Te Deum

Te Deum Laudamus

Care sorelle e cari fratelli,


il Vangelo che abbiamo ascoltato ci riporta alla grotta di Betlemme per rivivere il mistero del Natale del Signore, un evento che ha cambiato il corso stesso della storia. Vari secoli fa i cristiani e con essi la società hanno iniziato a contare gli anni a partire proprio da quell’evento; e la nascita di Gesù ha diviso la storia degli uomini in “prima” e “dopo Cristo”. E se oggi termina il 2004 e inizia il nuovo anno 2005, il computo avviene appunto a partire da questo evento. Ebbene, se il Natale segna in questo modo la storia quanto più dovrebbe segnare la nostra vita e i nostri cuori? Senza alcun dubbio, per i pastori di Betlemme quella notte fu una svolta: essi ascoltarono l’annuncio dell’angelo si diressero verso la grotta e videro quel bambino adagiato sulla mangiatoia; e dopo se ne tornarono glorificando e lodando Dio. Finalmente avevano visto che non erano più abbandonati: Dio aveva scelto loro per primi come destinatari del suo messaggio di salvezza. Il Natale, anche per noi è un annuncio di salvezza. È a dire che anche noi dobbiamo ripartire da quel Bambino per entrare con una nuova speranza nel tempo che viene. Questa sera ci ritroviamo in cattedrale per la tradizionale celebrazione del Te Deum di fine anno. Sono presenti anche le autorità della città che ringrazio per la loro partecipazione e per il significativo dono dell’ostensorio che il Comune di Terni ha fatto alla Chiesa diocesana.


Negli anni passati – per me è il quinto anno – eravamo soliti tracciare un sommario bilancio dell’anno trascorso per ringraziare il Signore del cammino che ci ha fatto compiere. E in effetti se, anche solo un poco, riflettiamo su quanto è avvenuto nella nostra diocesi in questo anno, davvero dobbiamo rendere grazie a Dio per i doni abbondanti che ci ha inviato. Non sto qui ad elencarli, ma dobbiamo dire insieme: “Te Deum laudamus”, “Ti lodiamo o Dio” per l’amore con cui ci hai accompagnati giorno per giorno, ti lodiamo per averci accolti e protetti nella tua casa, ti lodiamo per il dono che ci fai dell’Eucarestia e della tua Parola. Ma, mentre cantiamo la tua lode, sentiamo il canto ritornarci in gola. Come cantare il Te Deum mentre i nostri occhi sono ancora pieni delle scene apocalittiche di morte? Come ringraziare mentre più di centomila persone sono morte travolte dall’onda assassina e milioni di persone non hanno più casa? Come ringraziare davanti alle drammatiche immagini di questa tragedia infinita che non sembra aver termine? Esattamente un mese fa ero in quei luoghi che sono divenuti ora un’immenso inferno. Molti, vedendo quel che è accaduto, richiamano la pagina biblica del diluvio universale. Certo, se si apre la Bibbia al capitolo 7 del libro della Genesi si resta impressionati dalla severità delle parole con cui inizia la narrazione del diluvio universale: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo”. Sono parole terribili. E senza dubbio richiedono una riflessione attenta sul potere del Male e sulla sua presenza distruttrice nella storia e nella stessa creazione. Ma nello stesso tempo interrogano anche la responsabilità degli uomini i quali spesso diventano, con il loro peccato, servi sciocchi del Male e quindi suoi complici. Tutti dobbiamo riflettere su quel che accaduto. A molti di noi certamente salgono interrogativi drammatici: perché tutto questo? Perché a tanti bambini è stata rubata la vita? E Dio dov’è? E perché permette stragi come queste?


Care sorelle e cari fratelli, non è che noi credenti abbiamo parole che spiegano tutto con chiarezza. Sarebbe anzi una tentazione, anche perché una volta chiarito si volterebbe irresponsabilmente pagina. In verità c’è un mistero insondabile del Male che fa parte della nostra vita e che chiede una continua vigilanza. Sì, se gli uomini non hanno le risposte a tutto, una cosa chiara però è stata rivelata a noi credenti: Dio è Padre buono che non permette al Male di inghiottirci nel nulla. Questo noi crediamo e questo dobbiamo annunciare al mondo. Se le onde del mare impazzito hanno sottratto i figli ai genitori, non li hanno però sottratti a Dio che è stato più forte e più veloce dell’onda. Essi sono nelle mani di Dio e nessun tormento più li toccherà. In verità, Dio, fin dalla creazione sta lottando contro quell’alleanza tragica che l’uomo ha stretto con il serpente, ossia con il principe della violenza e della divisione, il demonio. È una lotta che si svolge dentro i cuori degli uomini e che coinvolge la stessa creazione. L’apostolo Paolo, infatti, scrive che la creazione stessa geme e soffre le doglie del parto sino a giungere ai cieli nuovi e alla terra nuova di cui parla l’Apocalisse. I terremoti e i disastri naturali, pertanto, non significano la punizione di Dio. No, non sono una punizione di Dio; sono semmai il risultato di un impasto terribile del male con la storia dell’uomo e del creato. Siamo semmai chiamati a ricercare anche le responsabilità degli uomini per i disastri naturali che avvengono. Abbiamo ascoltato, per fare un solo esempio, chi parlava dell’utilità della strumentazione tecnica per prevenire e comunque preavvertire gli eventuali disastri naturali. Purtroppo in quell’area non c’era nessuna strumentazione. C’è insomma un legame tra l’uomo e il creato che va riconsiderato con attenzione. Quando infatti tale rapporto viene alterato o peggio avvelenato si preannunciano disastri terribili. Gli uomini e il mondo hanno bisogno di trovare un nuovo modo di rapportarsi.


Tra le molte riflessioni che sorgono da questa tragedia ce n’è una che vale la pena sottolineare, ed è l’indispensabile dimensione universale che ciascuno di noi è chiamato a vivere. In questi ultimi anni è stato facile guardare al proprio particolare, è stato normale pensare ai propri interessi, a quelli della propria area, o a quelli del proprio gruppo o della propria civiltà. Oggi ci accorgiamo che questo non è più possibile. Questa tragedia ci mostra che stiamo tutti sulla stessa terra, sulla stessa barca. Fino a ieri nessuno parlava dei 60 mila morti nello Sri Lanka. Oggi, la presenza di morti del mondo intero in quell’area, ci apre gli occhi, il cuore e spero anche la mente. Questa immensa sciagura ci fa capire che l’uomo è chiamato ad un destino universale, che ogni situazione di ingiustizia, in qualsiasi parte del mondo avvenga, ci riguarda personalmente, ci appartiene. Sì, fino a ieri avevamo la vista corta. Oggi possiamo avere una nuova coscienza, quella di appartenere al mondo intero.


E questa coscienza sta nascendo. E la si deve in quella straordinaria solidarietà universale che sta traversando i cuori di tutti, nessuno escluso. Ed è ben più larga di quella contro il terrorismo, ed è ben più profonda. Essa tocca il sorgere di un nuovo modo di vivere nel mondo, con una coscienza che fa emergere quella fraternità universale che ci avvicina di più gli uni agli altri e che trova il suo fondamento nell’unica paternità di Dio. Sì, care sorelle e cari fratelli, questa tragedia immane ci fa comprendere che non siamo creatori, che non possiamo confidare solo in noi stessi. Siamo creature deboli che hanno bisogno di affidarsi al Signore e che debbono stringersi finalmente in una fraternità che non consoce confini. Nel dramma del diluvio che ha travolto innumerevoli fratelli e sorelle nei gorghi della morte emerge l’arcobaleno della fraternità. In questo cielo dell’amore può volare la colomba della pace con quel ramo di ulivo così caro alla nostra terra umbra. Possiamo allora cantare, anche con il dolore nel cuore, Te Deum laudalmus perché la morte è vinta dall’amore, perché il bene vince il male. Te Deum laudamus perché non ci lasci in balia del caso, ma ancora una volta ci vieni accanto per guidarci con la tua grazia nel nuovo anno.