Professione solenne di Suor Elisabetta di Gesù delle Carmelitane Scalze

Professione solenne di Suor Elisabetta di Gesù delle Carmelitane Scalze

Carissima suor Elisabetta di Gesù,


hai appena chiesto che ti venga concessa “la misericordia di Dio, la povertà dell’Ordine e la compagnia delle sorelle in questo monastero”. Oggi stesso il Signore ti concede tutto questo e molto di più ancora, secondo la promessa di Gesù a Pietro: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19, 29). Sì, oggi ricevi in dono la comunità delle sorelle di questo monastero carmelitano, e ricevi anche la nostra amicizia assieme alle nostre preghiere. In tanti siamo venuti a pregare per te e a mostrarti il nostro affetto, il mio, quello di tanti sacerdoti, dei tuoi familiari, anche del papà che dal cielo partecipa a questa santa liturgia, e di tanti altri. Tutti siamo accanto a te. E, mentre eleviamo la nostra comune preghiera al Signore, gioiamo e gustiamo questa festa d’amore. Oggi ricevi in dono l’amore di Dio. E’ il giorno in cui si manifesta la dolcezza, la bellezza, la profondità, l’altezza della amicizia del Signore per te. Se è vero che sei tu che ti presenti al Signore e che sei tu che hai scelto il nome di “Elisabetta di Gesù”, come a sottolineare il legame straordinario di amicizia che vuoi avere con Gesù, è ancor più vero che ben prima che scegliessi tu, Gesù stesso ti aveva scelta. Ancor prima che lo chiedessi tu, Gesù stesso ti aveva desiderata; ti ha cercata, ti ha trovata a Gissi; ti ha scelta e ti ha chiamata perché fossi amica sua per sempre.
Il libro del Deuteronomio scrive: “Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti”, si è legato a te e ti ha scelta. L’apostolo Paolo ricorda che è stato il Padre che “ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità”. E Gesù ti ripete: “Non tu hai scelto me, ma io ho scelto te”. Care sorelle e cari fratelli, tutti siamo stati scelti dal Signore e non perché fossimo degni del suo amore. La scelta nasce direttamente da Dio, e gratuitamente. Così scrive il Deuteronomio a proposito del popolo d’Israele: Dio vi ha scelti “non perché siete il più numeroso di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli – ma perché il Signore vi ama”. Queste parole sono altrettanto vere per ciascuno di noi. Oh, se le comprendessimo. Se soprattutto comprendessimo quanto è grande e smisurato questo amore! Spesso, invece, il nostro cieco egocentrismo ci rende stolti e superbi, ci fa restare schiavi di uno sciocco protagonismo, magari vestito anche di spiritualità. Ci rende solerti nel togliere la pagliuzza nell’occhio dell’altro e ci fa dimenticare la trave spirituale che continua ad accecarci.


No, care sorelle e cari fratelli, siamo tutti poveri uomini e povere donne. Nulla abbiamo da offrire a Dio, nulla. Noi siamo tutti solo bisognosi d’amore e di perdono. E il Signore si ferma accanto a noi, ci fa salire sul suo giumento e come il buon samaritano ci conduce nel suo albergo. Oggi lasciamoci travolgere da questo amore! Lasciamoci pervadere il cuore da questa santa liturgia! Lasciamoci toccare l’anima dai misteri che abbiamo la grazia di vivere! Vedrete, care sorelle e cari fratelli, che dimenticheremo un po’ più noi stessi e ameremo di più il Signore.


Cara suor Elisabetta di Gesù, il Signore ti ha presa, ti ha curata, ti ha portata in questo santo albergo, ed oggi vuole sancire con te un patto perpetuo. Le sue parole, quelle del Vangelo che abbiamo ascoltato, hanno per te un sapore tutto particolare: “Non vi chiamo più servi…vi ho chiamati amici”, “Non ti chiamo più serva…ti chiamo amica”. E non è un’amicizia qualsiasi; non è l’amicizia di questo mondo spesso fiacca e dimentica. Qui si intende quell’amicizia di cui abbiamo ascoltato nel Vangelo: “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. E Gesù ha dato la sua vita per tutti, sino all’ultima goccia di sangue.
L’amicizia evangelica è fatta di intimità, di affetto, di conoscenza, di fiducia, di esclusività, di abbandono, di frequentazione con il Signore. Tu non sei più serva, perché non sei cioè più estranea all’intimità con Dio: Gesù ti rivela tutto quel che ha udito dal Padre. Tu puoi sperimentare la misericordia di Dio, puoi gustare il suo amore, può piangere per il suo perdono, puoi scioglierti per la sua tenerezza, ma solo nella misura in cui resti unita a Gesù. Lasciati avvolgere dall’amore di Dio, lasciati coprire dalla sua misericordia, nasconditi nel cuore del Signore. Quel velo che ti coprirà sia il segno dell’amore di Dio che ti avvolge e ti copre. Vorrei fosse tua, come anche di ciascuno di noi, questa preghiera che la santa Madre Teresa scrisse nel commentare il Cantico dei Cantici: “Signor mio, misericordia mia e mio tesoro, che altro bene è mai possibile desiderare fuor di starvi così vicino da non più temere separazione? Che vi può essere di difficile quando si è in vostra compagnia? Che cosa non si saprà fare per Voi avendovi così dappresso? …Vedo, o mio sposo, e non lo posso negare, che voi siete tutto per me. Per me veniste sulla terra, per me vi sottometteste ai flagelli, per me rimaneste nel santissimo sacramento, ed ora mi inondate di così grandi favori! Ed io, sposa santa, – e qui santa Teresa chiama in aiuto la sposa del Cantico – ripeterò come voi: Che potrò mai fare per il mio Diletto?” (Pensieri sull’amore, 8-9). E più avanti, prendendo ancora in prestito le parole della sposa del Cantico, dice: “Figliole, poiché l’amore ce lo consente, torniamo pure a ripetere: Il mio Diletto a me e io al mio Diletto”. Ecco, in queste poche parole è racchiuso tutto il senso di questa professione solenne: “Il mio Diletto a me e io al mio Diletto”.


Care sorelle del Monastero, carissima madre, il Signore oggi vi dona questa nuova sorella. Essa, infatti, è assieme un frutto della vostra vita, perché è stata con voi per sei anni, ma è anche un dono nuovo che il Signore vi fa. Dopo l’uscita in processione dalle mura della casa, Suor Elisabetta di Gesù rientrerà, rinnovata e tutta di Dio, nel monastero. Alle sue solenni promesse, seguite dalla nostra preghiera ai santi e alle sante del cielo perché l’accompagnino lungo il corso della vita, il Signore Iddio, creatore di ogni bene, risponderà consacrandola con l’effusione del Suo Santo Spirito. Essa è come un nuovo dono per un futuro nuovo del monastero. Noi oggi lo speriamo e lo chiediamo con forza al Signore.
Siate, care sorelle di questo monastero, un luogo di preghiera per la diocesi e per il mondo intero, siate un luogo ove è facile incontrare Dio e la sua misericordia, siate un una famiglia ove si vive l’amore e si sperimenta il perdono, siate un porto ove chi è smarrito può gustare affetto, chi è nel dolore consolazione, chi è senza meta toccare un pezzo di paradiso. Il Signore vi ha scelte per questo. E questo frutto siete chiamate a offrire.
E voi, care sorelle e cari fratelli che partecipate a questa santa liturgia, ringraziate il Signore per il dono di questo giorno, e cercate di portare nella vita quotidiana quel che avete vissuto su questo santo monte. E’ chiesto a noi tutti di riscoprire il primato dell’amore per il Signore nella nostra vita. Questo è quel che vale e quel che resta. Tutto il resto è solo vanità. E tristezza. Affidiamoci al Signore che non mancherà di illuminare la nostra mente, di scaldare i nostri cuori, di guidare i nostri passi. E, con Santa Teresa, anche noi diciamo: “La mia vita, il mio cuor, il corpo e l’anima, quanta, Signor, io sono, tutto ai tuoi piedi, o Sposo mio dolcissimo, tutto depongo e dono, ed in ostia mi sacro a te d’amore. Dimmi che vuoi da me, dimmi, Signore!”