Relazione per la Visita ad Limina

Relazione per la Visita ad Limina

VALUTAZIONE GENERALE E PROSPETTIVE PER IL FUTURO


 


La relazione sulla vita pastorale della Chiesa di Terni – Narni – Amelia, prende avvio dall’anno 2000 e coincide con gli anni del mio ministero episcopale. Il testo, redatto con il coinvolgimento dei responsabili dei diversi organismi diocesani, è stata una occasione per un comune discernimento della vita della Chiesa diocesana. In questa prima parte di sintesi generale si accenna anzitutto al contesto ecclesiale degli anni passati cui seguono alcune osservazioni sulla situazione sociale e culturale della società di Terni-Narni-Amelia; vengono quindi delineati i tratti essenziali che hanno caratterizzato l’azione pastorale di questi ultimi sei anni. Nella conclusione si prospettano alcune linee per l’immediato futuro.


 


Il contesto ecclesiale


 


Punto di riferimento è il Concilio Vaticano II la cui applicazione è stato l’impegno dei vescovi della Diocesi in questi ultimi decenni. Si tralasciano gli episcopati di mons. G.B. Dal Pra, vescovo di Terni e Narni (equi principaliter unite) che ha partecipato al Concilio, e di mons. V. Loiali, vescovo di Amelia non ancora unita a Terni e Narni. Con Mons. Quadri le tre diocesi vengono unite equi principaliter. Egli, sin dalla sua prima lettera pastorale, Con Cristo, nella Chiesa, per la vita del mondo, assunse la presentazione e la ricezione del Concilio come programma pastorale. Si trovò di fronte una Chiesa in difficoltà, non ricca economicamente, culturalmente marginale e non di rado bersaglio di ostilità ideologiche, storicamente povera di clero, di vocazioni locali e debole nell’associazionismo laicale. Si impegnò confrontandosi con i non pochi problemi connessi all’unificazione delle tre precedenti diocesi, caratterizzate in qualche caso da situazioni sociali e da tradizioni e stili ecclesiali anche molto differenti. Riuscì peraltro a far apparire la Chiesa locale distinta e libera rispetto a qualsiasi gruppo o potere locale politico od economico, senza che questa distanza sfumasse mai in indifferenza o reticenza. La visita di Giovanni Paolo II in diocesi (1981) e la visita che la diocesi rese successivamente a Roma coronarono questo cammino di accreditamento ed avvio di conformazione al rinnovamento del Concilio.


La ricezione del Concilio restò la priorità anche di mons. Franco Gualdrini, garantendo così alla diocesi una sostanziale continuità con il precedente decennio. Comune fu la volontà di investire nella qualificazione teologica e più in generale culturale del clero e dei laici, e quella del coinvolgimento dei laici nella vita e nelle responsabilità diocesane e parrocchiali. Sistematizzò la realizzazione dei Consigli Pastorali (Diocesano e Parrocchiali) con notevole successo in termini di partecipazione e di responsabilizzazione. Diresse l’impegno in due direzioni: da una parte sollecitò l’attenzione sui singoli settori pastorali, nuovi e “tradizionali”, dall’altra cercò di suscitare l’attenzione ai cambiamenti sociali e culturali. In linea con il magistero papale affrontò anche la preparazione al Giubileo ponendo al centro di quel cammino il tema della «santità donata a tutti e possibile per tutti». Non si nascosero peraltro quei punti più scoperti che richiedevano un’attenzione rinnovata e vigile: 1) un elevato tasso di clericalismo nei fedeli; 2) un narcisismo diffuso tra coloro che – laici o clero – prestano un servizio nella comunità; 3) un esagerato peso dato agli aspetti esteriori del culto e delle devozioni a scapito di una conoscenza più matura della fede cristiana; 4) una diffusa idiosincrasia per le riunioni e per ogni genere di “convenire ecclesiale”.


E’stato comunque evidente l’impegno della Chiesa Diocesana nel porsi sulla scia delle indicazioni conciliari. E sentiamo ancor oggi la centralità, anche per la nostra Chiesa locale, del Magistero del Vaticano II, attenti, per la comprensione dei testi e dello spirito dell’evento conciliare, a quanto lo stesso Benedetto XVI ha richiamato nel suo discorso alla Curia romana del dicembre 2005.


 


Il contesto sociale


 


Il contesto sociale, culturale ed economico in questi ultimi decenni ha vissuto un radicale processo di trasformazione. Due le tendenze di lungo periodo più evidenti: una di carattere demografico e l’altra di carattere economico. Dal punto di vista demografico vi è un processo di invecchiamento della popolazione che supera i trend nazionali. L’indice per i territori della diocesi si triplica nel periodo 1981-2004. Questo dato acquista ancor più rilevanza se letto insieme ai dati relativi ai processi economici. L’invecchiamento della popolazione infatti si affianca ad un bassissimo tasso di partecipazione al mercato del lavoro (39.29% nel 2001, di poco superiore a quello del 1991) e ad un’alta percentuale di occupati nella pubblica amministrazione (9.54% nel 2001). Ci sono quindi preoccupanti segnali di “recessione” e di stallo. La società ternana rischia di diventare un’area di “puro consumo”. E se non ci sono forti crisi sociali è dovuto al fatto che i processi di socializzazione e di integrazione ereditati dal modello agricolo-industriale hanno costruito un tessuto sociale in grado di assorbire intensi e veloci processi di mutamento.


Un esempio. Nel comune di Terni – la realtà urbana della diocesi che da sola ospita il 70% della popolazione residente – gli occupati nell’industria (il settore che ha fornito l’identità sociale alla città per un secolo) sono passati dal 67.4% (1971) al 30,5% (2001), mentre quelli del settore dei servizi sono passati dal 12.8% (1971) al 48.1% (2001). Non solo: a questi processi di mutamento corrisponde anche un discreto incremento delle risorse culturali individuali. I laureati passano dal 2.81% della popolazione residente nel 1981 al 7.70% nel 2001; i diplomati passano dal 13.25% al 28.l3%. A partire dalla fine degli anni novanta, inoltre, ha preso corpo lo sviluppo del Polo universitario ternano (dipendente dall’Università statale di Perugia) che raccoglie oltre 3000 iscritti in diversi corsi di laurea.


 


A questo forte cambiamento sociale ed economico non è però corrisposto un altrettanto forte senso di creatività per lo sviluppo dell’area sia sul versante economico che su quello culturale. La società è ancora legata culturalmente alla grande industria nonostante che quest’ultima abbia subito un notevole e irreversibile ridimensionamento. E’ sempre più urgente ripensare l’identità sociale dell’intera società ternana. E questo non avviene in astratto ma attraverso lo sforzo congiunto di tutte le istituzioni, Chiesa locale compresa, e dei singoli individui. A mio avviso, senza una “rinascita”, anche religiosa, è praticamente impossibile sperare in un futuro nuovo di sviluppo. C’è bisogno di un sobbalzo morale da parte di tutti per superare antichi e radicati ripiegamenti personali o di gruppo. Una nuova prospettiva di sviluppo richiede, al di là degli apporti sociali ed economici, un investimento robusto nel versante culturale. E credo che la Chiesa locale sia chiamata in prima persona ad intervenire in questo ambito. Come pure è indispensabile che cresca una coscienza più evidente e più chiara del bene comune. E questo avviene irrobustendo nelle persone una nuova speranza e una rinnovata fiducia. La fiducia è indispensabile per stabilire costruttivi rapporti sociali, per avere relazioni economiche stabili, per ridurre gli effetti dei comportamenti utilitaristici degli individui, dei gruppi, delle imprese, delle associazioni, della stessa comunità cristiana. La fiducia insomma consente di investire sul futuro, trasforma il tempo da rischio in opportunità, riduce il peso del controllo sociale e del continuo negoziato. La fiducia riduce l’incertezza, sgretola gli effetti paralizzanti del rischio, spinge a coniugare rischio, creatività ed innovazione.


Ho cercato di colpire la diffidenza che rischia di paralizzare la vitalità delle persone e dei gruppi sociali, perché genera rassegnazione e uccide lentamente la speranza. Nell’ Omelia per la festa di S.Valentino del 14 febbraio 2005 dicevo, citando la mia lettera pastorale sulla Parola di Dio: “è facile rassegnarci e ritirarci nel nostro piccolo mondo […] La rassegnazione gela la speranza di una vita nuova, di un mondo più giusto e più felice. E continuiamo a vivere senza sognare più una vita piena, giusta e bella per tutti”[1]


 


Una priorità pastorale


 


Di fronte a questa situazione la Chiesa diocesana si è presentata come il “cuore” che può immettere nella società il sangue nuovo del Vangelo. Convinto che solo una Chiesa davvero evangelica può essere anima della città degli uomini ho pensato urgente riproporre a tutti il primato della Domenica e della Liturgia Eucaristica. Questo è il punto di partenza che deve ispirare l’intera vita pastorale della diocesi. Tre icone scandiscono il cammino pastorale, ancora in corso. L’icona di Emmaus, che richiama la centralità della Pasqua nella vita della Chiesa; l’icona di Maria la sorella di Lazzaro ai piedi di Gesù, che mostra il primato della preghiera e dell’ascolto del Signore; l’icona del Buon Samaritano, che manifesta il primato della carità. In queste tre icone è come delineato il cammino della diocesi in questi anni.


 


a) Il punto di partenza è stato, e tutt’ora lo resta, la centralità della Domenica e della Liturgia Eucaristica. Una considerazione concreta spingeva a perseguire questa scelta: la frequenza alla Messa domenicale nella Diocesi era tra le più basse d’Italia. La convinzione che la celebrazione della Domenica resta uno dei doni più preziosi che la Chiesa può fare alla città degli uomini e, nello stesso tempo, il momento per eccellenza nel quale la comunità cristiana si ritrova, spingevano a coinvolgere l’attenzione di tutti su questo punto. Bisognava “ripartire dalla Domenica”. Questa scelta pastorale, divenuto il punto di partenza, affondava le radici sia in ragioni teologiche che pastorali e sociali. Si vide subito il legame con il Concilio, basti pensare alla Sacrosanctum Concilium, e con i numerosi interventi magisteriali successivi, la Dies Domini e la Novo Millennio Ineunte. Una ulteriore conferma è venuta dal Sinodo dei Vescovi sulla Eucarestia.


La scelta di iniziare dall’Eucarestia domenicale ha concentrato l’attenzione e gli sforzi di tutti perché divenisse davvero «la fonte ed il culmine» della vita cristiana. Certo, ci si precludeva la possibilità di variare, di passare ad altri temi. Con la Domenica (e la sua liturgia) si è posto al centro il compimento della redenzione ed insieme la prospettiva della speranza escatologica. Con la Domenica si poneva al centro un tempo ed un evento che raccoglie ed esalta la socialità umana ed insieme ne limita e ne valuta le forme concrete e provvisorie. Ridare la centralità all’Eucarestia ha significato cogliere “la fonte” da cui tutto sgorga.


Lo sviluppo di questo programma pastorale è stato guidato, dopo una prima presentazione del mistero della Domenica, dalla Liturgia Eucaristica. Ciascun momento della Liturgia è stato con pazienza approfondito, riscoperto, reinterpretato.  Anno dopo anno sono stati messi al centro della attenzione i tempi, gli spazi, gli attori e poi le successive parti della Messa. Contemporaneamente sono state anche condotte ricerche (sulla popolazione, sui “praticanti”, sull’offerta omiletica della domenica e sulla sua ricezione, sui componenti i consigli pastorali parrocchiali, ecc.) i cui risultati hanno aiutato a compiere l’opera di discernimento e di rinnovamento. Tra i segni che hanno irrobustito la partecipazione dei fedeli alla Messa vi è stata l’indicazione della comunione sotto le due specie come modo ordinario di accostarsi all’Eucaristia. Di grande rilievo e motivo di grande gioia è stata la semplicità con cui clero e popolo hanno accolto questo invito. E’ svolto con dignità e devozione, smentendo le paure e le prevenzioni di qualche voce isolata.


Anno per anno, lo stimolo al rinnovamento della celebrazione e della partecipazione alla liturgia domenicale è avvenuto principalmente nella forma di una serie di indicazioni fornite all’inizio dell’anno pastorale che poi tornavano nella forma di elaborati critici e propositivi formulati dai consigli pastorali parrocchiali, per essere utilizzati nella definizione di un testo ufficiale consegnato all’inizio dell’anno pastorale successivo. Notevole è stata, quantitativamente e non solo, la partecipazione della parrocchie e del Consiglio Pastorale Diocesano a questo percorso, accompagnato da occasioni si approfondimento teologico e spirituale.


 


b) L’episodio di Emmaus ha spinto a concentrare l’attenzione sulla “liturgia della Parola”. Per oltre due anni abbiamo voluto che il primato della parola di Dio ritornasse ad essere centrale nella coscienza dei fedeli. L’icona di Maria ai piedi di Gesù ha esemplificato questa prospettiva, peraltro già preparata dalla consegna, che viene fatta ogni anno, di un libro della Bibbia, commentato dal vescovo, ad ogni fedele della diocesi. L’intento è ridare in mano a tutti le Sante Scritture perché divengano il libro ordinario della preghiera. Si è così avviata una sorta di lectio divina popolare. Una apposita Lettera Pastorale, La Bibbia ridona il cuore, ha scandito questi due anni per fra crescere l’entusiasmo per la Bibbia, anzi una vera e propria “devozione” per essa anche per una evangelizzazione della pietà popolare, diffusa nella Diocesi. 


 


c) In questo anno ci accingiamo a portare la nostra attenzione sulla terza prospettiva pastorale: la carità. L’enciclica di Benedetto XVI è venuta come un dono prezioso e provvidenziale. L’icona del Buon Samaritano, che si lega strettamente a quella di Maria ai piedi di Gesù, ci manifesta l’amore come l’altra dimensione (oltre quella della preghiera) che scandisce la vita della Chiesa e di ogni credente. Di qui si apre la responsabilità della comunità cristiana e di ogni singolo fedele di fronte alla città degli uomini per testimoniare quella eredità di amore propria del cristianesimo. Una nuova lettera pascolare sulla carità è in via di elaborazione con lo stesso procedimento che ha caratterizzato le due precedenti. In certo modo si chiude un ciclo pastorale all’interno del quale verranno di volta in volta evidenziati temi più specifici e particolari. Mi è parso però importante offrire un orizzonte generale e comprensivo dell’azione pastorale perché è su queste dimensioni che si edifica la comunità cristiana.




I segni positivi


 


Portando ora lo sguardo al presente, dopo aver richiamato brevemente la situazione socio-pastorale a cinque anni di distanza e le principali direzioni del cammino diocesano, si possono osservare alcuni segni positivi ed incoraggianti.


 


a) La maggior parte della comunità ecclesiale diocesana ha accolto e appare convinta nel condividere la priorità pastorale della Domenica e della Messa. E’ necessario sottolineare almeno due aspetti positivi della situazione maturata. In primo luogo si è riscontrato il vantaggio derivante dal convergere di persone, parrocchie ed uffici verso una stessa analisi ed uno stesso intento, tanto più se il “fuoco” di questa convergenza ha tanto intrinseco valore. In secondo luogo, è stato positivo aver aderito con convinzione ad una programmazione pastorale che non vede sfilare di anno in anno questioni del medesimo valore in una successione che può a volte apparire dettata da schemi astratti, ma che si concentra con pazienza e determinazione per lungo tempo su di un solo e cruciale tema. Tale opzione, inoltre, ha permesso di valutare i risultati ottenuti evitando un avvicendamento routinizzato delle priorità. Questa scelta non ha significato ovviamente trascurare gli altri aspetti della vita pastorale; anzi, si è sempre sottolineato che l’Eucaristia dona una tonalità nuova a tutti gli aspetti della vita pastorale. 


 


b)Sulla scorta dell’impegno per la diffusione ed il radicamento del Consiglio Pastorale Diocesano e dei Consigli Pastorali Parrocchiali, si può registrare non solo la presenza del Consiglio Pastorale Parrocchiale in ogni parrocchia ma anche un reale coinvolgimento nel cammino di elaborazione annuale della pastorale. Il Consiglio Pastorale Diocesano ha sostenuto la qualità di funzionamento. Seppure i numeri non possono essere considerati parametro primario di valutazione, meritano a questo proposito un rimando i dati precisi riportati più avanti. La ripresa di un dialogo pastorale tra centro e periferia della diocesi ha consentito ed insieme è stato aiutato da un’operazione di riforma delle strutture diocesane, particolarmente attraverso la creazione delle foranie, la valorizzazione dei vicari foranei, la riforma ed un principio di razionalizzazione della curia.


 


c) In controtendenza con la media nazionale degli adulti partecipanti almeno una volta alla settimana ad una celebrazione religiosa, la ripetizione nel 2006 di un sondaggio svolto nel 2001 e destinato a rilevare le dimensioni di questo e di altri fenomeni socio-religiosi nel territorio diocesano, mostra un piccolo ma significativo incremento a questo riguardo. Non solo, merita anche una particolare sottolineatura il fatto che il contributo principale a questo incremento venga dall’unica grande area urbana (110.000 ab., circa ¾ della popolazione diocesana). Questo risultato non deve appagare, ma stimolare a una maggiore e più intelligente responsabilità. Infatti, non solo non risulta modificata la situazione generale che vede tutta l’Umbria meridionale tra le aree a più bassa partecipazione religiosa del paese, ma questo lieve aumento della partecipazione alla Messa, ottenuto attraverso un impegno serrato per la qualificazione di questa, produce – inevitabilmente – tanto un simmetrico raffreddamento della attenzione verso la liturgia da parte dei settori più “lontani” dalla chiesa, quanto un imporsi più urgente del tema della testimonianza a tutti della Carità che deve essere generata dall’Ascolto della Parola e dalla Celebrazione della Eucaristia. 


 


d) Oltre quello relativo alla partecipazione alla Messa, si possono osservare altri convergenti segnali di ripresa di partecipazione religiosa. E’ particolarmente evidente la crescita degli aderenti alla Azione Cattolica, dopo decenni di ininterrotto declino, come anche la nascita di altre comunità ecclesiali, prima inesistenti o molto deboli. Nella stessa linea, mi pare vada una discreta presenza di altre forme di aggregazioni ed in particolare una accentuata vitalità di esperienze generalmente definibili come gruppi di preghiera e di carità.


 


e) Un altro segnale positivo giunge dal settore delle vocazioni sacerdotali. Per lunga tradizione, le nostre zone sono povere di clero diocesano autoctono. La generale tendenza ad una lieve ripresa di partecipazione religiosa si manifesta in questo settore nella presenza in questo momento tra i candidati al sacerdozio per questa Chiesa locale di soli giovani (o giovani adulti) provenienti da questo stesso territorio.


 


f) La rete parrocchiale appare raccogliere ed esprimere questo fenomeno di ripresa della partecipazione religiosa, evidenziato per altro dalla crisi generale dell’associazionismo e delle istituzioni socio-politiche e socioeconomiche. In alcuni casi, alcune aree della periferia terzana ed alcuni centri minori in modo particolare, la istituzione parrocchiale diviene centro aggregante per varie aree sociale e la figura del parroco riferimento anche per domande extra religiose.


 


g) Tra i frutti positivi dell’azione pastorale svolta in questi anni si deve segnalare la consolidata visibilità e presenza della voce della Chiesa diocesana e del vescovo stesso nel dibattito pubblico locale. Questa visibilità è l’esito di un impegno più robusto che in passato di un’opera di discernimento e di intervento. In particolare gli appuntamenti culturali collocati intorno alla festa del patrono di Terni (San Valentino), e lo stesso pontificale del vescovo costantemente dedicato ad una rilettura della situazione sociale locale ed alle sfide che essa pone alla Chiesa ed alla società, riscuotono attenzione unanime ed anche notevole consenso. Momento esemplare di questo rinnovato dialogo tra Chiesa e città è stato il coinvolgimento della Chiesa in occasione di varie e acute crisi attraversate dal settore siderurgico, strategico nell’economia locale, e da quello chimico.


 


h) Tale maggiore impegno socioculturale della Chiesa locale prende anche le forme di nuove e stabili modi di presenza della carità ecclesiale. In questi cinque anni, è vigorosamente ripresa e sensibilmente qualificata la presenza della scuola cattolica in diocesi, si è sviluppata la tradizione di incontri pubblici su tematiche teologiche e culturali (“Dialoghi”) promosse dall’Istituto di Studi Teologici Storici e Sociali della diocesi e dalla Azione Cattolica, FUCI, MEIC, ha preso corpo (museo, convegni, archivio, restauri, nuove opere) una attenzione nuova per la Chiesa ternana – narnese – amerina verso la produzione artistica come momento di conservazione e di espressione della esperienza cristiana, sono state attivate inoltre forme speciali ed insieme tradizionali di carità per i più poveri, in particolare attraverso la realizzazione di un centro della carità che ospita la “mensa dei poveri” e una vasta gamma di servizi.


 


i) Infine, la Chiesa ternana ha in questi ultimi anni pressoché scoperto una sua dimensione internazionale. Sul terreno della cooperazione ecclesiale essa ha continuato l’esperienza di aiuto alla Chiesa di Kananga (RDC ex Zaire) ed ha allargato in maniera sorprendente l’aiuto ad altri paesi poveri, come l’Albania, il Kossovo, il Perù, il Guatemala, l’India e altre paesi ancora. Sul terreno dell’ecumenismo, la dimensione internazionale è cresciuta attraverso frequenti incontri di Chiese cristiane ed a Chiese cristiane non cattoliche, attraverso la realizzazione di vari convegni, e attraverso la condivisione di spazi e strutture con numericamente crescenti comunità cristiane non cattoliche presenti in diocesi. In particolare, i fedeli Ortodossi rumeni sono stati aiutati ad avere una vita ecclesiale stabile anche nelle sue forme più ordinarie.


 


Le difficoltà nel cammino


 


Non nascondiamo però che il cammino ecclesiale è ancora segnato da difficoltà e contraddizioni, vecchie e nuove. Restano ancora presenti quei difetti di ecclesialità (narcisismo, clericalismo, individualismo, culturalismo, ecc.) accennati all’inizio. E’ utile segnalare alcuni fenomeni che interessano la vita della nostra Chiesa più alla radice di altri.


 


a) L’impegno e la buona disponibilità con la quale la maggior parte delle comunità ecclesiali diocesane hanno intrapreso il cammino unitario non ha cancellato un antico e sempre rinnovato retaggio di particolarismo. Sia parrocchie che movimenti tendono a sviluppare in modo largamente autonomo la loro vita religiosa. Non si tratta di un problema di disobbedienza, quanto dell’espressione di una idea e di una tradizione di vita cristiana ancora appesantita da una autoreferenzialità dai tratti adolescenziali. Parallelo a questo fenomeno vi è quello dell’isolamento dei diversi uffici diocesani, spesso caratterizzati più da zelo e da passione che da disponibilità alla cooperazione ed al coordinamento. Un’altra delle inattese ragioni di opportunità che ha rivelato la priorità pastorale scelta per questi anni consiste nella sua natura non settoriale. Ciò aiuta a motivare la necessità del convergere anche se il cammino che ne segue è spesso lento.


 


b) C’è, inoltre, una particolare resistenza ad applicare alla dimensione economica della vita della Chiesa quei parametri di rinnovamento che il Concilio ha affermato e la Conferenza Episcopale Italiana ha riformulato in termini operativi. È forte la resistenza a condividere i criteri ed i risultati anche più sintetici della gestione delle risorse economiche a livello parrocchiale. Corrispondentemente, molto debole è tra i laici la disponibilità ad assumere in misura adeguata il dovere del sostentamento economico della Chiesa, dei suoi pastori, delle sue opere.


 



c) Una delle ragioni di queste difficoltà nella crescita della vita ecclesiale ha forse antiche radici nella storia stessa del clero locale. Il fatto che molti provengano da altre diocesi (ieri dell’Italia settentrionale, oggi dell’Est Europeo e del Terzo Mondo) ha permesso che il servizio pastorale di base fosse assicurato – ed è cosa preziosissima – ma non c’è dubbio che comporta una fatica in più per una comunione anche sul piano pastorale.


d) Nonostante i segnali di ripresa, antica è anche la radice della debolezza dell’associazionismo laicale. Remote diffidenze e più recenti conflitti (a contenuto prevalentemente socio-politico), sono alla base di un livello molto basso e disomogeneo di diffusione dell’associazionismo ecclesiale e di altre forme di aggregazione religiosa. Sta qui una delle ragioni della bassa intensità e della bassa qualità media (non mancano infatti le eccezioni) della presenza dei “laici” cristiani nella Chiesa e nella società. I segni di ripresa già menzionati non fanno altro che ricordarci una direzione di lavoro verso un cristianesimo più evangelico.


e) Negli ultimi anni l’Ufficio e la Commissione diocesani per la Pastorale Giovanile hanno svolto un lavoro molto intenso, con il coinvolgimento in particolare dei giovani dell’Azione Cattolica e degli educatori dell’ACR. Pur nell’indubbio successo di tale lavoro non possiamo ignorare la lezione che ci viene dai numeri. La nostra Chiesa sa offrire oggi una proposta importante per un cammino di fede ad un numero ancora molto piccolo di giovani, ragazzi ed adolescenti. Il particolarismo di tanti attori pastorali, la obiettive difficoltà e le crisi aggiuntive che la famiglia incontra nella trasmissione della fede e nella educazione cristiana fanno oggi della questione giovani una sfida pressante per tutta la Comunità Ecclesiale e non solo il problema di un settore della pastorale. Da tempo la trasmissione della fede alle giovani generazioni non può essere considerata dalla Chiesa un processo delegato alla famiglia. Ora sappiamo anche molto bene che una pastorale giovanile estemporanea e basata sul puro attivismo è tutt’altro che sufficiente. Serve un’azione generosa e sistematica, nuova nelle forme, che facciamo fatica anche solo ad immaginare con sufficiente chiarezza.


 


Il cammino che ci attende


 


Per quanto il cammino di una Chiesa locale non possa essere né fatto e neppure previsto dal solo Vescovo, a me pare che a questa Chiesa si prospetti un passaggio insieme di approfondimento e di novità. Continuando il cammino di riscoperta e reinterpretazione responsabile del mistero che nella Domenica e nella sua liturgia ci è partecipato siamo giunti al suo nucleo eucaristico, al sua “cuore”. Ciò fa sì che l’impegno per il rinnovamento liturgico si appresti sempre più a divenire immediatamente impegno per il rinnovamento ed il rinvigorimento dell’accoglienza e della testimonianza della Carità. Immagino che saremo chiamati a tenere presente contemporaneamente lo spazio del mistero e della preghiera e quello della carità verso tutti.  Questa più larga coscienza della vita cristiana richiede un impegno ben più attento. C’è bisogno di una maggiore coscienza del Vangelo e di una maggiore generosità nello spendere la propria vita per gli altri a partire dai più poveri.


Questo cammino va compiuto non da soli ma con le altre Chiese. Con tutte le Chiese, la cui comunione è servita dal vescovo di Roma, che nel dopo Giubileo sono state richiamate ai gesti essenziali che edificano la santità (lectio divina, celebrazione Eucaristica), richiamo cui con sincerità ci siamo da subito ritrovati. Con le Chiese che sono in Italia, nel cui richiamo all’annuncio del Vangelo in un mondo che cambia ci ritroviamo pienamente. Con le Chiese Umbre, che condividono le nostre stesse difficoltà e le nostre stesse povertà, con le quali deve crescere ancor più una comunione di amore e di passione perché il Vangelo sia comunicato.


 


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