L’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”
Il valore “sinodale” della Esortazione Apostolica
Con l’Esortazione Apostolica Postsinodale, Amoris Laetitia, Papa Francesco raccoglie il frutto di un lungo itinerario ecclesiale e lo propone autorevolmente all’intera Chiesa Cattolica. Per due anni il Papa ha voluto che la Chiesa, nella sue diverse articolazioni e in uno stile sinodale, concentrasse le sue preoccupazioni sulla famiglia. Ha chiesto anzitutto ai cardinali, nel Concistoro del Febbraio 2014, di dibattere sul tema; poi sono seguite le due assemblee sinodali (del 2014 e del 2015) e lui stesso ha svolto nel corso del 2015 più di trenta catechesi sulla famiglia. Una novità è stata anche la doppia consultazione delle Chiese locali i cui risultati la Segreteria del Sinodo ha raccolto e vagliato. Non credo ci sia altro documento papale che abbia avuto tale gestazione.
Il Papa nel presentarne il frutto sottolinea il metodo sinodale: le due assemblee sinodali hanno portato “una grande bellezza e offerto molta luce”. E continua: “l’insieme degli interventi dei Padri, che ho ascoltato con grande attenzione, mi è parso un prezioso poliedro, costituito da molte legittime preoccupazioni e da domande oneste e sincere. Perciò ho ritenuto opportuno redigere una Esortazione Apostolica postsinodale che raccolga contributi dei due recenti Sinodi sulla famiglia, unendo altre considerazioni che possano orientare la riflessione, il dialogo e la prassi pastorale, e al tempo stesso arrechino coraggio, stimolo e aiuto alle famiglie nel loro impegno e nelle loro difficoltà”(4). A me pare importante sottolineare la novità del metodo che qualifica anche il contenuto.
Nel testo appare evidente il nuovo rapporto da instaurare con le famiglie di oggi. La Chiesa è chiamata a sentire le loro “gioie e fatiche, tensioni e riposo, sofferenze e liberazioni, soddisfazioni e ricerche, fastidi e piaceri”(cfr.n.96). In queste parole risuona l’eco del notissimo incipit della Gaudium et Spes? Potremmo tradurre: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce delle famiglie di oggi, delle famiglie ferite soprattutto e di quelle che comunque soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di più genuinamente famigliare nel mondo che non trovi eco nei loro cuori”(cfr.1). C’è un filo rosso che lega l’Esortazione Apostolica direttamente al Concilio: dalla allocuzione iniziale Gaudet Mater Ecclesia, alla Gaudium et Spes, all’Evangelii Gaudium. Il “gaudium” (la gioia) si lega al filo rosso della “simpatia immensa” che Paolo VI individuava come la sensibilità che aveva segnato i lavori del Concilio Vaticano II. Tocchiamo qui una dimensione che non è tanto una questione di strategia pastorale da rinnovare, ma molto più: un modo nuovo di essere Chiesa nel mondo. Per questo si potrebbe dire che Amoris laetitia e Evangelii gaudium si compenetrano e si completano a vicenda.
Una grande simpatia per le famiglie traversa tutto il testo
Il testo è segnato in ogni sua pagina da uno sguardo di grande simpatia per le famiglie, sapendo l’altezza della missione loro affidata che il Papa ribadisce: “in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a porre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza”(307). La Chiesa pertanto non deve essere reticente nell’annunciare tale ideale, secondo la forte parola del Signore a riguardo della bellezza e della serietà del legame matrimoniale, come forma piena di attuazione della fede. Insomma, è un bene indispensabile per la vita ecclesiale, è un bene prezioso per l’evangelizzazione della vita.
Proprio tale altezza di ideale spinge il Papa a chiedere un rinnovato impegno per avvicinarsi alle famiglie nella concretezza della loro vita. La Chiesa è una madre e non osserva le famiglie dal di fuori, con la freddezza notarile di chi deve elencarne i mutamenti e trovare motivi per condannare. Ovviamente, non è neppure cieca e tanto meno rassegnata. L’Esortazione fa emergere con chiarezza le malattie che affiggono le famiglie di oggi. Ma – a differenza dei profeti di sventura o dei figli della rassegnazione – sa che “questa malattia non è per la morte”(Gv 11,4), come Gesù disse per l’amico Lazzaro. La Chiesa è amica della famiglia, di tutte le famiglie. E le aiuta tutte perché possano camminare verso l’incontro con Gesù.
L’Esortazione, impregnata di questa amicizia appassionata, si presenta come una lunga meditazione sugli aspetti della vita famigliare, quelli più arricchenti come quelli più critici. Ma all’interno di una visione strategica: la famiglia non riguarda semplicemente la storia degli individui e dei loro desideri di amore (che pure ci sono), ma la storia stessa del mondo. Si potrebbe dire che la famiglia è la madre di tutti i rapporti. Così appare già nei primi due capitoli della Genesi che l’Esortazione richiama: già qui la storia umana e la famiglia sono strettamente congiunte. Famiglia e società sono inseparabili. Quando le cose non vanno in famiglia, non vanno neppure nella società.
Verso una Chiesa “famigliare”
All’interno di questo orizzonte strategico il Papa chiede un cambio di passo e di stile che tocca la forma stessa della Chiesa. E’ a dire che la Chiesa non potrà svolgere il compito assegnatole da Dio nei confronti della famiglia, se non coinvolgerà le famiglie in questo compito, secondo lo stile di Dio, e quindi senza assumere essa stessa i tratti di una comunione famigliare. Questa più essenziale ecclesiologia della famiglia, per dir così, è l’afflato di cui il testo respira, l’orizzonte verso il quale vuole condurre il sentire cristiano per questa nuova epoca. Tale trasformazione, se accolta con fede, è destinata a trasformare decisamente lo sguardo con il quale deve essere percepita la Chiesa dei credenti in questo passaggio d’epoca.
La chiave di questa trasformazione non si trova, come è sembrato nell’equivoca disputa che ha polarizzato gli inizi del cammino sinodale, nel presunto conflitto (o alternativa) fra rigore della dottrina e condiscendenza pastorale. La Chiesa, dietro l’impulso magisteriale del Papa, si vede confermata nella sua costitutiva disposizione a portarsi oltre ogni artificiosa separazione e contrapposizione della verità e della prassi, della dottrina e della pastorale, per riscoprire fino in fondo la responsabilità morale e dunque pratica dei suoi processi di interpretazione della dottrina. Insomma c’è una dimensione pastorale della dottrina e assieme una pastorale che è anch’essa dottrinale che deve essere vissuta come un orizzonte rinnovato dell’essere stesso della Chiesa. Questa responsabilità – che le viene dall’imitazione del Signore, il quale in molti modi e con grande chiarezza ne ha dato l’esempio – impone alla Chiesa (alla comunità cristiana) di praticare un discernimento delle regole che si fa carico della vita delle persone, affinché non vada persa in nessun caso la loro percezione di essere amate da Dio.
L’immagine evangelica che userei per delineare la “forma ecclesiae” da vivere oggi è quella della parabola della pecora smarrita (cfr Lc 15,4-7): non è solo il pastore che deve uscire, tutte le novantanove sono chiamate ad uscire con il pastore per cercare, accompagnare, discernere e integrare chiunque ha bisogno di aiuto. Ma tutti dobbiamo vivere “in uscita”. Le novantanove, se restano sole, in certo modo si privano della essenziale dimensione missionaria del pastore: il recinto rischia di ridursi a burocrazia autoreferenziale. L’Esortazione chiede una nuova “forma ecclesiae”, che sia tutta missionaria, tutta “in uscita”, in “effettiva” uscita. Ecco perché non basta – per restare nell’ambito della famiglia – semplicemente riorganizzare la “pastorale famigliare”. C’è bisogno di molto di più: rendere “famigliare tutta la pastorale” o, ancor più chiaramente, rendere “famigliare tutta la Chiesa”.
Il Papa sa bene che non è facile o scontato accogliere questo orizzonte. Ma non vuole essere equivocato, anche perché non mancano, anche fra i credenti, coloro che vorrebbero una Chiesa che si presenti essenzialmente come un tribunale della vita e della storia degli uomini. Insomma, una Chiesa pubblico ministero dell’accusa, oppure notaio che registra gli adempimenti e le inadempienze di legge senza riguardo per le dolorose circostanze della vita e l’interiore riscatto delle coscienze. Ci si dimentica in tal modo che la Chiesa è stata impegnata dal Signore ad essere coraggiosa e forte proprio nella protezione dei deboli, nel riscatto dei debiti, nella cura delle ferite dei padri e delle madri, dei figli e dei fratelli; a cominciare da quelli che si riconoscono prigionieri delle loro colpe e disperati per aver fallito la loro vita. E vuole accompagnare tutti sino alla piena integrazione al Corpo di Cristo che è la Chiesa.
I segni forti di questo raddrizzamento di rotta sono almeno due. Il primo: è ovvio che il matrimonio è indissolubile, ma il legame della Chiesa con i figli e le figlie di Dio lo è ancora di più perché è come quello che Cristo ha stabilito con la Chiesa, piena di peccatori che sono stati amati quando ancora lo erano. E non sono abbandonati, neppure quando ci ricascano. Questo, come dice l’apostolo Paolo, è proprio un mistero grande, che va decisamente oltre ogni romantica metafora d un amore che rimane in vita soltanto nell’idillio di “due cuori e una capanna”. Il secondo segno è la conseguente piena consegna al Vescovo di questa responsabilità ecclesiale, sapendo che il principio irrinunciabile è la salus animarum (un’affermazione solenne che chiude il Codice di Diritto Canonico, ma che spesso viene dimenticata). Il Vescovo è giudice in quanto pastore. E il pastore riconosce le sue pecore anche quando hanno smarrito la strada. Il suo scopo ultimo è sempre quello di riportarle a casa, dove può curarle e guarirle, mentre non lo può fare se le lascia dove sono abbandonandole al suo destino perché “se lo sono cercato”.
Com’è evidente, si tratta di un nuovo stile ecclesiale da intraprendere. E questo richiede anche la consapevolezza della diversità delle situazioni. Il Papa non propone né una nuova astratta dottrina né nuove regole giuridiche. Nel testo il Papa ricorda che già durante il Sinodo vi è stata una pluralità degli interventi dei vescovi che hanno composto un «prezioso poliedro» (n.4). Tale orizzonte sollecita la teologia ad intraprendere una rinnovata riflessione in materia e spinge le singole Chiese a prendersi la responsabilità di far fronte alle innumerevoli sfide che le famiglie sono chiamate ad affrontare nei diversi contesti sociali e culturali. Nelle diverse regioni – scrive il Papa – “si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato” (n.3). Il Papa avverte altresì che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero».
La famiglia nella Parola di Dio, nella società contemporanea e la sua vocazione oggi
L’Esortazione Apostolica – dopo tali spunti introduttivi – avvia la riflessione con un trittico (sono i primi tre capitoli). Nel primo si parla delle famiglie che popolano la Bibbia. E si sottolineano le loro storie reali fatte “di amore e di crisi”(n.8). Nel secondo si descrivono le sfide che le famiglie sono chiamate ad affrontare in questo momento storico: dal fenomeno migratorio alla negazione ideologica della differenza di sesso (“ideologia del gender”); dalla cultura del provvisorio alla mentalità antinatalista e all’impatto delle biotecnologie nel campo della procreazione; dalla mancanza di casa e di lavoro alla pornografia e all’abuso dei minori; dall’attenzione alle persone con disabilità, al rispetto degli anziani; dalla decostruzione giuridica della famiglia, alla violenza nei confronti delle donne. Il testo presenta l’individualismo esasperato come il virus che avvelena in radice i legami famigliari e che porta le famiglie a vivere in una situazione paradossale: da una parte, “si teme la solitudine e si desidera uno spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali” (n. 34). E’ il paradosso che c’è tra il radicale bisogno di famiglia che tutti sentono nella profondità del loro essere e contemporaneamente la crescente fragilità dei legami famigliari che con incredibile facilità si annullano e si spezzano, si ricompongono e si moltiplicano.
Nel terzo capitolo il Papa presenta la vocazione della famiglia come delineata da Gesù e recepita dalla Chiesa. Si prendono in esame i temi della indissolubilità, della sacramentalità del matrimonio, della trasmissione della vita e della educazione dei figli. Tra l’altro il Papa – con una consapevole autocritica – chiede alle Chiese se talora non abbiamo sbagliato presentando “un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono”(n.6). E manifesta poi tutti i suoi dubbi nell’efficacia di una pastorale che insiste “solamente su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia” (n.37). Ovviamente – ma questa è una mia riflessione – resta aperta una questione cruciale: perché, oggi, i giovani preferiscono la convivenza al matrimonio? Di fronte a tale disaffezione, non dovremmo chiederci se il “Vangelo della famiglia”, come lo presentiamo, è poco attrattivo? Non dovremmo ripensare il linguaggio e il contenuto di tale annuncio per rendere “attrattivo” il Vangelo della famiglia?
L’amore fecondo e le generazioni nel matrimonio e nella famiglia
I capitoli IV e V formano la parte centrale della Esortazione Apostolica. In essi si declinano le due dimensioni che sostanziano il matrimonio e la famiglia: ossia il legame d’amore tra un uomo e una donna e la fecondità generatrice che ne consegue. E qui appare una novità singolare. Il Papa non si ferma, come accade nella più diffusa catechesi, a commentare la pur fondamentale lezione del Cantico dei Cantici, che rimane certamente un gioiello della rivelazione biblica dell’amore dell’uomo e della donna. Commenta piuttosto e in maniera del tutto originale, e parola per parola, la fine fenomenologia dell’amore ispirato da Dio nello splendido inno paolino 1Corinzi 13. Il Papa parla dell’amore in chiave tutt’altro che mistica e romantica. E’ singolare che la parola più citata nel testo è proprio “amore”(365 volte), seguita da “famiglia”(279), “matrimonio” (185) e “chiesa”(149), una sequenza che non è solo terminologica. Appare evidente che l’amore di cui si parla nel testo è pieno di concretezza e di dialettica, di bellezza e di sacrificio, di vulnerabilità e di tenacia (l’amore tutto sopporta, tutto spera, tutto crede, tutto perdona, non cede mai…). Insomma, l’amore di Dio è così!
Siamo lontani da quell’individualismo che chiude l’amore nell’ossessione possessiva “a due” che peraltro mette a rischio la “letizia” del legame coniugale e famigliare. Il lessico famigliare dell’amore, nell’interpretazione del Papa, non è povero di passione, è ricco di generazione. Per questo include serenamente la libertà di pensare e di apprezzare l’intimità sessuale dei coniugi come un grande dono di Dio per l’uomo e la donna. Potremmo dire che – anche in questo – il testo papale porta a pienezza le suggestioni presenti nella Gaudium et Spes che cita esplicitamente: “Il matrimonio è in primo luogo una «intima comunità di vita e di amore coniugale» che costituisce un bene per gli stessi sposi, e la sessualità ‘è ordinata all’amore coniugale dell’uomo e della donna’”(n.80). Il lessico famigliare dell’amore, come proposto dal Papa, è ricco di passione, è robusto nella generazione.
Nel capitolo quinto l’attenzione va sull’altra dimensione dell’amore coniugale: la fecondità e la generatività. Si parla in maniera spiritualmente e psicologicamente profonda dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa nella gravidanza, dell’amore di madre e di padre, della presenza dei nonni. Ma anche della fecondità allargata, dell’adozione, dell’accoglienza e del contributo delle famiglie a promuovere una “cultura dell’incontro”, della vita nella famiglia in senso ampio, con la presenza di zii, cugini, parenti dei parenti, amici. Il Papa sottolinea la inevitabile dimensione sociale del sacramento del matrimonio (n.186), al cui interno si declina sia il ruolo specifico del rapporto tra giovani e anziani, sia la relazione tra fratelli e sorelle come tirocinio di crescita nella relazione con gli altri. In questo modo l’Amoris laetitia propone una rilettura del rapporto tra amore e generazione che va aldilà di qualsiasi separazione o giustapposizione tra questi due fondamentali e costitutivi motivi significati del matrimonio: la relazione nella coppia è intrinsecamente generante e feconda e la generazione di un terzo, il figlio, è il frutto trascendente dell’amore dei due.
In tale contesto vorrei sottolineare due punti. Anzitutto il tema del figlio. Il testo con chiarezza riafferma che il figlio non è un oggetto del desiderio, ma un progetto di consegna della vita. Di qui segue il tema del rapporto fra le generazioni, che la frammentazione e la liquidità di eros mettono a rischio. Il legame fra le generazioni è il luogo dell’eredità che deve essere fatta fruttare. Questo è il grande compito affidato alla famiglia che deve custodire la tradizione della vita senza imprigionarla, provvedere valore aggiunto al futuro senza mortificarlo. Tale dinamismo è impossibile se la famiglia perde il suo ruolo sociale di stabilità e di propulsività degli affetti. Insomma, non ci si sposa semplicemente per se stessi. Il matrimonio è più ricco di bene, se la coppia non si richiude su se stessa: questo ripiegamento non porta più letizia, porta tristezza. La famiglia è il motore della storia, l’amore che lavora per la vita: non certo il rifugio per coloro che intendono sottrarsi alle sfide della vita e della storia. In questo passaggio e alleanza tra le generazioni si costruisce l’intera ricchezza dei popoli, sapere, cultura, tradizioni, dono, reciprocità. La passione educativa iscritta nella generazione, e l’alleanza fra una generazione e l’altra sono un termometro infallibile del progresso sociale.
Il tema educativo viene svolto nel capitolo settimo; lo accenno ora per legarlo al tema della generatività. Il Papa avverte che nei confronti dei figli “l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (…). Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia”(n.261). E’ significativa l’attenzione che il testo dedica alla educazione sessuale, un tema relativamente nuovo nella pastorale della Chiesa. L’Esortazione ne sostiene la necessità soprattutto oggi “in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità”. Essa va realizzata “nel quadro di un’educazione all’amore, alla reciproca donazione”(n.280).
Alcune prospettive pastorali
Nel capitolo sesto l’Esortazione ribadisce che le famiglie sono soggetto e non solamente oggetto di evangelizzazione. Sono esse, anzitutto, ad essere chiamate a comunicare al mondo il “Vangelo della famiglia” come risposta al profondo bisogno di famigliarità iscritto nel cuore nella persona umana e della stessa società. Certo, hanno bisogno di un grande aiuto in questa loro missione. Il Papa parla, anche in questa prospettiva, della responsabilità dei ministri ordinarti. E sottolinea con franchezza che a loro “manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie”(n.202). E chiede una rinnovata attenzione anche alla formazione dei seminaristi. Se da una parte bisogna migliorare la loro formazione psico-affettiva e coinvolgere di più la famiglia nella formazione al ministero (cfr. n.203), dall’altra sostiene che “può essere utile (…) anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati”(n. 202). Qui dovremmo aprire la riflessione sul rapporto tra le famiglie, la maternità ecclesiale della comunità e la paternità spirituale del ministero. Oggi, purtroppo, è evidente il divario che separa le famiglie dalla comunità cristiana. Potremmo dire che le famiglie sono poco ecclesiali perché spesso rinchiuse in se stesse, e la comunità cristiane sono poco famigliari perché spesso prese da una burocrazia esasperante.
Un punto particolare merita l’attenzione: l’accompagnamento dei fidanzati sino alla celebrazione del sacramento. Il testo insiste nell’aiutarli a riscoprire la vita della Comunità ecclesiale: è sempre più evidente che si tratta di vivere la fede in raccordo con la vita della comunità. Va allontanato ogni “individualismo religioso”, come lo stesso Benedetto XVI osservava nella Enciclica Spe salvi. E’ indispensabile accompagnare la nuova famiglia mentre compie i primi passi (compreso il tema della paternità responsabile). Qui ci troviamo di fronte ad un vasto campo quasi del tutto ignoto alla vita ordinaria delle parrocchie. E’ utile qui l’esperienza dei movimenti famigliari che hanno già individuato dei percorsi efficaci di accompagnamento. Ed è anche in questo orizzonte che vanno promosse le associazioni famigliari sia per aiutare la vita spirituale delle famiglie sia per una più efficace presenza nella vita sociale ed anche politica.
Il Papa esorta quindi all’accompagnamento anche delle persone abbandonate, di quelle separate o divorziate. Sottolinea, tra l’altro, l’importanza della recente riforma dei procedimenti per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale e della responsabilità affidata ai Vescovi. Il testo richiama la sofferenza dei figli nelle situazioni conflittuali e dice chiaramente: “Il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per questo, senza dubbio, il nostro compito pastorale più importante riguardo alle famiglie è rafforzare l’amore e aiutare a sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo dramma nella nostra epoca”(n. 246). Si accenna ai matrimoni misti e a quelli con disparità di culto, e alla situazione delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale, ribadendo il rispetto nei loro confronti e il rifiuto di ogni ingiusta discriminazione e di ogni forma di aggressione o violenza.
Pastoralmente preziosa è la parte finale del capitolo: “Quando la morte pianta il suo pungiglione”. Si tratta di una dimensione purtroppo spesso disattesa che richiede invece una nuova attenzione pastorale: tutte le famiglie, nessuna esclusa, fa l’esperienza del lutto e chiede accompagnamento. Tale prospettiva è ancor più urgente oggi visto l’attenuarsi del senso della morte nelle società contemporanee e la mancanza di gesti e di parole che aiutino chi muore e chi resta.
La cura delle famiglie ferite: accompagnare, discernere e integrare
Il capitolo ottavo – tra le parti più attese della Esortazione papale – costituisce un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore propone. Il Papa ribadisce che non si deve affatto rinunciare ad illuminare la verità del cammino della fede e le forti esigenze della sequela del Signore, come ho sottolineato all’inizio. Al contrario, esorta ad assumere lo sguardo di Gesù e lo stile di Dio che ha chiaramente espresso nelle sue parole, nei suoi gesti, nei suoi incontri. E richiama il fatto che ci sono anche “altre forme di unione che contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo” e in queste ultime il Papa colloca i credenti conviventi o quelli uniti solo con matrimonio civile. In ogni caso, la Chiesa “non manca di valorizzare gli ‘elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più’ al suo insegnamento sul matrimonio”(n.292). C’è qui l’ansia evangelica di non spegnere il lucignolo fumigante (cfr. Mt.12,20). Ogni “seme di famiglia” – si potrebbe dire – ovunque ci sia, va accompagnato e fatto crescere.
Il Papa delinea un nuovo asse della vita pastorale della Chiesa che viene iscritto nell’orizzonte della Misericordia. Anche qui, una piccola notazione terminologica. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica la parola “misericordia” si trova 12 volte, su un testo di circa 800 pagine, mentre nell’Amoris laetitia 41 volte in testo quattro volte più breve. C’è bisogno di una Chiesa che si dedichi ad accompagnare e ad integrare tutti. Nessuno deve essere escluso. Per questo c’è bisogno di uno sguardo che sia di compassione, non di condanna. Il discernimento deve andare in questa direzione e quindi teso a cogliere nelle diverse situazioni “famigliari” i “segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio”(294). Vanno evitati pertanto quei “giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione”(n.296). E comunque ogni persona deve trovare posto nella Chiesa: “nessuno può essere condannato per sempre”(297). Peraltro, avverte il Papa, le situazioni sono molto diverse tra loro e “non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale”(n.298). In tale prospettiva “è comprensibile – continua il Papa – che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”(n.300). E continua affermando che “è possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il ‘grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi’, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”(n.300).
L’indicazione che il testo consegna ai Vescovi è semplice e diretta. Tre verbi che costituiscono tra loro legati un unico itinerario: accompagnare, discernere, integrare. E’ evidente che tale itinerario è possibile ad una condizione, ossia che sia chiara la presenza della comunità cristiana. Si potrebbe dire che è la comunità con il suo pastore ad essere chiamata ad accompagnare, a discernere e ad integrare chi deve incamminarsi, appunto, verso la crescita nell’amore di Cristo. Sappiamo bene infatti che Dio non salva individualmente, ma radunandoci in un popolo. Lo ribadisce con chiarezza il Concilio Vaticano II. E tutti sappiamo che la fede condivisa e l’amore fraterno fanno miracoli anche nelle situazioni più difficili.
L’accesso alla grazia di Dio, che genera la conversione del peccatore, è una cosa seria. La dottrina cattolica del giudizio morale, forse un po’ trascurata, viene rimessa in onore dalla Esortazione Apostolica. La qualità morale dei processi di conversione, infatti, non coincide automaticamente con la definizione legale degli stati di vita. Per questo il testo scrive che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”(301). Il compito dei sacerdoti, in particolare, ma non solo, è indirizzato perciò ad accompagnare in questo percorso ecclesiale di conversione e di integrazione di cui il vescovo è il primo responsabile: niente “fai-da-te”, né per loro, né per i fedeli. Non vi è un calcolo legale da applicare, né un processo da decidere ad arbitrio; e neppure di eccezioni da fare o di privilegi da concedere (300). E’ un processo di discernimento che si iscrive in un cammino di coscienza, legato al “foro interno” (direzione spirituale e sacramento della Riconciliazione). Il cammino richiesto, perciò, è un intreccio tra la dottrina della Chiesa, il discernimento delle coscienze, l’onorare il principio morale, e custodire la comunione.
In questa linea di discernimento e integrazione il Papa – accogliendo ciò che i vescovi hanno chiesto – esorta a “discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”(n.299). Si tratta delle sette forme di esclusione: incarico di padrino; lettore; ministro straordinario dell’eucaristia; insegnante di religione; catechista per la prima comunione e per la cresima; membro del consiglio pastorale diocesano e parrocchiale; testimone di nozze (sconsigliato, ma non impedito). L’intento è esplicito: “Essi (i divorziati risposati) non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti”(n.299). Su questo punto le singole Chiese locali sono chiamate a riflettere e a decidere.
Il Papa, inoltre, fa propri sei criteri per il discernimento approvati dal Sinodo: 1) “fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento”; 2) “chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi”; 3) chiedersi “se ci sono stati tentativi di riconciliazione”; 4) chiedersi “come è la situazione del partner abbandonato”; 5) chiedersi “quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli”; 6) chiedersi “quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio”. Il Papa continua: “Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che «orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr Familiaris consortio, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa”(300). Pertanto, “quando si trova una persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale”(300).
Il Papa chiede che si rifletta “su condizionamenti e circostanze attenuanti” per quanto riguarda la imputabilità e la responsabilità delle azioni e, appoggiandosi a san Tommaso d’Aquino, si sofferma sul rapporto fra “le norme e il discernimento” affermando che “è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti a una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma”(n.304). Sotto il profilo normativo della teologia-morale, questo ottavo capitolo è senza dubbio il più impegnativo. Il Papa, riprendendo la dottrina morale tradizionale si riallaccia al tema classico delle circostanze attenuanti (n.301-303. 308) e propone una interessante riflessione sul rapporto tra norma e giudizio nella situazione (discernimento), nella quale, senza eludere o sminuire la norma, nemmeno si cade in una riduttiva interpretazione della coscienza morale, che la considererebbe una semplice “applicazione” deduttiva di una fredda normativa.
Da quanto osservato circa l’integrazione possibile, derivano tre considerazioni conclusive. Se, da una parte, è vero che si deve evitare la confusione e lo scandalo nei fedeli “normali”, dall’altra, occorre pure evitare la confusione e lo scandalo nei fedeli divorziati risposati, che, mentre non sono scomunicati, al tempo stesso, risultano di fatto ridotti a spettatori della vita ecclesiale anziché responsabili di ministerialità differenti che sono richieste ad ogni battezzato per l’edificazione della Chiesa. Un’altra considerazione riguarda la testimonianza che eventuali figli nati dalla seconda unione hanno diritto di ricevere dai genitori, pena il rischio di pagare il prezzo della emarginazione di cui non sono responsabili ma solo vittime. Di qui la via del discernimento, ossia la via discretionis che permette ai pastori di valutare caso per caso, specialmente riguardo alla progressiva inclusione delle persone che, trovandosi in una situazione ormai irreversibile, sono particolarmente bisognose di accoglienza, di accompagnamento e di misericordia.
“La logica della misericordia pastorale”
Nell’ultima sezione del capitolo ottavo, Papa Francesco ribadisce che «Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture» (n.307). In ogni caso il senso complessivo del capitolo e dello spirito che Papa Francesco intende imprimere alla pastorale della Chiesa è ben riassunto nelle parole finali: “Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa” (n.312). In sintesi, sono elementi fondamentali del discernimento sia la fiducia da parte dei fedeli che vivono le situazioni complesse sia l’ascolto profondo da parte dei pastori. Sulla “logica della misericordia pastorale” Papa Francesco afferma con forza: “A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo”(n. 311).
Spiritualità coniugale e familiare
Il nono capitolo è dedicato alla spiritualità coniugale e familiare, “fatta di migliaia di gesti reali e concreti” (n.315). Con chiarezza si dice che “coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica”(n.316). Tutto, “i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione”(n.317). Si parla quindi della preghiera alla luce della Pasqua, della spiritualità dell’amore esclusivo e libero nella sfida e nell’anelito di invecchiare e consumarsi insieme, riflettendo la fedeltà di Dio (cfr. n.319). E infine la spiritualità “della cura, della consolazione e dello stimolo”. Nel paragrafo conclusivo il Papa afferma: “Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare (…). Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare ! (…). Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa”(n.325).
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