Preghiera per Gerusalemme

Preghiera per Gerusalemme


Due lettere del Papa verso la pace. La prima l’ha spedita a Bush, mostrando, tra l’altro, lucidità politica e determinazione per la pace in Terra Santa. L’altra al suo Segretario di Stato, il cardinale Sodano. Al primo interlocutore – non conosciamo il contenuto esatto della lettera – certamente il Papa ha chiesto un intervento deciso per porre fine ad un conflitto che sta assumendo tratti sempre più terribili. Ed è non poco significativa la decisione che il Presidente degli Stati Uniti ha preso subito dopo in merito al cammino verso la pace. Del resto com’era possibile che la comunità internazionale stesse, impotente, a guardare? Ma non è di questo che vorrei parlare. Nella lettera al cardinale Sodano il Papa ha chiesto di esortare tutti i vescovi della Chiesa cattolica ad indire per questa domenica, 7 aprile, domenica detta della Misericordia, una particolare preghiera “per quelle popolazioni ora dilaniate da forme di violenza inaudita”. E’ come un grido che Giovanni Paolo II vuole far salire a Dio da tutta la terra. Non sia solo l’ora delle armi. Sia anche l’ora della preghiera! Lo scrive convinto nella lettera: “Di fronte alla caparbia determinazione con cui, da una parte e dall’altra, si continua ad avanzare sulla strada della ritorsione e della vendetta, si apre di fronte all’animo angosciato dei credenti la prospettiva del ricorso della preghiera accorata a quel Dio che, solo, può cambiare i cuori degli uomini, anche dei più ostinati”. L’invito del Papa sarà certamente accolto da tutte le comunità cristiane del mondo le quali, oggi, si ritrovano come in una sola voce ad innalzare la preghiera per la terra di Gesù, certi che la pace è possibile: Dio ascolta la preghiera di chi si rivolge a Lui con fede. Questa drammatica vicenda della Terra Santa tocca il cuore stesso del cristianesimo, non solo nei suoi aspetti concreti relativi ai luoghi ma, direi, nella comprensione stessa di Gesù, assieme, uomo ebreo e palestinese. E’ lui, si potrebbe dire, che continua ad essere lacerato negli uomini israeliani colpiti dagli attentati kamikaze, come è anche lui che continua ad essere ucciso nei palestinesi che vengono eliminati. Se in questi giorni ciascuna parte piange i “suoi” morti e, mentre piange, medita e mette in atto la vendetta contro l’altra parte, andando così verso una catena infinita di morte, un po’ più in alto, c’è un Padre, quello che “fa sorgere il sole sia sui buoni che sui cattivi” il quale piange i “suoi” morti, quelli di ambedue le parti, e mal sopporta che si prenda la difesa solo dell’una contro l’altra parte. Oggi c’è un urlo da ascoltare, quello di Dio che implora di fermare la morte dei suoi figli, del suo Figlio, assieme ebreo e palestinese. Ed è un urlo pieno di sconcertante ragionevolezza, anche perché una cosa è certa: l’ora smisurata delle armi, dell’una e dell’altra parte, non porterà mai all’ora della pace. Le armi non daranno ad Israele la giusta sicurezza né, le armi, potranno permettere al popolo palestinese di raggiungere il suo diritto ad uno spazio nazionale. Le armi acuiscono un dissidio che non porterà nessuna delle due parti a vincere, semmai ambedue a soccombere, ad essere sconfitte. Nel febbraio di questo anno a Terni abbiamo consegnato il Premio “San Valentino” a David Grossmann (noto scrittore israeliano) e a Sari Nusseibeh (rettore della università araba di Gerusalemme): l’uno si è messo nei panni dell’altro (ed effettivamente l’uno aveva vissuto per qualche settimana in un campo palestinese e l’altro in un kibbutz israeliano). Le loro parole sono state solo parole di pace e di indispensabile dialogo. Non hanno nascosto i loro disaccordi, ma erano certi che solo una nuova logica, compresa quella del perdono, può aprire uno spiraglio alla via della pace. Ogni altra voce è destinata al disastro, alla rovina dei due popoli e, non solo. In quella terra, infatti, c’è tutta la terra. E in quella pace c’è come iscritta l’intera pace. Per questo ha ragione il salmista: “Si attacchi la lingua al mio palato, se mi dimentico di te, Gerusalemme”. Noi europei, non possiamo certo stare a guardare e tanto meno, quasi nuovi Pilato, lavarcene le mani oppure semplicemente riportare i drammi altrui alle nostre misure. C’è bisogno di guardare più in alto. Bene perciò ha fatto il Papa a scrivere a Bush e ad invitare i cristiani del mondo alla preghiera. Bene facciamo noi a raccogliere questo invito e a pregare per la pace. E bene facciamo – ed anche qui il compito è delicatissimo – a non essere complici di quel risorgente antisemitismo in Europa che già qualcuno da tempo aveva segnalato. Cessino terrorismo e violenza e i popoli riprendano a guardarsi.