Preghiera a San Bartolomeo all’Isola Tiberina per le vittime della violenza e i suoi martiri

Preghiera a San Bartolomeo all'Isola Tiberina per le vittime della violenza e i suoi martiri

 


Care sorelle e cari fratelli,


abbiamo ascoltato questa pagina evangelica che l’apostolo Bartolomeo, assieme agli altri undici, ascoltò per la prima volta quando Gesù li inviò in missione. Penso che queste parole dovettero suonare, alle orecchie di quei discepoli, in tutta la loro gravità. Bartolomeo le accolse nel suo e da allora – potremmo dire – iniziò il suo martirio, la sua testimonianza. Questo vangelo, care sorelle e cari fratelli, ci ricorda che sin dalle origini della missione apostolica i discepoli sanno che non sono da più del maestro, né più del padrone e che sono inviati, in ogni tempo, come pecore in mezzo ai lupi. Lo sperimentarono con particolare crudezza le prime comunità cristiane provate da varie persecuzioni. Ma anche nel secolo scorso un numero incredibile di cristiani ha testimoniato la propria fede sino alla morte. Il papa Giovanni Paolo II volle che questa memoria – dimenticata nei nostri paesi d’occidente – fosse consegnata come un tesoro prezioso alla nostra generazione: vescovi, preti e semplici fedeli, cattolici, ortodossi, evangelici, luterani, anglicani hanno testimoniato il Vangelo sino alla fine. E Giovanni Paolo II volle che questa antica Basilica romana ne custodisse la memoria. Essi hanno impedito che il Novecento scendesse ancora più in basso.


In questi ultimi tempi altri fratelli sono stati scelti dal Signore per far parte di questo popolo immenso di santi che come agnelli sono stati immolati per salvare un mondo di lupi. Essi sono oggi la corona di gloria della Chiesa di questo nostro tempo. Posti davanti ai nostri occhi ci indicano  la via del Vangelo, ci mostrano come seguirlo, ci ricordano che l’eroismo dell’amore è alla radice della vocazione cristiana ed è l’opposizione più forte ed efficace al dilagare della  violenza.


Il mondo vive un momento particolarmente difficile della sua storia ed anche i cristiani non di rado sono messi alla prova particolarmente in alcuni paesi, anche perché si fa sempre più minaccioso il clima di contrapposizione. Talora persino il nome di Dio viene invocato per giustificare la violenza fino ad uccidere vittime innocenti.


Abbiamo ascoltato il Vangelo che parla di fratelli che mettono a morte i fratelli. Nel dilagare di questa violenza, noi questa sera siamo invitati ad alzare lo sguardo per vedere i tanti discepoli del Signore che hanno resistito alla violenza fino al sangue, mostrando che l’amore è più forte della morte. Essi, uniti a Gesù, vincono la cattiveria del mondo e mantengono accesa la speranza di un futuro più umano per tutti.


Si questi servi del vangelo reggono il mondo e frenano l’avanzare del male. E con la loro morte insegnano a noi che restiamo qui come seguire il Vangelo oggi, come essere uomini e donne di amore e di pace. Mettendoci sulla loro strada salveremo il mondo e noi stessi, perché il nostro Dio è un “Dio d’amore”. Papa Benedetto XVI ha voluto ripetercelo con la sua prima enciclica. Solo l’amore vince il male. E amare vuol dire spendere la propria vita per gli altri. Questa buona notizia dell’amore, che è forte e vince il mondo, è presente in mezzo a noi anche per il merito di questi discepoli che continuano a dare la loro vita per il Signore, per i poveri, per la pace.


Questa sera abbiamo ascoltato una testimonianza dal Pakistan e  un’altra, della sorella Maddalena, relativa a don Andrea Santoro, mio compagno di studi sin dalla prima media. Ricordo la sua passione per il Vangelo, il suo impegno per testimoniare in un mondo difficile il primato dell’amore. È stato ucciso mentre pregava, con un proiettile che gli ha trafitto il cuore, come quello che trafisse il cuore di Romero sull’altare. Due martiri dell’altare, della preghiera, dell’amore. Dal loro cuore trafitto, come fu trafitto il cuore di Gesù sulla croce, sgorga per noi un impegno: spendere con maggiore generosità la vita per un mondo più fraterno. Don Andrea, proprio negli ultimi tempi, mentre qualcuno voleva che anche tra i cristiani crescesse un clima di violenza, scrisse: “Noi siamo uomini della croce non della spada”. E Papa Benedetto ha chiesto che il suo esempio martiriale serva a creare ponti di amore e di amicizia e non a scavare fossati di incomprensione e violenza. Il suo martirio grida forte a tutti noi il primato dell’amore sull’odio il l’urgenza di per correndole ovunque la strada. Metterci su questa via, significa vivere fino in fondo ho la vocazione cristiana, cast è appunto il martirio. E


 


Monsignor Romero, dopo l’assassinio di un suo prete, disse: “Non tutti, dice il Concilio Vaticano II, avranno l’onore di dare il loro sangue fisico, di essere uccisi per la fede, però Dio chiede a tutti coloro che credono in lui lo spirito del martirio, cioè tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fine, anche se il Signore non ci concede questo onore; noi, sì, siamo disponibili, in modo che, quando arriva la nostra ora di rendere conto, possiamo dire “Signore, io ero disposto a dare la mia vita per te. E l’ho data. Perché dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, non compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco? Come la dà la madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, dà alla luce, allatta, fa crescere e accudisce con affetto suo figlio. E’ dare la vita…..”.


Cari amici, “circondati da un così gran numero di testimoni”, non distogliamo il nostro sguardo dal Signore. Questi nuovi martiri chiedono a noi che “non abbiamo resistito fino al sangue”, come scrive la lettera agli Ebrei, di affrettare i nostri passi sulla via dell’amore. È su questa via che noi e il mondo troveremo la salvezza.


VEGLIA DI PREGHIERA ALL’ISOLA TIBERINA