Oscar Romero. Un vescovo tra guerra fredda e rivoluzione

Mentre la Chiesa si appresta a celebrare la beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, sarà forse utile leggere un libro da poco ripubblicato nella serie “I testimoni” dell’agile ed economica Biblioteca universale cristiana. Si tratta di “Oscar Romero. Un vescovo tra guerra fredda e rivoluzione” (San Paolo, 285 pp., 7,90 curo), nel quale Roberto Morozzo della Rocca – lo storico che ha curato la più completa biografia del vescovo salvadoregno – ha raccolto interventi di storici e testimoni per costruire un quadro completo di questo cristiano che ha segnato profondamente la storia della Chiesa nel Novecento.
Si va dalla prefazione del cardinale Roger Etchegaray alle pagine scritte dal segretario di Romero, Jesús Delgado, agli articoli degli storici Agostino Giovagnoli, Roberto Blancarte, Marco Gallo e Andrea Riccardi, a quelli dei giornalisti Lucia Annunziata e Maurizio Chierici fino alla testimonianza del cardinale Edward Cassidy che ha lavorato nella nunziatura apostolica di El Salvador tra il 1967 e il 1969 e allì’intervento prezioso di monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e postulatore della causa di beatificazione.
Un libro ricco, che affronta una personalità complessa come quella dell’arcivescovo di San Salvador da prospettive diverse, dando al ritratto la profondità e il colore del vissuto, facendone risaltare l’umanità e contribuendo a togliere dall’immagine la polvere dell’ideologia che ne ha oscurato la comprensione per molti anni.
Romero, lo sappiamo, è da sempre tirato dai due lati – quello di chi ne vede un “martire” della teologia della liberazione e quello di chi, proprio in virtù di tale supposta adesione, ne ha fatto una sorte di eretico – e su di lui si è scritta tanta letteratura militante che ha oscurato la verità. Dagli interventi di chi l’ha conosciuto, di chi ha vissuto quegli anni, degli studiosi di quell’epoca e delle questioni complesse della geopolitica della guerra fredda, si evince invece una personalità complessa, che è difficile semplificare sotto un’etichetta. La personalità di un cristiano convinto, fedele alla Dottrina sociale della Chiesa, vicino alla sua gente, schierato dalla parte dei poveri e della verità.
Lo intuì bene papa Giovanni Paolo II, dopo qualche incomprensione dovuta alle informazioni deformate sulla complessa realtà salvadoregna. Quando si recò in visita al piccolo paese latinoamericano, volle ostinatamente visitare la tomba dell’arcivescovo, attese a lungo che gli aprissero la cattedrale e sostò in preghiera. Poi disse solo: “Romero è nostro”.
Oggi, dopo l’intervento di papa Benedetto XVI e quello – decisivo – di papa Francesco, finalmente quest’uomo mite, quasi timido, questo cristiano con una grande fede nell’amicizia e nella forza storica del Vangelo torna pienamente tra le braccia della Chiesa. Leggerne la storia, capirne qualcosa di più è un’occasione importante perché tanti possano tornare a sentire “nostro” Oscar Romero.

Sergio Casali (da Il Cittadino)