Risurrezione

La Pasqua è il centro della fede cristiana. Da essa infatti sgorga la salvezza degli uomini e dell’intera creazione. La Chiesa, consapevole di questa centralità, organizza l’anno liturgico attorno alla Pasqua, perché possiamo comprenderla e accoglierla sempre più nella sua multiforme ricchezza. In questa breve riflessione vorrei richiamare un aspetto di questo mistero, ossia il rapporto tra la risurrezione di Gesù e la nostra risurrezione. Nel Credo noi diciamo di credere “nella risurrezione della carne”. Non tutti però comprendono cosa significa questa affermazione. Molti poi pensano che dopo la morte ci aspetta una realtà confusa, informe e senza contorno alcuno. La Pasqua ci dice invece che dopo la morte c’è la concretezza dei nostri corpi risorti, come quello di Gesù. Noi cristiani dovremmo dire – per essere precisi – che crediamo non tanto all’Aldilà ma nella risurrezione nostra e di tutti i salvati. Insomma, l’Aldilà è pieno di “carne”, ossia affollato di persone, di storia, di eventi. Nulla delle cose buone, persone e cose, appunto la “carne”, viene perduto perché Cristo ci salva. E’ la novità del cristianesimo. La risposta più saggia che l’antichità ha trovato alla domanda sul dopo-morte – è la risposta di Socrate – salva solo l’anima, non il corpo, considerato come una prigione da cui liberarsi. Il cristiano non vede il copro come una prigione, ma come una realtà creata da Dio che Gesù è venuto a salvare dai suoi limiti e rendere quindi eterna. Chi ha letto gli Atti degli Apostoli ricorda bene la disputa tra San paolo e i sapienti di Atene.. Quei filosofi ascoltarono Paolo con interesse mentre parlava della dimensione religiosa della vita e anche di Gesù di Nazareth. Ma quando Paolo iniziò a parlare della risurrezione di Gesù dai morti lo interruppero: “Su questo ti ascolteremo un’altra volta”. Essi ammettevano l’immortalità dell’anima ma non la risurrezione della carne. Noi cristiani crediamo invece nella risurrezione di tutta la nostra persona, appunto, come è avvenuto per Gesù nel giorno della Pasqua. Egli, scrive l’apostolo Paolo, è “il primogenito di coloro che risorgono dai morti”(Col 1,18). Per il credente la morte non è la fine, è il momento – certo di un difficile passaggio –  per essere coinvolto nella risurrezione stessa di Gesù. Non si tratta del semplice ritorno alla vita, come accadde ad esempio a Lazzaro o al giovane figlio della vedova di Naim, i quali furono ridonati da Gesù alla vita di questo mondo. La risurrezione è essere trasportati in un mondo nuovo ove non c’è più né morte, né lutto, né male, né guerre, né solitudine. La fatica a comprenderlo ci dice la grandezza della dimensione di risorti. Una pallida analogia possiamo scorgerla nell’esempio del feto mentre è ancora nel seno della madre: difficilmente riesce ad immaginare il mondo che lo attende. Così anche noi difficilmente possiamo capire cosa vuol dire vivere da risorti. Ma il Vangelo della Pasqua – li ascolteremo in questo mese – ci descrive l’incontro dei discepoli con Gesù risorto: lo vedevano, lo toccavano, mangiavano e parlavano con lui; era lo stesso di prima, conservava persino i segni della passione, eppure era totalmente diverso. Era un corpo spirituale. Gesù era entrato nella dimensione definitiva della “vita” non solo con l’anima, ma anche con il suo corpo. Così sarà per noi: nulla di ciò che siamo e compiamo verrà perduto, tutto verrà salvato (solo il male sarà come bruciato e distrutto). È il mistero della speranza cristiana: noi crediamo nel Signore risorto che ci libera dal male e salva tutta la nostra vita e quella di tutti coloro che a Lui si affidano.