Raduno del’Anspi

Raduno del'Anspi

E’ un momento importante per voi, cari amici dell’Anspi, ritrovarvi in questo appuntamento nazionale. Esso cade in un momento liturgico significativo, inizierà tra pochi giorni la grande e santa settimana della passione di Gesù, ed anche in un tempo particolare che vede il nostro paese scosso da vicende tragiche che riguardano il mondo dei ragazzi e dei giovani. Tutti siamo interrogati da questi fatti. Ma essi interpellano con urgenza noi che abbiamo il compito di stare in mezzo ai giovani. I fatti di queste settimane passate ci dicono, attraverso la loro tragicità, che non basta più continuare come sempre abbiamo fatto, che non è più sufficiente la pastorale ordinaria, che non è più adeguato il nostro e il vostro lavoro ordinario. C’è bisogno anche nel campo della pastorale giovanile di “prendere il largo”, di osare di più, di essere più audaci e ancor più generosi.

Il Papa ce ne dà per primo l’esempio. Egli, durante la GMG, rivolgendosi ai giovani, con grande chiarezza disse loro: “Non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio”. Si tratta di avere la stessa ambizione sui nostri giovani. In questo senso è da intendere quanto dicevo prima, ossia che non basta più l’ordinarietà del nostro impegno. Credo che è facile correre il rischio di essere poco ambiziosi sui giovani; è facile essere rassegnati su di loro. Non sognare più per loro, con la scusa che dobbiamo essere realisti. Questa rassegnazione su di loro è una grande mancanza di amore. Ed è quello che ci rimproverano. Essi, infatti, hanno bisogno di padri, di madri che sappiano indicare loro un alto ideale. La loro debolezza sta spesso nell’assenza di una paternità forte su di loro. E’ più facile inseguire i giovani, che essere loro padri. E’ più facile correre dietro di loro per attrarli, per aggirarli o per fare di loro uno spazio del mercato, che proporre la fatica della crescita e del cambiamento. E’ raro oggi incontrare persone che con coraggio mostrino ai giovani un ideale alto, esigente, radicale. Certo, in quest’ultimo caso, si corre il rischio del rifiuto. Educare, del resto, e voi me lo insegnate, è sempre un rischio perché richiede una scelta e quindi un possibile rifiuto. Ma è lo stesso rischio che corse anche Gesù, come mostra il brano evangelico del giovane ricco che se ne andò via, triste. In ogni caso l’incontro dei giovani con il Vangelo passa solo per quelle parole: “Se vuoi essere perfetto, va vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Sono parole esigenti, non v’è dubbio, possono apparire anche irritanti o troppo coinvolgenti. Ma nel cammino cristiano non c’è altra strada. E la ragione sta nel fatto che esse nascono da un amore altrettanto esigente. Un amore che costringe anche Gesù anche a costo della sua stessa vita. Solo chi è disposto a dare la vita può chiedere altrettanto. Ebbene, di un amore così hanno bisogno i giovani. Spesso, invece, sono lasciati soli, abbandonati al loro destino, anche se li aduliamo, li inseguiamo, li carezziamo, li blandiamo.


Hanno bisogno di Gesù, di un amore come quello che egli ha avuto verso quella donna. Era destinata alla morte, come destinati alla morte sono tanti nostri ragazzi. A volte è morte del cuore, altre volte morte anche del corpo. La nostra società, non di rado, li getta nel mezzo della piazza della vita senza prendersi una cura vera di loro, diventano solo oggetto di mercato, di sfruttamento, manovali della violenza. Il vangelo ci fa notare che a quegli scribi e farisei, sotto il velo dell’osservanza della legge, non importava nulla di quella donna. Per Gesù non è così. Gesù neppure li guardò. Si chinò a terra come per essere vicino più a quella donna che a loro. E si mise a “scrivere con il dito per terra”. Lasciatemi immaginare, cari amici, quella piazzetta come un oratorio, sì un oratorio, dove si affrontano la freddezza da una parte e l’amore dall’altra; il disinteresse ammantato di legalità, e una paternità senza limiti. E’ senza dubbio una scena strana, inusitata. Ma non debbono essere un po’ inusitati anche i nostri oratori, i nostri spazi? La diversità sta in quella presenza “inchinata”. Non sappiamo cosa Gesù scrisse e neppure cosa pensasse in quel momento. Una sola cosa era certa che egli stava accanto a quella povera donna. Noi, voi, dobbiamo stare accanto ai ragazzi, ai giovani, senza mai abbandonarli. Chini su di loro, come Gesù; ed esigenti con loro, come lo era Gesù.
Gli altri, ad un certo momento, se ne andarono via tutti. Capita di sovente che i ragazzi e i giovani siano abbandonati al loro destino. Quel giorno, solo Gesù rimase con quella donna. Si trovano l’una davanti all’altra, il bisogno di perdono e di aiuto e l’amore con la misericordia. Gesù riprende a parlare; lo fa come di solito, con il suo tono, la sua passione, la sua tenerezza, ed anche la sua fermezza. Alza la testa e chiede alla donna: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella risponde: “Nessuno, Signore”. La parola di Gesù diviene profonda, per nulla indifferente, anzi piena di misericordia. E’ una parola buona, di quelle che solo il Signore sa pronunciare: “Neanche io ti condanno, va e d’ora in poi non peccare più”. Gesù era l’unico che avrebbe potuto alzare la mano e lanciare le pietre per lapidarla; l’unico giusto. Invece, la prese per mano e l’alzò da terra; in verità la sollevò dalla sua condizione di miseria, e la rimise in piedi: non era venuto per condannare, e tanto meno per consegnare alla morte; è venuto per parlare e per rialzare alla vita. Dice a quella donna: “va”, come dire: ritorna alla vita, riprendi il tuo cammino. E aggiunge: “non peccare più”, ossia: percorri la via sulla quale ti ho posto, la via della misericordia e del perdono. E’ l’esempio che ci deve guidare nella piazza di questo mondo, in quegli spazi che sono i nostri oratori, i nostri luoghi: prendere per mano i giovani e farli alzare dalla loro condizione perché riprendano a vivere con gioia e con dignità.