Pasqua 2006 – Messa crismale

Pasqua 2006 - Messa crismale

Carissimi, sacerdoti, diaconi e fedeli tutti,


 


è una gioia tutta particolare quella che sentiamo questa sera nel raccoglierci assieme per la celebrazione crismale. Questo anno, la coincidenza delle elezioni dei consigli pastorali parrocchiali e del Consiglio pastorale diocesano, ci permette di accogliere in questa celebrazione anche i nuovi eletti dandole così un valore diocesano ancor più chiaro. Vorrei perciò che cogliessimo la grazia di questo singolare momento di comunione. Non mi fermo a commentare il senso della consacrazione degli Olii santi che avviene, come sapete, in tutte le cattedrali del mondo. Desidero solo sottolineare la comunione che da questa celebrazione promana. È forse l’unica celebrazione liturgia che in maniera così evidente manifesta l’unità della nostra Chiesa in rapporto anche alla vita sacramentale: dalla cattedrale infatti, come unica fonte, sgorgano gli Olii santi che giungeranno sino alle nostre parrocchie. In un certo senso è ancor più evidente che nelle celebrazioni della liturgiche eucaristiche. Questo sottolinea l’unità della Chiesa diocesana. Ecco perché le parole di Isaia vanno intese come se fossero indirizzate all’intera comunità cristiana. È la Chiesa diocesana che viene “consacrata con l’unzione”. È lei che viene mandata “ad annunziare ai poveri il lieto messaggio, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione ai prigionieri, e a promulgare l’anno di misericordia del Signore”. Sì, care sorelle e cari fratelli, noi siamo l’unico Corpo di Cristo che riceve la missione evangelica, ossia il potere di amare e di guarire, di liberare dai peccati e di cambiare il cuore della gente. Questa sera non esiste l’io personale di ciascuno di noi e neppure quello delle nostre singole parrocchie, ma solo l’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa diocesana. Se potessimo leggere in profondità il mistero che stiamo celebrando vedremmo che la Chiesa non è la somma di individui e neppure la giustapposizione delle parrocchie. Il Corpo di Cristo o, se volete, l’alter Christus è questa Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. E ciascuno di noi, come pure ciascuna parrocchia, è alter Christus solo nella misura in cui vive questa comunione ecclesiale. È così che il Signore scardina in radice l’individualismo che avvelena la vita di questo nostro mondo e non di rado anche la nostra vita, sia quella personale che comune. Noi siamo salvati dalla comunione con Gesù e tra noi. Il Maestro non cessa di raccomandarci l’amore. E dobbiamo dire grazie a Benedetto XVI che ha voluto dedicare la sua prima enciclica proprio all’amore. È la sostanza della nostra comunione e della nostra missione.


E permettete che mi rivolga a voi anzitutto carissimi sacerdoti. È una bella tradizione che in questa celebrazione rinnoviate le promesse sacerdotali davanti al vescovo e alla comunità diocesana. Sono particolarmente lieto di vedervi tutti riuniti attorno a questo altare da cui nasce il nostro sacerdozio. E con gioia grande vi annuncio l’ordinazione presbiterale di don Pio e don Riccardo, qui in cattedrale, il 24 giugno prossimo. È bello essere raccolti tutti assieme. Vedo la gioia nei vostri volti e sono davvero felice. E se questo accade in maniera totale solo in questa occasione, è però una scena così bella che vorrei si imprimesse nei nostri occhi e nel nostro cuore. E come sentire rivolte anche per noi le parole di Gesù nella preghiera sacerdotale dell’ultima cena? Ancora oggi Gesù prega: “Padre santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi… Ma ora vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia…Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno”. Cari sacerdoti, il Signore Gesù prega per tutti noi, per ciascuno di noi. E anch’io vorrei nominarvi personalmente, uno per uno, per presentarvi al Signore e per dirvi l’affetto mio personale. C’è una fraternità sacramentale che ci lega. Sì, al di là delle nostre storie, delle nostre provenienze, al di là dei nostri caratteri, quel che ci unisce è l’unico sacerdozio di Cristo. E attraverso tale sacramento siamo in comunione anche tra noi. C’è una comunione effettiva, quella sacramentale, che deve però diventare anche affettiva. Certo non c’è un passaggio scontato. Ma più cresce la comunione con il Signore più appare anche quella tra noi. E se è scarsa la comunione tra noi, anche quella con Gesù è attenuata. C’è una circolarità tra il mio legame con Cristo e quello con voi. Cari sacerdoti, abbiamo bisogno di vivere, anzi di gustare, la fraternità sacerdotale. Ne hanno bisogno i sacerdoti anziani: 4 tra noi hanno più di 80 anni e 4 più di 90; questa sera ringraziamo il Signore per il loro impagabile ministero. Ma vi diciamo grazie anche noi, carissimi; e grazie perché continuate a lavorare con dedizione in questa vigna. Anche i più giovani tra noi hanno bisogno di essere amati da noi più avanti negli anni, noi che come a loro fratelli più grandi portiamo il peso maggiore della vita pastorale della nostra Chiesa. Quale esempio di vita siamo per loro? Prego il Signore per voi perché vi riempia del suo amore e della sua grazia e possiate gioire della vita sacerdotale. Nei vostri, nei nostri volti, di sacerdoti più adulti dovrebbe apparire sempre più la bellezza di essere preti per il Signore e per la Chiesa. E permettetemi di ricordare coloro che sono lontani non certo dal cuore: don Maurizio, don Sergio e don Leopoldo che sono a Natmbue e don Stefano che sta in Nunziatura nelle Filippine. Il Signore li sostenga e conceda loro frutti abbondanti per il lavoro pastorale. E sono certo che don Nemesio e don Ubaldo ci guardano dal cielo e pregano per noi. Cari sacerdoti, essere preti è certamente bello per noi, ma soprattutto è indispensabile perché questo nostro mondo sia più umano e possa sin da ora gustare un futuro migliore. Anche per la nostra vita e per la nostra opera pastorale si dovrebbe poter dire: “Oggi, si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”. Un esempio sento il dovere di porre davanti ai nostri occhi, quello di don Andrea Santoro, un parroco romano che ha scelto di essere fidei donum in Turchia. Era lui stesso il dono di amore in quella terra. Anche noi, cari sacerdoti, dovremmo essere il donum fidei nelle nostre parrocchie. La testimonianza di don Andrea ci indica come essere preti oggi, come testimoniare l’amore e la misericordia del Signore tra gli uomini.  


Anche voi cari diaconi siete oggi raccolti attorno all’altare perché vi conformiate sempre più a Cristo, primo diacono. Vorrei dire che ricordate all’intera comunità diocesana, a noi preti e a tutti i fedeli laici, quel momento dell’ultima cena quando Gesù si tolse le sue vesti e prese un asciugatoio. Sì, tutti dobbiamo svestirci delle nostre pretese, delle nostre rivendicazioni, dell’attaccamento ai nostri ruoli, per vestirci tutti dell’unico grembiule di Cristo che è la diaconia, il servizio ai fratelli a partire dai più poveri. E voi, care sorelle e cari fratelli dei consigli pastorali Diocesano e parrocchiali. Ho voluto che foste presenti in questa celebrazione non solo per essere accanto ai vostri sacerdoti e ai diaconi, ma anche per comprendere tutti assieme che il primum per la Chiesa diocesana è la comunione che tutti ci conforma a Cristo e che ci rende anzitutto suoi discepoli. Voi ricordata a tutti noi preti, che posiamo lasciarci prendere dalla tentazione del ruolo e del protagonismo, che quel che conta è anzitutto essere discepoli di Gesù, imitare il suo amore e la sua compassione. E nello stesso tempo mostrare che è all’intera Chiesa diocesana che viene conferito il mandato di comunicare il Vangelo a tutti sino ai confini della terra. Ed è proprio tale discepolato che ci rende responsabili tutti, sebbene in maniera diversa, della famiglia di Dio di cui facciamo parte. Sì, c’è un ministero sacerdotale che è affidato anche a voi che siete stati eletti nei Consigli pastorali. Attraverso il sacramento del battesimo e della confermazione, attraverso la santa unzione, voi partecipate alla responsabilità pastorale verso i fratelli e le sorelle della comunità parrocchiale. Anche per voi si debbono applicare le parole evangeliche che Gesù ha pronunciato a Nazareth. Certo, non in maniera staccata dalla famiglia più grande che è la Chiesa diocesana, ma non in misura ridotta. Care sorelle e cari fratelli, lo Spirito di questa Famiglia è uno solo e ha una potenza talmente grande che non può essere monopolizzata da nessuno, sino a poter dire che tutti lo hanno tutto. L’indispensabile ordine richiesto dall’essere un unico corpo con molte membra, non comporta meno afflusso di sangue nelle diverse parti del corpo. In ogni parte circola l’intero sangue, l’intero Spirito. Ed è a Lui che tutti dobbiamo obbedire, a partire dal vescovo; da Lui tutti dobbiamo lasciarci guidare e con la Sua forza dobbiamo combattere ogni solitudine e divisione e far crescere l’amore e la comunione.