Pasqua 2010 – Via Crucis

Introduzione

E’ un venerdì santo particolare, quello di questa sera. Anche noi siamo usciti dalla città come a voler accompagnare Gesù. Dopo aver cenato con i discepoli infatti egli uscì da Gerusalemme per recarsi nell’orto degli ulivi da dove iniziò la sua via crucis. Gesù sapeva quel che gli stava per accadere. Aveva capito che il termine di quella via sarebbe stata la Croce. Noi ci stringiamo attorno a lui. E in questo seguiamo anche quella decisione che spinse i nostri padri, più di un secolo fa, nel 19001, a mettere una croce sul monte. E’ forse il segno più antico di questa nostra città. E questa sera vogliamo che risplenda di nuovo. Siamo all’inizio di un nuovo secolo, e i tempi non sono facili. Vogliamo come riscoprire il senso che la Croce ha per noi, per questa nostra città e per i nostri figli.
Guardando quella croce possiamo ricordarci dell’amore di Gesù per noi tutti, per questa nostra città. A lui gli chiediamo che la protegga dal male, che la sostenga nel ritrovare la forza interiore per affrontare il nuovo secolo che si è aperto. A lui guardiamo perché quando c’è la notte della solitudine e del dolore, quando il futuro nostro e delle nostre famiglie si fa oscuro, quella croce splende sempre. L’evangelista Giovanni scrive che Gesù amò i suoi sino alla fine, sino alla fine, ossia sempre, in ogni situazione. A noi che invece amiamo gli altri sino a un certo punto e spesso è un punto molto vicino a noi stessi, quella croce ci ricorda di andare un po’ oltre.
Questa sera seguiremo Gesù sino al calvario. Ascolteremo le pagine del Vangelo della Passione. Al termine comprenderemo che la croce del Signore è per noi luce. Sì luce per il nostro cammino. Luce per rischiarare il buio dei nostri cuori. Luce per aprire il domani spesso oscuro. Luce per rompere quel buio che ci separa gli uni dagli altri. Quella croce, posta in alto, sul monte è la nostra salvezza. Ascoltiamo le parole del vangelo, meditiamole mentre saremo aiutati dai giovani della parrocchia di San Zenone a entrare nel mistero di questo amore “senza fine”.

Luca 22, 41-44 Al Getsemani

 

Gesù si reca al Getsemani. Appena giunto in quel giardino, che lo vedeva ormai quasi ogni sera ritirarsi per la preghiera, si separa dai suoi. Vuole però che i tre più amici gli stiano accanto: Pietro, Giacomo e Giovanni. E, con l’angoscia nel cuore, confida loro: “L’anima mia è triste sino alla morte. Rimanete qui e vegliate”. Gesù ha bisogno di compagnia, lui che pur di stare accanto a noi ha lasciato il paradiso, ora ha bisogno di amicizia, di conforto. Ma i tre, pur vedendolo prostrato a terra per l’angoscia, non riescono a stare svegli: si addormentano. Quando non si ascolta davvero un fratello, quando non ci si lascia scuotere dalla Parola e neppure dal dolore e dal bisogno di chi sta vicino, emerge tutta l’insensibilità e la durezza che abbiamo. Per tre volte Gesù va da loro per cercare conforto, e per tre volte li trova addormentati. Quei tre amici mostrando così che tanto amici non erano. Loro dormivano e Gesù era solo nell’agonia.

Mi vengono in mente i tanti anziani spesso lasciati soli. Talora neppure i familiari li vanno a trovare. E in Italia e nel mondo gli anziani sono milioni e milioni. La vita si allunga, ma rischiamo di allungare anche la loro agonia, mentre noi continuiamo a dormire.

L’unico che in quella notte drammatica ascolta Gesù è il Padre. Gesù lo sa. E si rivolge a lui con la confidenza del figlio. Un preghiera drammatica eppure pienamente filiale. Come un figlio in tutto obbediente alla volontà del Padre, Gesù prega: “Non ciò che io voglio, ma quello che tu vuoi”.

Mt 22, 47-50; 26, 52.56 Giuda tradisce, Pietro colpisce con la spada

 

Due mondi si confrontano in quella notte al Getsemani. Da una parte c’è Gesù che insegna la mitezza e l’amore per gli altri (ogni giorno stava in mezzo alla gente come un maestro buono), dall’altra un gruppo di uomini, diversi tra loro, tra essi c’è anche un discepolo, i quali però agiscono con spade e bastoni uniti solo dalla volontà di eliminare l’unico innocente. Cari amici, l’alleanza per la violenza è incredibilmente vasta. Pensate che il primo luogo ove avvengono più violenza sono le nostre case. E a subire la violenza sono le donne e i bambini. Fa impressione pensare che il 40% dei malati di depressione in Italia sono i ragazzi compresi tra i 14 e i 18 anni. E continua la catena di giovani morti il sabato sera.
C’è bisogno di svuotare le case dalla violenza, di svuotare le scuole dal bullismo. Tutti dobbiamo dissociarci dalla marea di violenza che invade anche le nostre case. E Gesù ci mostra come fare. Egli resta saldo nel suo atteggiamento mite. E chi lo tradisce con un bacio, risponde chiamandolo amico, e si oppone a Pietro, il primo degli apostoli, che usa la spada. I discepoli, tutti, sono travolti dalla paura e abbandonano Gesù. Il Vangelo di Marco scrive che solo un ragazzo lo segue. Cari amici è urgente l’impegno per aiutare i nostri ragazzi a seguire Gesù e a non lasciarsi imbambolare dai miti falsi di questo mondo, il successo, i soldi, la carriera….E questo dipende anche da noi adulti. Qual è l’esempio che diamo ai nostri ragazzi?

Mt 26, 62-66 Gesù davanti al sinedrio

La violenza si scatena contro quel giusto; e tutti ne sono complici. La simpatia di Gesù, il suo amore per gli uomini, la sua parola di salvezza, sono umiliati e calpestati. Ed emergono la falsità, le menzogne, l’invidia, usate per eliminare quell’uomo che “aveva fatto bene ogni cosa”. Gesù di fronte all’incredibile violenza che si abbatte su di lui resta sempre in silenzio, non discute; prende su di sé tutte quelle menzogne. Il sommo sacerdote riprende ancora la parola, ma questa volta con una domanda decisiva. E’ la stessa a cui Pietro rispose affermativamente. “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio?” gli chiede il sommo sacerdote. Se Gesù non avesse risposto forse si sarebbe salvato. Ma Gesù non poteva tacere il suo Vangelo: “Sì, sono io!” Del resto era venuto proprio per questo. Non poteva tacere. Alla proclamazione del Vangelo, il sommo sacerdote si straccia le vesti e condanna a morte Gesù.
Di fronte al coraggio di Gesù ci vengono in mente i tanti martiri per il Vangelo. Nel secolo scorso si calcola che 3 milioni di cristiani hanno testimoniato con il sangue la loro fede in Gesù. E ancora oggi tanti cristiani vengono crocifissi, bruciati vivi, uccisi in vari paesi del mondo. Questi martiri ci richiamano ad una maggiore generosità nell’amore, nella preghiera, nel servizio ai più poveri.

Lc 22, 54-62 Il rinnegamento di Pietro

 

Pietro è solo. Non è stato capace di difendere Gesù, anzi è fuggito come tutti. Stretto tra l’orgoglio e il dispiacere torna indietro sui suoi passi e cerca di seguire Gesù, anche se da lontano. Sì, potremmo dire che anche in questo Pietro è il primo, il primo di tanti di noi che, appunto, seguiamo Gesù da lontano, pigri e distratti. Ma viene travolto ancora una volta dall’onda della violenza, anche se questa viene solo da una serva. Non da una persona importante e autorevole a cui è difficile controbattere. Ma da una serva. E tutto quello che aveva detto a Gesù qualche ora prima si scioglie in un batter d’occhio. La paura lo prende allo stato puro. Pensa solo a salvare se stesso. E Gesù rimane ancor più solo dentro quel palazzo ostile: viene sbattuto da una parte all’altra, senza che ci sia nessuno a difenderlo. Scrive Luca che in uno di questi sballottamenti Gesù incrocia gli occhi di Pietro: “Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro”. Quegli occhi pieni di amore sconfissero gli occhi impauriti di Pietro. Si ricordò solo allora le parole che Gesù gli aveva detto: Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte”. Finalmente Pietro comprende la sua debolezza e prorompe nel pianto. Anche noi abbiamo bisogno del canto del gallo: ossia di ascoltare il Vangelo. Solo allora comprenderemo la nostra debolezza e l’infinito amore che Gesù ha per noi. E chiediamo a Dio le lacrime di Pietro.

Lc 23, 22-25 Gesù e Pilato

 

E’ l’ultimo giorno di vita di Gesù. Sta davanti a Pilato, rappresentante della giustizia romana. Pilato comprende subito che Gesù è innocente e che glielo stanno consegnando per invidia. Ma non resiste all’onda della violenta. Anche lui vuole salvarsi dalle eventuali accuse che possono fargli a Roma. Non vuole avere problemi. E si rinchiude in se stesso convinto che non si poteva ormai far nulla. Davvero la logica della violenza sembra inarrestabile, travolge tutti perché nessuno sa resistere, né i sacerdoti, né la giustizia romana. Al giusto, all’uomo buono e compassionevole, preferiscono il violento Barabba. E Pilato assiste impotente. Anzi decide di lavarsene le mani. Ma in questo modo diviene complice di quella morte. Sì, non basta dire non c’entro, non è sufficiente dire non l’ho fatto apposta, non conta dire non faccio nulla di male. E’ necessario, oggi, entrare nelle vicende della città e prendersi cura della bene comune di tutti, è indispensabile essere attenti e pronti ad aiutare chi ha bisogno, ci è chiesto di fare il bene e non solo di non fare il male. Le mani dobbiamo sporcarcele per una vita più giusta, più solidale, più bella per tutti. E’ il Vangelo a chiedercelo.

Mt 27, 26-30 Gesù flagellato e coronato di spine

Pilato, nonostante fosse convinto della innocenza di Gesù lo fa flagellare e lo consegna alla folla perché sia crocifisso. Quanto dolore per Gesù! Un panno di porpora, una canna e una corona di spine. Ecco il re! Ma è re come un agnello mansueto che si lascia torturare e uccidere da coloro che egli ama senza limiti. Per tutti costoro, e per noi, Gesù “non ha considerato un tesoro geloso l’essere uguale a Dio, ma ha spogliato se stesso assumendo la condizione di schiavo” (Fil 2, 6-7), come dice Paolo. In lui possiamo vedere tutti i condannati a morte e tutti i torturati di questo mondo. E’ l’umanità profanata. L’odio acceca, esalta, e fa trovare anche la crudeltà nel vincere e nel piegare gli altri. Un uomo, una donna, un gruppo, una etnia, un popolo, diventano l’obiettivo contro cui scatenare l’odio. Più deboli sono i nemici e più ci si sente forti. La mansuetudine di Gesù in mezzo a tanta crudeltà è l’unica fiammella che permette di sperare in un mondo nuovo, non violento.
Penso tra l’altro alla crudeltà della pena di morte. Sono ancora tanti i paesi nei quali ancora si pratica la pena di morte. E sono più di 10.000 i condannati in attesa di esecuzione. Gesù è morto perché nessuno sia ucciso. E tanti altri sono condannati a morte, penso ai piccoli non ancora nati e agli anziani abbandonati alla loro fine. E noi rischiamo di lavarcene le mani.

Mt 27, 31 Verso il Calvario

Dopo averlo deriso e spogliato del mantello da burla lo rivestirono delle sue vesti. Non sono però mani che aiutano; lo hanno ridicolizzato e offeso. Quel giorno Gesù Gesù prendendo la croce si caricava sule spalle i peccati di tutti gli uomini, di tutta la storia. Era davvero l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo, come aveva detto il Battista. Beati noi perché almeno lui si carica i nostri peccati. Sì, non teniamoceli i peccati, portiamoli a Gesù. Facciamo bene a confessarli. E’ un sacramento spesso dimenticato, eppure è straordinariamente salvifico. La confessione è mettere sulle spalle di Gesù i nostri peccati. E’ venuto proprio per questo.
Su questa via apprenderemo cosa significa perdonare. Il perdono è davvero raro oggi. Anzi, è dileggiato. Ma un società senza perdono è crudele: nessuno infatti si carica dei peccati degli altri. Essi debbono schiacciare il colpevole. Non è la via insegnata e seguita da Gesù. E non dimentichiamo, fratelli e sorelle, il noto detto di Gesù sulla pagliuzza e la trave. Noi tutti siamo abilissimi a vedere la pagliuzza nell’occhi dell’altro e non vedere affatto la trave che è nel nostro. Dove non c’è perdono cresce la cattiveria e la crudeltà. Gesù ha preso tutte le travi che accecano gli occhi degli uomini. Non vuole infatti la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

 

Lc 23, 26 Il cireneo

“Un passante che tornava dai campi” è chiamato ad aiutare Gesù; viene da Cirene, è straniero, com’era straniero il Samaritano. Sì, tra tutti quelli che stavano vicino a Gesù, viene scelto uno straniero per aiutarlo a portare la croce. Sì, è uno straniero che aiuta Gesù, come sono tanti gli stranieri che oggi aiutano i nostri anziani soli, o anche malati bisognosi di aiuto continuo. Senza questo aiuto sarebbe davvero difficile per molti vivere. E questo è una cosa buona. Ma non è certo una cosa buona quel che accade a molti, moltissimi stranieri sui quali scarichiamo le nostre croci, quelle della inaccoglienza, della diffidenza, del disprezzo, della chiusura. E quante volte viene strumentalizzata una paura vera scaricandola su di loro? Ci sono pericoli di cui aver paura, ma sono quelli relativi alla difficoltà del lavoro, del futuro per i figli, della sicurezza per le mafie e malavita organizzata, per i percoli legati all’ambiente e a tante altre cause. Talora, in maniera menzognera, viene messa sulle spalle solo degli stranieri la croce della insicurezza. Gesù questa volta si mette lui ad aiutare gli stranieri, fa lui il cireneo per loro. Imitiamo Gesù ad aiutare chi ha bisogno, lui che ci ha detto di accogliere lo straniero, di impegnarci a integrarlo tra noi perché possiamo vivere tutti nella pace.

Lc 23, 27-28 Gesù incontra le donne

Non ci sono nemici di Gesù tra le donne. Anche queste non sono fuggite. Anzi, si sono poste sulla strada di Gesù per offrirgli un po’ di consolazione. E hanno fatto bene. Gesù, tuttavia, non è come noi che amiamo lamentarci per attirare un oò di attenzione su di noi e farci compatire. Mentre cammina egli continua a pensare ai tanti che hanno bisogno di conforto e di consolazione. Pensa ai figli, ai piccoli e ai giovani che chiedono di essere amati e non abbandonati. “Figli di Gerusalemme non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli” Sì, piangiamo sui figli di Gerusalemme, sui figli degli ebrei e dei palestinesi che non trovano pace, piangiamo sui figli delle nostre città, sui bambini spesso lasciati soli, sugli adolescenti che sono in balia della violenza, sui giovani che fanno fatica a trovare lavoro, sui bambini che nei paesi poveri non hanno neppure il minimo per vivere. Preghiamo perché i più piccoli crescano alla scuola del Vangelo e non della violenza e dell’egocentrismo.

 

Lc 23, 33-37. Mt 24,46 Gesù è crocifisso

Gesù giunto sul Golgota viene inchiodato sulla croce. Nessuna pietà per lui; solo sofferenza. Il motivo della condanna è scritto sulla tavoletta posta sopra la croce: “Il re dei Giudei”. Per Pilato è una ironia, per i sacerdoti una bestemmia, per Gesù è il suo Vangelo. Lui è il buon pastore che dà la vita per le sue pecore, Lui è il salvatore che ama fino alla fine coloro che lo crocifiggono. Noi amiamo non sino alla fine, ma fino a noi stessi. E’ facile amare se stessi, difficile amare gli altri.
Sotto la croce rimproverano Gesù perché “non salvava se stesso”. Ma come poteva salvare se stesso uno che era vissuto unicamente per salvare gli altri? Quale amore! Sì, ci hai amati sino alla fine, sino alla morte. Per questo dobbiamo volgere lo sguardo verso di lui, verso la croce. La croce ci ricorda questo amore, un amore inconcepibile per noi. Gesù ce lo ha rivelato. Anche solo una goccia di questo amore cambia l’intera nostra vita.
Certo, un amore così richiede impegno, a volte sacrificio, ma è ciò di cui il mondo oggi ha bisogno. Mentre tutti cercano di salvare se stessi, Gesù, su quella croce, salva tutti noi.

Lc 23, 39-43 Il buon ladrone

Gesù dice: «Oggi sarai con me». Non c’è da aspettare. Gesù non conduce indagini, non fa istruttorie, non celebra processi. Gesù salva oggi. Adesso, subito. Noi chiamiamo buono quel ladrone perché alla fine della vita, in un momento di paura e di dolore riconosce davanti a Gesù di essere un peccatore. Quando si guarda Gesù con un po’ di commozione la salvezza viene immediata. Noi che abbiamo una grande idea di noi stessi e immaginiamo che i peccatori siano sempre gli altri, facciamo fatica a guardare con gli occhi di quel ladrone il volto di Gesù. A lui Gesù dice, avendo visto la sua fede: «Oggi sarai con me», non domani e neppure dopodomani ma: «Oggi». E’ una scena analoga a quella che si era svolta con Zaccheo. Anche allora si incrociarono gli sguardi e Gesù dice a Zaccheo: “Oggi devo fermarmi a casa tua”(Lc 19,5). E importante notare che Gesù oltre alla immediatezza della salvezza, all’oggi, aggiunge “con me”. Il Paradiso non è esterno a Gesù, non è un’altra cosa da lui. La salvezza coincide con Lui e si gioca tutta su quel con me.
In questo senso, per noi cristiani, Gesù è l’amico con il quale possiamo e dobbiamo stare sempre. Il cristiano non è colui che è buono, che si comporta bene, che agisce, o pretende di agire, meglio degli altri. Certo, il Signore ci chiede di impegnarci sulla via della perfezione. Ma non la si percorre semplicemente sull’ascesi, sui sacrifici, sulle indispensabili rinunce. La via della perfezione è anzitutto stare con Geù, fidarsi di Lui e delle sue parole, restare legati a lui. Insomma, essere suoi discepoli, non importano i nostri difetti e le nostre debolezze. Quel che conta è non separarsi mai da lui. In questo consiste il Paradiso.

Gv 19, 25-27 Maria e Giovanni sotto la croce

Gesù, con il corpo straziato, inchiodato sulla croce, anche se aveva tutti i motivi per preoccuparsi solo di se stesso, guarda in basso. Sì, guarda in basso verso quella madre e quel discepolo. E’ una scelta di amore. Gesù vede la mamma distrutta dal dolore e il giovane discepolo frastornato e confuso. Si commuove, come all’inizio della sua vita pubblica si commosse sulle folle stanche e sfinite come pecore senza pastore. Anche quella madre e quel discepolo potrebbero rischiare di restare come pecore senza più il pastore. Si commuove. Dimentica se stesso e il suo dolore e si preoccupa di loro. Che lezione stupefacente! Il mondo ci insegna a pensare a noi stessi, fin da bambini, a preoccuparci dei nostri affari, da adulti. Gesù si preoccupa dei due sotto la croce perché l’uno sia custode dell’altro.
«Prendi con te questa donna, è tua madre» dice al giovane discepolo. E a quell’anziana donna: «Prendi con te questo giovane, perché è il tuo figlio». Sono parole che segnano la sconfitta di quella legge, perversa ma ferrea, del primato dell’amore per se stessi. In quel momento, su quella croce, veniva sconfitto, in maniera definitiva, l’egocentrismo, l’amore per sé, la preoccupazione solo per i propri affari e per le proprie cose. E’ già iniziata la resurrezione. Quella morte in croce che sembrava la definitiva sconfitta di quel giovane maestro, divenne, al contrario, l’inizio di una nuova fraternità: un giovane prende con se l’anziana madre di un altro.

 

Lc 23, 46 Gesù muore

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Queste parole, pronunciate da Gesù nell’ultima istante della sua vita, nell’ultimo respiro, mentre il sole si oscurava su tutta la terra e il velo del tempio si squarciava, sono una preghiera rivolta al Padre con le parole del Salmo 31. Fanno parte della preghiera che il pio ebreo, perseguitato dai nemici, rivolgeva al Signore per chiedere la Sua protezione e il Suo aiuto, sapendo di non poter confidare sulle sue sole forze ma di poter contare invece sul sostegno delle mani di Dio. Queste parole gravide di una tradizione lontana e pregnanti delle invocazioni di migliaia e migliaia di credenti ebrei, Gesù le ripete poco prima di morire e sono forse il cuore di questo testamento, della spiritualità stessa di Gesù. Queste parole si potrebbe dire che raccolgono la preghiera di innumerevoli uomini e donne che consegnano a Dio la loro vita. Gesù infatti sa bene, e lo ripete più volte, che la sua forza è tutta nel fare la volontà di Dio, nello stare nelle mani del Padre. Questa è l’essenza dell’esperienza spirituale di Gesù. Deve essere anche l’essenza della spiritualità di ogni credente, perché l’esperienza della fragilità la conosciamo tutti. Alcuni la conoscono in maniera davvero drammatica, basti pensare a quello che può accaderci a seguito di malattie gravi o di un incidente, in un momento. Ricordare questa fragilità è avere una coscienza reale della propria vita, non per rattristarci, ma perché il credente sa che Dio ama questa fragilità, che l’ha scelta come sua delizia, in un certo senso, cioè come una fragilità da prendere nelle sue mani per modellarla, per salvarla, per farla risorgere. Le mani di Dio sono la nostra forza e il nostro sostegno. Affidiamoci a Lui.

Mc 15,46 La sepoltura

Anche Giuseppe d’Arimatea spinto dall’amore per Gesù non rinuncia a fare qualcosa per lui. Chi vuol bene a quel profeta disarmato ha un’energia nuova nel cuore e con coraggio va incontro a poveri e deboli per aiutarli. Quando Gesù era bambino ci fu Giuseppe, della stirpe di Davide, uomo giusto e timorato di Dio, che lo protesse dalla furia omicida d Erode. Scrive il vangelo che “prese con sé il bambino e sua madre”. Ora c’è un altro Giuseppe, membro autorevole del Sinedrio, il quale ancora una volta prende con sé non più il bambino, ma Gesù adulto, lo calò dalla croce, lo adagiò sul lenzuolo e lo depose nel grembo della roccia. In verità, andando nel sepolcro Gesù scende nelle profondità della storia umana. La Chiesa ricorda la “discesa agli inferi”, ossia Gesù che scende nei luoghi più profondi e drammatici della storia degli uomini per raccogliere tutti e portarli con sé alla salvezza del nuovo regno.