ritorna, per amore dei tuoi servi. Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63, 17). Si, “Ritorna, Signore, per amore dei tuoi servi !” Ne abbiamo bisogno. Ne ha bisogno la l’Africa che continua ad essere bagnata dal sangue di migliaia di figli; ne hanno bisogno tanti paesi ove milioni e milioni di poveri muoiono di fame ogni giorno; ne hanno bisogno le grandi città dell’Occidente che emarginano schiere innumerevoli di deboli, di anziani, di malati. Ne hanno bisogno i cuori di tanti uomini e tante donne perché sciolgano la loro durezza, si commuovano sui poveri e sui deboli e si adoperino per un nuovo futuro. “Se tu squarciassi i cieli e scendessi !” Questo grido è la preghiera dell’Avvento; e resta la preghiera universale di questo tempo. Il tempo di Avvento irrompe nelle nostre giornate, appunto, per ricordarci l’invocazione del profeta e le grida dei tanti che aspettano qualcuno che li salvi. Queste grida, spesso lontane dalle nostre orecchie, sono in realtà la vera nostra coscienza. Esse ci aiutano a comprendere il senso concreto dell’Avvento e ci spingono a non restare addormentati nella nostra avara tranquillità. Noi, pur smaliziati, abbiamo smarrito il senso dell’attesa; siamo convinti che non verrà nessuno a salvarci; tanto convinti da inculcare ai nostri piccoli che debbono badare da soli a se stessi, che non debbono aspettarsi nulla da nessuno. E’ triste una società senza Avvento, una società che non spera più né per sé né per gli altri. Questo tempo ci viene donato perché il Signore verrà e ci salverà.


 


  Vorrei ricordare in questo orizzonte il vescovo Santo Quadri, che ci ha lasciato poco più di un mese fa. E’ giunto a Terni il 28 maggio del 1976, come pastore di questa Chiesa. Egli si inseriva nella lunga scia di vescovi che da Sant’Atanasio, San Valenitno sino ad oggi hanno guidato ininterrottamente la comunità cristiana di questa città come rappresentanti dell’unico vero “pastore”, il bambino di Nazaret. Oggi ci guarda dal cielo, assieme alla lunga schiera dei suoi predecessori. E’ venuto in un momento particolare della storia della Chiesa e di questa terra. Il Concilio Vaticano II era terminato da pochi anni. Si rendeva necessario applicarlo anche a Terni. E lui, che partecipò all’assise conciliare prima da perito e poi da vescovo, poté donare a questa diocesi quell’entusiasmo di rinnovamento ecclesiale che si respirava negli anni conciliari. Con lui muore uno dei pochi vescovi rimasti che hanno partecipato a quell’evento “primaverile” della Chiesa. Se oggi noi possiamo godere di una chiesa diocesana decisamente incamminata sulla vie aperte dal Concilio, molto dobbiamo a lui. Fece rifluire in questa nostra Diocesi tutta la sua passione per una Chiesa che fosse fermento di amore e di giustizia nel mondo. Quante volte si è parlato con lui di quella Costituzione conciliare che è la Gaudium et Spes alla cui redazione prese parte direttamente! E di qui il suo impegno per la promozione del laicato e per l’attenzione al mondo del lavoro. Voi tutti ricordate la sua immediatezza e la sua franchezza nel dialogare con tutti, nessuno escluso. Sentiva la sua responsabilità pastorale perché la Chiesa, in una nuova condizione non più di maggioranza nella società, non facesse mancare la sua voce. E nessuno può dimenticare la straordinaria visita di Giovanni Paolo II a Terni, la sua prima visita in una fabbrica. Il Papa ne fu talmente colpito da non dimenticarla più, anzi da farne una sorta di riferimento quando pensava al mondo del lavoro. Fu proprio questo incancellabile ricordo che lo portò qualche anno dopo ad intervenire con passione quando si trattò di difendere il lavoro nelle acciaierie.


 


  Mons. Quadri si è legato molto a Terni. Anche se è stato chiamato a governare la Diocesi di Modena, e poi a risiedere in quella città, tornava spesso a Terni e amava fermarsi per incontrare gli amici, come non mancava mai di inviare i suoi auguri. La schiettezza del suo tratto faceva di mons. Quadri non solo un pastore ma anche un padre e un amico. Molte sono le iniziative che hanno caratterizzato il suo passaggio a Terni, dalle famose battaglie dialettiche in occasione dei referendum al dialogo con le autorità cittadine, dalla creazione dell’Istes per la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa e per la formazione teologica dei laici, dalla ristrutturazione dell’ufficio pastorale della Diocesi oltre che del vescovado di Terni alla fondazione della Radio diocesana TNA, e a tante altre ancora. Ma non è questo il momento per accennare a questi aspetti del suo episcopato a Terni. In questa Santa Liturgia del trigesimo vogliamo ringraziare il Signore per averci inviato a Terni un vescovo che non aveva semplicemente preso parte al Concilio, ma che aveva contribuito a costruirne in maniera diretta il messaggio, particolarmente quello relativo ai rapporti della Chiesa con il mondo. Egli ha seminato nella nostra terra il seme buono e forte del Concilio. Sì, ha cercato di testimoniare nella società ternana una Chiesa amica della città, amica dei lavoratori, amica degli uomini; una Chiesa che ha il coraggio di presentarsi come speranza di una vita nuova; una Chiesa che non impone se stessa, ma che corre il rischio di proporre la fede a tutti, soprattutto a chi è lontano, non con la potenza dei mezzi umani ma con la debolezza della ragione e della testimonianza. Di questa Chiesa noi ancora oggi ne beneficiamo. Anzi l’episcopato di Mons. Gualdrini, suo immediato successore, si è inserito in questa scia. Ha voluto inviare un messaggio particolare per testimoniare questa continuità pastorale.


 


  Dal cielo, mons.Quadri, continua a guardarci con quegli occhi che sapevano incrociare con immediatezza gli interlocutori, e forse è anche in cielo un po’ sbrigativo come chi va subito al nocciolo delle questioni e non vuol perdere tempo, ma senza dubbio il suo cuore è ancora più largo perché può finalmente vedere Dio, faccia a faccia, e lasciarsi inondare dalla sua misericordia. In questo primo giorno del nuovo anno liturgico lo sentiamo accanto a noi suggerirci le parole evangeliche che abbiamo ascoltato: “State attenti e vegliate!” Sì, vegliamo. Questa nostra casa – questa nostra Chiesa diocesana – che il Signore ha affidato alle nostre mani, come a dei servi per renderla viva e a chi come portiere per vigilare, sia in questo tempo una casa di preghiera. Apriamo ogni giorno una pagina della Bibbia. Se obbediremo a questo comando del Signore avverrà anche per noi quanto è scritto: la parola – sì, quella che ascoltiamo – si fa carne, diviene la nostra vita. Amen.