Seppellire i morti

La settima opera di misericordia esorta a “seppellire i morti”. E’ un’opera che non è presente nei Vangeli. E’ è stata aggiunta dalla pietà cristiana nel Medioevo quando accadeva che, per le frequenti morti che avvenivano per le epidemie o per altre calamità naturali come le esondazioni dei fiumi, molti cadaveri rimanevano insepolti lungo le strade o nelle campagne. La pietà dei cristiani cercò di compiere questa opera di misericordia. Ma oggi credo sia utile ripensarla soprattutto rispetto a quel che accade attorno alla morte. Certo, oggi si muore in maniera diversa rispetto al passato quando tutta la famiglia si radunava attorno al letto del moribondo. Oggi non è più così. In genere si muore soli, in una stanza di un  ospedale. E c’è un anonimato agghiacciante. Ultimamente c’è stato anche uno scambio di bare per la cremazione, tanta è la disattenzione. Insomma, la società contemporanea cerca in ogni modo di nascondere la morte, come se sia una cosa oscena. Viene nascosta a tutti, a partire dai bambini che non sanno più cosa succede ai nonni. Credo sia necessario, invece, ritrovare il senso dell’accompagnamento di coloro che si trovano in questo passaggio definitivo. Non vanno mai lasciati soli. Se potessi tradurre in un linguaggio attuale questa settima opera di misericordia direi : “accompagnare chi sta per morire, senza mai lasciarlo, sino alla fine”. Quanto è necessario tenere per mano che sta per passare da questo mondo all’altra vita. Per i cristiani è un momento delicato. Tutti ovviamente siamo rattristati dalla morte. Tutti ne abbiamo paura. L’ebbe anche Gesù nell’orto degli ulivi. E comunque è uno spazio temporale prezioso per chi muore e per chi resta. Quanto è importante, anzitutto per i cristiani che confessano la risurrezione della carne, circondare con la preghiera e l’affetto chi sta per morire. Ed è quanto mai opportuno ricomprendere la forza del sacramento della Unzione degli Infermi. Non è, come si dice, l’ “estrema unzione”. No! E’ il sacramento che aiuta a guarire e che comunque accompagna e consola mentre si è malati. Per questo andrebbe amministrato nel corso della malattia e non alla fine. Dobbiamo circondare di preghiera chi soffre, soprattutto nel difficile momento del passaggio al cielo. E’ una dimensione della vita cristiana che dobbiamo riscoprire maggiormente. Purtroppo oggi si parla sempre più di “buona morte” nel senso della “eutanasia”, ossia nel voler accelerare la morte persino dei propri cari. Forse tornerò a parlarne, anche perché è un tema che chiede un’attenta riflessione. Questa volta vorrei solo dire che è indispensabile non lasciare solo mai nessuno, anche perché talora – soprattutto quando si soffre – la solitudine è peggio della morte. E’ urgente riscoprire il bisogno che abbiamo di tenerci per mano, sempre, durante tutta la vita anche quando essa sta per terminare. Quelle mani che si stringono dicono che la vita non finisce. E i nostri cari passeranno all’altra vita legati a quell’amore che vince anche la morte. E non si deve dimenticare la cura a colui che è appena morto – penso alle camere ardenti degli ospedali, ove è necessaria la presenza del sacerdote o del diacono, per evitare una squallida solitudine – e ai familiari afflitti dal dolore. La celebrazione dei funerali deve essere segno di quella comunione che non viene comunque spezzata. Deve essere pieno di affetto l’ultimo saluto al fratello o alla sorella che sta per raggiungere il Padre che lo accoglie nel cielo.