Ordinazione sacerdotale di don Marcello D’Artista

Ordinazione sacerdotale di don Marcello D'Artista

Care sorelle e cari fratelli,

il Signore ci raccoglie oggi per questa santa liturgia della IV domenica di Quaresima. E’ chiamata la domenica “laetare”, della gioia potremmo dire, perché siamo più vicini alla Pasqua da quando abbiamo iniziato la Quaresima.

E la gioia di questo giorno è ancora più marcata per l’ordinazione di don Marcello. Ti siamo tutti vicini, i tuoi familiari, la comunità di Borgo Rivo, gli amici e il presbiterio con il vescovo. E’ un dono per te, il sacerdozio, ma anche per la chiesa diocesana. Il Vangelo che abbiamo ascoltato illumina tutti noi sul senso del sacerdozio ministeriale. Gesù sta palando a Nicodemo e ad un certo momento afferma: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo perché chiunque creda in Lui abbia la vita eterna”.

Caro don Marcello, compito del sacerdote è “innalzare Gesù” perché tutti lo vedano e siano salvati. Potremmo dire che è racchiusa tutta qui la missione del sacerdote: innalzare e attrarre tutti a Gesù.

Questa nostra generazione non è diversa dal popolo d’Israele che nel deserto veniva decimata dal morso dei serpenti velenosi. Mosè fece un’asta di trionfo con un serpente perché chiunque la guardasse, anche se morso, non morisse. Quel segno preannunciava il valore salvifico della croce. Solo Gesù riesce a salvare gli uomini dal peccato e dalla morte. L’evangelista commenta le parole di Gesù, così: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna”.

E tu, caro don Marcello, dovrai dare a tutti Gesù, partendo proprio dall’altare, dall’eucarestia, quando lo innalzerai con le tue mani perché tutti lo contemplino e lo venerino. La Messa diventa la tua prima grande opera. Tutti, ovviamente, siamo chiamati ad unirci alla celebrazione liturgica, ma nelle mani dei sacerdoti è affidata in modo particolare la celebrazione eucaristica. Sull’eucarestia devi porre tutte le tue cure, sino a trasformarti, tu stesso, in un prete-eucaristico, ossia che vive come celebra e vive quello che celebra. L’altare perciò sia al centro del tuo cuore: dall’altare deve partire tutta la tua vita e qui deve tornare. Oggi divieni servo dell’altare in senso pieno.

Sii perciò un uomo dell’altare che è il luogo ove il Signore si offre vittima al Padre. Egli è venuto non per fare la sua volontà ma quella del Padre e offrire a Lui la sua vita. E la volontà di Dio è non perdere nessuno di quelli che ci ha affidato.

Il prete non si appartiene più per essere solo di Dio, ma proprio perché di Dio è anche di tutti. Se l’altare è il luogo del sacrificio è anche il luogo della mensa, della comunione. A te viene affidato il compito di radunare, di raccogliere, di soccorrere. Il pastore ha questa responsabilità. Ma non la porti da solo, non si è mai preti da soli. Oggi tu vieni consacrato in un presbiterio. Al momento della consacrazione imporremo tutti le nostre mani sul tuo capo. Entri così a far parte della singolare comunione che è il presbiterio. Ed è qui, nella comunione presbiterale, che si radica ora l’intera tua vita. In quanto membro del presbiterio non ti appartieni più: è come se il tuo “io” fosse assorbito nel “noi” del presbiterio. In passato è stato facile concepire il sacerdozio come racchiuso in un singola persona, in verità ciascun sacerdote nasce in una comunione, quella dell’unico presbiterio. Ciascuno di noi sacerdoti viene da storie diverse e persino da nazioni diverse, ma il comune sacerdozio ci edifica in un unico presbiterio. Lo so che da un punto di vista umano – e purtroppo tante volte noi facciamo vincere la naturalità – appare difficile una comunione tra preti così diversi. Ma il Vangelo è la forza del sacramento dell’Ordine, appunto di costituirci in un unico corpo che pensa all’unisono.

Caro don Marcello, questa comunione presbiterale ti slava, ci salva, se la viviamo con coscienza e responsabilità. Il presbiterio è, a sua volta, servo dell’unico popolo di Dio che è questa chiesa diocesana. Molte sarebbero le riflessioni da fare in questo orizzonte. E anche voi, cari fratelli, è necessario che sentiate la ricchezza di questa verità della comunione tra i sacerdoti che deve essere vissuta in maniera sempre più evidente. Spesso accade che anche i fedeli sentano un sacerdote come il loro. Siamo tutti vostri, anche se – per ovvi motivi – ci dividiamo l’impegno per poter servire meglio l’amore di Dio. La santa liturgia di questa ordinazione, mentre ci dona un nuovo fratello nel sacerdozio, risalda la comunione di questa nostra chiesa perché possiamo essere tutti servi del Signore e lievito di amore nel mondo.