Ordinazione di Andrea Piccioni

Ordinazione di Andrea Piccioni

Carissimo Andrea, carissimi Mons. Gualdrini e Mons. Mennini, cari sacerdoti e diaconi, care sorelle e fratelli,


il Vangelo che abbiamo ascoltato inizia dicendo che “Gesù e i discepoli partirono di là e traversarono tutta la Galilea”. Stava per iniziare l’ultimo viaggio di Gesù, quello che lo avrebbe portato verso Gerusalemme. Non si trattava, ovviamente, di un itinerario solo spaziale, e neppure di uno dei tanti viaggi che le pagine evangeliche ricordano. Questo era l’ultimo, il definitivo e, per questo, simbolo di altri viaggi: di quello stesso della nostra vita, o della nostra crescita spirituale. Per te, caro Andrea, è il paradigma del cammino che inizi da oggi come presbitero. Non si tratta di un semplice cambiamento di rotta; così come quel viaggio fu per Gesù. Egli si incamminava verso la Pasqua, verso il culmine della sua missione. Così è per te. E’ perciò un momento santo e tremendo quello che stai vivendo, e noi con te. E’ un mistero che ci sovrasta e ci avvolge. E tu lo manifesterai tra poco, quasi fisicamente, quando ti prostrerai a terra, come schiacciato da questo mistero grande. Sì, la tua fragilità viene riempita del mistero stesso di Dio. Per questo, nulla può essere più come prima in te, anche se continuerai a frequentare gli stessi luoghi e a vivere negli stessi ambienti.

Non cambia l’aspetto esteriore. Cambia il tuo essere più profondo. Da oggi, infatti, non ti apparterrai più. Sei di Cristo; e ancor più esplicitamente dovrai dire: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”(Gal 2,20). Sei della Chiesa, di questa nostra santa e amata Chiesa di Terni-Narni-Amelia in cui vieni incardinato e radicato. E’ lei che ti presenta: “La santa Madre Chiesa chiede che questo nostro fratello sia ordinato presbitero”. Sì, caro Andrea, questa Chiesa, che ti ha custodito, curato, aiutato, fatto crescere e accompagnato in tanti modi, e ringrazio tutti coloro che ti sono stati accanto, oggi ti presenta perché lo Spirito Santo, attraverso l’imposizione delle mani, scenda su di te perché diventi strumento della sua grazia.

Nel nome del Signore, infatti, dovrai predicare il Vangelo perché tocchi i cuori degli uomini e si convertano a Dio. Con la forza del suo Spirito dovrai presiederai la santa Liturgia della Chiesa spezzando il pane santo e porgendo il calice della salvezza. Ricolmo della misericordia di Dio dovrai con larghezza e generosità perdonare i peccati, consolare degli afflitti, ospitare coloro che soffrono, curare e difendere i poveri, allargare i cuori ristretti, sollecitare gli animi pigri, correggere gli spiriti smarriti. Sii padre misericordioso di tutti. Sii fratello di coloro che il Signore affida alle tue cure. Ma soprattutto resta figlio, sì, resta figlio del Padre che sta nei cieli e della santa Madre Chiesa. Non è possibile essere padre se non resti figlio, non è possibile comunicare il Vangelo se prima non o ascolti, non è possibile spezzare il pane se prima non te ne nutri, non è possibile amare se prima non sei tu stesso innamorati di Dio e dei fratelli.

Intuendo la grandezza e la bellezza del ministero che ti viene affidato, ci siamo raccolti accanto a te in tanti. Siamo vescovi, sacerdoti, diaconi, familiari, anche i tuoi compagni di liceo, quelli del Caprinica, i seminaristi, e questa parrocchia. Questa chiesa a te tanto cara, di qui tuo papà è stato accompagnato in cielo, oggi vive una grande festa. Ho desiderato che il tuo sacerdozio, fin dal suo sorgere, si radicasse in una comunità ecclesiale. E’ come ricordare a te, e a tutti noi, che non si diventa sacerdoti per se stessi o per realizzare un proprio sogno. No, non è neppure concepibile un sacerdote che pensa a servire se stesso. Il sacerdote è incardinato e ordinato al servizio del popolo di Dio. Tu sai bene, caro Andrea, che il sacerdote non si appartiene, così come Gesù non si apparteneva. Egli, infatti, diede tutto se stesso per la salvezza degli altri.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ce lo mostra chiaramente. Gesù, mentre stava per intraprendere il suo viaggio verso Gerusalemme, sentì il bisogno di confidarsi con i discepoli. Sì, aveva un problema di amicizia, eccome! Ma non di quella psicologica dello star bene o del non aver problemi. La preoccupazione di Gesù era la sua missione, era la salvezza della gente, anche se questo avrebbe comportato la sua morte. E confida ai discepoli: “Il figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. E’ la seconda volta che lo dice. La prima volta, Pietro, che aveva cercato di dissuadere Gesù dal suo cammino, fu aspramente rimproverato. L’apostolo voleva che Gesù salvasse se stesso e anche loro. Ma Gesù non pensava così. E lo rimproverò. Ancora una volta i discepoli non capiscono. Eppure non era difficile ricordare qualche brano della Scrittura come quello che noi abbiamo ascoltato dal libro della Sapienza: “tendiamo insidie al giusto, perché ci è d’imbarazzo e contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l’educazione da noi ricevuta…Condanniamolo ad una morte infame, perché secondo le sue parole, il soccorso gli verrà” (2,17-20).

Ma perché i discepoli non compresero le parole di Gesù che pure erano chiarissime? La risposta è semplice: perché erano preoccupati solo per sé e per il loro posto. Gesù era angosciato per la sua morte, loro per chi fosse il primo. E’ davvero disarmante! Ma Gesù continua a parlare con essi, come fa con noi di domenica in domenica, senza mai stancarsi. E per fortuna! Chiede loro: “Di cosa stavate discutendo?” Essi però tacevano. Finalmente, provavano almeno un po’ di vergogna per quello di cui avevano discusso. Provare vergogna perché si pensa anzitutto a se stessi è il primo passo della conversione. I discepoli compresero che il peccato è essere distanti da Gesù, ossia pensare anzitutto a se stessi. Ma questo è negare alla radice il sacerdozio. L’amore per sé, infatti, è la fonte di ogni divisione, di ogni lite, di ogni conflitto, di ogni guerra, come dice Giacomo: “le guerre e le liti non vengono forse dalle vostre passioni?”

La via del sacerdote, come anche di ogni credente, è quella del Maestro: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Gesù ha dato tutto se stesso. E questa è la sua gioia. E questa è la gioia del sacerdote: dare tutto se stesso. Gesù continua: “Chi vuol essere grande tra di voi sia vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi sia il servo di tutti”. Gesù non sta tracciando una linea di comportamento morale. No, Egli parla dell’essere stesso del discepolo, della sostanza stessa del sacerdote. E la sostanza è l’Amore, solo l’Amore. L’Amore di Dio, quello senza confini. Senza questo Amore il sacerdote è incomprensibile. Con questo Amore tutto in lui diventa chiaro. Il cardinale Suhard, arcivescovo nella Parigi degli anni Quaranta del secolo scorso, scriveva ai suoi sacerdoti, ed io lo dico a voi tutti, carissimi miei sacerdoti: “Altri nella società moderna hanno scelto la gloria, il danaro, il piacere, altri consacrano e consumano la loro vita per la scienza, per il comando, per le conquiste. Il prete ha lasciato tutto, si è distaccato da tutti e tutto ha dato; egli rinuncia a ogni bene, rinuncia a se stesso. Una sola cosa rivendica per sé, e non cederà a nessun costo, un solo bene vuole con una forza ostinata: nella città umana – sì, a Terni – egli ha scelto l’Amore…lo brama per i suoi fratelli che son divenuti il suo unico bene”. Caro Andrea è questa la sostanza del mistero presbiterale: l’Amore.

Sii, allora, carissimo figlio mio, il primo nell’Amore, il primo nel dedicare tutta la tua vita a Dio e alla Chiesa. Lo sai bene: fu proprio Andrea il primo ad incontrare Gesù! E fu lui a chiamare suo fratello, Simone. E se debbo raccomandarti una preferenza, il tuo cuore sia sbilanciato verso i piccoli e i poveri. Gesù, questa sera a Borgo Rivo, come quella sera a Cafarnao, prende di nuovo un bambino e lo mette in mezzo. Non è tanto una centralità fisica, ma del cuore, dell’attenzione. E, “abbracciandolo”, disse: “Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me”. Gesù parla mentre tiene abbracciato quel bambino. La Chiesa, noi, non possiamo parlare senza tenere abbracciati i poveri e i deboli. Le nostre parole, le tue parole, caro Andrea, saranno vere se, parlando, terrai abbracciati i poveri. In essi è presente Gesù, anzi il Padre stesso. Ecco perché il regno dei cieli inizia quando ai poveri è annunciato il Vangelo e ai ciechi è donata la vista.

Caro Andrea sii testimone dell’Amore con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze. Maria, Madre e Figlia dell’Amore, ti sia accanto per essere anche tu padre di tanti e figlio di Dio e della Chiesa. Amen.