Terza Domenica di Pasqua
Il Vangelo ci fa vivere ancora una volta, ed è così per ogni domenica, il giorno della risurrezione. Nell’incontro di Emmaus, infatti, l’evangelista vuole simboleggiare quello che avviene tra Gesù risorto e i discepoli di ogni tempo. E’ come dire che se noi vogliamo incontrare il Risorto dobbiamo fare l’esperienza che fecero quei due discepoli. Per questo in loro ci siamo tutti noi. Come anche noi tante volte siamo segnati dalla tristezza che appare nel loro volto. Una tristezza più che giustificata: basti pensare a quanto oggi sta accadendo nella Terra Santa davanti agli occhi impotenti del mondo. Come non essere tristi? Ogni giorno è segnato da guerre, distruzioni, povertà, emarginazioni, violenze, ingiustizie. E così via. Ci sono, insomma, tanti motivi obiettivi, nella vita delle nostre città, nella vita del mondo e anche tra noi, per essere tristi. Verrebbe anzi da dire che faremmo bene ad essere un poco di più tristi; spesso dimentichiamo o non guardiamo i drammi della vita per non essere toccati nella nostra avara spensieratezza e tranquillità. Ma ecco che è il crocifisso stesso ad accostarsi e a porsi in mezzo ai due discepoli. E chiede loro perché sono tristi. “Tu solo – gli rispondono – sei così forestiero a Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?” E, in effetti, chi è quest’uomo che non sappia cosa è accaduto nei giorni addietro a Gerusalemme? Sembra uno che ha la testa per aria, disattento alle vicende reali della vita. Forestiero, lo definisce Cleopa, con un tono che vuole essere comprensivo. Ma il paradosso è, che proprio lui, il forestiero, è quello di cui stanno parlando. “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele – gli rispondono – ma ormai tutto è finito”. La tristezza è appunto l’assenza della speranza. Aggiungono anche, quasi a titolo di cronaca, senza crederci, che “alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti: recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo sono venute a dirci di avere avuto una visione di angeli i quali affermano che egli è vivo. Ma lui non l’hanno visto”. I due hanno udito il Vangelo della Resurrezione, ma sono rimasti nella loro tristezza, non si sono lasciati toccare il cuore. Per altro, è vero che le donne non l’hanno visto. Ma è anche vero che loro, pur avendolo accanto come compagno di viaggio, non lo riconoscono. E Gesù rimprovera la loro incredulità: “stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!” E si mette a spiegare loro le Scritture. Ed è qui che la descrizione dell’evangelista si fa più dettagliata sino a far dire ai due: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre ci spiegava le Scritture?” La compagnia di Gesù che spiegava le pagine della Bibbia aveva trasformato il loro cuore. E’ quel che accade a ciascuno di noi ogni qualvolta ci poniamo in ascolto delle Scritture. Dopo questo lungo conversare – essi sono ormai giunti ad Emmaus – sale spontanea dal loro cuore una invocazione semplice: “resta con noi Signore”. E’ una preghiera che nasce da un cuore “toccato”. E Gesù non può non accogliere l’invito. E si ferma a cena con loro. L’evangelista narra di un pane spezzato e distribuito. Questo lungo racconto non è altro che la descrizione della Liturgia Eucaristica. Ed è l’intento dell’evangelista. Nella Eucarestia i credenti incontrano il risorto; durante la celebrazione della Eucarestia i discepoli si sentono riscaldare il cuore nel petto mentre ascoltano le Scritture e potranno aprire gli occhi e riconoscere Gesù “allo spezzare il pane”. La domenica è la nostra Emmaus. E’ il giorno in cui possiamo incontrare il risorto. Perché, allora, andare a Messa? Forse per adempiere un precetto! Sarebbe ben cosa e, per di più, con poco significato. No, a Messa incontriamo il risorto. E’ la nostra Pasqua.