Pasqua 2006 – Giovedì santo

Pasqua 2006 - Giovedì santo

Cari fratelli e care sorelle,


 


con questa santa liturgia entriamo nel triduo santo della passione, morte e resurrezione e


signore Gesù. Sono i tre giorni più santi dell’anno, perché? Perché in questi tra giorni abbiamo


grazia di poter vedere con gli occhi fin dove giunge l’amore di Dio per noi. Se a Natale l’abbiamo


visto diventare uomo pur di starci accanto, ora lo vedremo chinarsi sino ai nostri piedi, sino a farsi


cibo per noi e infine sino a salire sulla croce, a morire per noi. Come non commuoverci per un


amore così incredibile, così impensabile? Nessuno ci ha amati come Gesù. E ci ha amati non perchè


fossimo buoni o attraenti. Ma perché abbiamo bisogno di aiuto, di sostegno, di conforto. Questa sera celebriamo l’ultima cena che fece con i discepoli. I Vangeli riportano la frase con cui Gesù aprì


questa cena: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”. “Ho desiderato


ardentemente”, ripete Gesù a noi. Davvero egli desidera con forza di stare con noi in questa Pasqua. E noi? Care sorelle e cari fratelli, sentiamo almeno un poco il desiderio di stare vicino a Gesù?


 


In questi giorni, a partire da questa sera, vogliamo accompagnarlo passo passo. Seguendolo con attenzione apprenderemo anche noi ad amare e a vivere come lui viveva. Questa cena è il primo grande atto di questo triduo santo. Dalla prima generazione cristiana non si è mai interrotta questa memoria. Ogni generazione cristiana l’ha affidata alla seguente. L’apostolo Paolo lo scrive chiaramente alla comunità cristiana di Corinto: “Ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi


ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e rese grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo… Prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. E aggiunse: “Fate questo in memoria di me”. Questa sera anche noi entriamo con lui in questa cattedrale per celebrare la sua cena, per “fare memoria” di quel che lui stesso ha fatto. Ma non è una memoria nel senso di un ricordo ormai passato. Nella santa Liturgia noi riviviamo esattamente quella stessa cena. Sì, nella Messa, in ogni Messa, noi celebriamo l’unica identica cena del Signore Gesù con i discepoli. Quando infatti il sacerdote ripeterà le parole che Gesù disse sul pane e il vino, si ripete quel che accadde in quella cena: il pane e il vino che sono sui nostri altari diventano il corpo e il sangue di Gesù. Davanti a questo evento non possiamo che stupirci e, come la liturgia ci insegna, dire: “Mistero della fede!” o anche “Mistero d’amore!”. Sì, è davvero una incredibile invenzione dell’amore quella di Gesù di diventare nostro cibo. In questo modo non solo


sta sempre con noi, esaudendo in anticipo quella preghiera che i due discepoli di Emmaus gli rivolsero il giorno di Pasqua. Sì, con l’Eucaristia Gesù resta con noi sempre, e con tutti i discepoli di ogni tempo. Ma non solo. Con questo incredibile dono Egli salva la nostra vita e trasforma il mondo. Ogni volta infatti che riceviamo il Corpo e Sangue di Cristo noi accogliamo nel nostro cuore una energia incredibile di amore, di compassione, di tenerezza, di felicità, di amicizia. Quel Pane e quel Vino, infatti, ci trasformano interiormente a immagine di Gesù. Il Papa Benedetto XVI


rivolgendosi ai giovani a Colonia usava una immagine singolare per descrivere la forza della comunione con l’Eucarestia: è come ricevere nel proprio cuore una energia simile a quella che sviluppa l’energia atomica. Ma questa volta si tratta di un’energia di amore, non di distruzione.


Quel che è necessario è accostarsi con disponibilità e accoglienza. Se non ponessimo ostacoli alla forza dell’Eucarestia ciascuno di noi sarebbe molto diverso da come e il mondo potrebbe guardare con maggiore fiducia il futuro.


Direi che in quella stessa ultima cena Gesù mostrò la forza che ha l’Eucarestia se la lasciamo operare quando egli stesso si alzò da tavola e si mise a lavare i piedi ai discepoli. In questo gesto così impensabile si evidenzia l’efficacia della comunione eucaristica. Abbiamo ascoltato dal vangelo di Giovanni che ad un certo momento Gesù si toglie il vestito, si mette un asciugatoi, prende un bacile d’acqua e si china a lavare i piedi a ogni discepolo. Che incredibile scena! Gesù deve anche vincere le resistenze di Pietro e, alla fine, dopo che si è rimesso a tavola, dice loro: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Gesù si presenta come il


maestro e il Signore e invita a comprendere quanto egli ha fatto. Tutto deve portare all’imitazione di Gesù, di quanto egli ha compiuto.”Vi ho dato un esempio”, un modello, qualcosa che si può vedere, che Gesù ha mostrato. Cari fratelli e sorelle, le parole e i gesti di Gesù sono chiari. Rimangono un enigma solo per quelli che non li vogliono vedere. Ciò che Gesù ha fatto è un atto di grazia che egli ha compiuto perché, vedendolo, possiamo vivere allo stesso modo tra di noi e con i poveri. “Vi ho


dato un esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. L’azione di Gesù origina nella comunità dei discepoli un modo di essere in comunione nel servizio reciproco e senza riserve, ma anche un modo per servire gli altri. Il segreto è ascoltare e obbedire con fiducia per poter essere come lui e vivere la stessa comunione di amore che egli ha stabilito con i suoi discepoli. Questa via è esattamente opposta allo spirito di divisione, in cui Giuda si è fatto trascinare.


Ma non si tratta di un semplice imperativo morale. Questo gesto della lavanda dei piedi,


come del restio la stessa Eucarestia, è innanzitutto un dona da accogliere. Questo modo di vivere lavandosi i piedi gli uni gli altri, ossia amandosi in maniera concreta e visibile, è anche una beatitudine, cioè è felicità: “Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica”, aggiunge Gesù al termine della cena. Certo, dovremmo chiederci che tipo di felicità noi cerchiamo. Spesso cerchiamo una felicità per sé contrapposta gli altri. Spesso anzi pensiamo che la nostra felicità comporti un senso di superiorità sugli altri, un facile disprezzo degli altri. In verità ciò che rende felici davvero è lasciarsi coinvolgere dal gesto di Gesù, ossia dalla scelta di servire e di amare gli altri. In un mondo dove è facile vivere per sé, dove si è tentati e dominati dallo spirito di divisione, il gesto di Gesù è un dono di grande speranza. Esso ci dice che è possibile cercare una felicità con gli altri, perché Dio ha voluto cercarla con noi uomini e donne di questo mondo. Gesù Cristo, il


figlio, è venuto a tracciare una strada semplice e concreta: lavarsi i piedi l’un l’altro. I piedi di quei discepoli erano sporchi, come sono sporchi i piedi di tutti, soprattutto quelli dei poveri, sporchi di fatica, per strade piene di ostacoli, di inciampi, di dolore. Eppure è bello poter togliere lo sporco dalla vita e dal cuore degli altri con la compassione e l’amore che ci ha insegnati il Signore. Egli per primo si è chinato su di noi e ci ha lavato i piedi. Prendersi cura degli altri, chinarsi sui poveri e sui deboli, crea un’altra vita, purificata dall’amore, disinquina l’aria dallo spirito di divisione e di violenza, guarisce la dispersione del cuore e della vita. Questa è una grande libertà. È la libertà del


servizio, la libertà dalla logica del disprezzo e dell’inimicizia. Questa è la libertà che rende felici. È il segreto semplice di questa sera che nasce dall’ascolto del Vangelo e dall’imitazione di Gesù.


Quanti ostacoli poniamo a questo amore che è abbassamento, sollecitudine verso gli altri, soprattutto a partire dai deboli, dai poveri, come fece Gesù! La vita è un continuo innalzarsi, giudicare, credersi migliori, è disprezzo, condanna. La gioia, la beatitudine è nel dare, è nel voler bene, e nella gratuità. Oggi spesso si gioca tutto sul contraccambio o sulla reciprocità, come si usa


dire. Quanta tristezza in questo modo di vivere. Il Vangelo della lavanda ci ha indica una vita migliore e più bella.