Ordinazione Andrej Anghelus

Ordinazione presbiteriale Andrei Anghelus

Care sorelle e cari fratelli,
la Santa Liturgia di oggi è ricca di significato per noi e per la nostra Chiesa diocesana. Questa Domenica, memoria della morte e risurrezione del Signore, accoglie la festa dell’Esaltazione della Santa Croce e il conferimento del presbiterato ad Andrei. Sono tre eventi che si congiungono assieme e rendono ancor più profonda la nostra gioia e significativa l’ordinazione presbiterale.
La memoria della Santa Croce ci riporta a quel lontano 14 settembre del 335 – quasi mille e settecento anni fa – quando una folla numerosa di fedeli si raccolse a Gerusalemme per la dedicazione della Basilica del Santo Sepolcro e si ricordò anche il ritrovamento del legno della santa Croce. Da quel giorno si celebra ogni anno questa memoria. La Santa Liturgia d’Oriente prevede ancora che il sacerdote celebrante alzi la croce e la diriga verso i quattro punti cardinali, per indicare l’universalità della salvezza. E non è senza significato che tu, Andrey, ricevi l’ordinazione sacerdotale proprio in questo santo giorno. E’ come dirti che sei chiamato nel ministero presbiterale a mostrare il mistero della Croce, il mistero dell’amore di Dio che dalla Croce promana a tutti gli uomini e a tutte le donne. Sì, non devi porre limiti alla missione d’amore, proprio perché quella Croce non ha posto nessun confine, nessun limite all’amore. Questo indica il gesto di mostrare la Croce ai quattro punti cardinali. E c’è anche un motivo in più perché questo avvenga. Il paese da cui vieni, la Romania, ha vissuto nella sua storia il dramma della Croce. Numerosi sono stati i martiri durante il Novecento. Si tratta di vescovi, di preti, di religiosi, di semplici laici, i quali hanno dato la vita per la fede in Gesù. Tutti noi, guardandoli, dobbiamo ricordare le parole della Lettera agli Ebrei: “Non avete ancora resistito sino al sangue nella vostra lotta contro il peccato”(12, 4). Essi debbono essere per te un riferimento costante, contro la tentazione di una vita scialba e priva di passione. Questa testimonianza d’amore martiriale sia, se così posso dire, l’orgoglio che devi avere per la tua terra. I tuoi familiari, tua mamma, in particolare, che abbraccio e saluto di cuore, ricorda meglio di te questa pagina di martirio della Romania. Vorrei dirti, caro Andrei senti il tuo sacerdozio anche radicato nei nuovi martiri della tua terra.
E credo che la coincidenza della tua ordinazione sacerdotale con la festa dell’esaltazione della Croce non è solo casuale. Direi che il tuo sacerdozio deve essere segnato da questo mistero d’amore, ch’è la Croce di Cristo. Quanto abbiamo ascoltato dal libro dei Numeri non è solo una storia lontana. E’ una vicenda tremendamente attuale. Tanti sono, infatti, i popoli che si trovano ancora oggi nella condizione del popolo ebreo nel deserto quando veniva morso da innumerevoli “serpenti velenosi”. Oggi, tanti, davvero tanti sono i “serpenti velenosi” che si aggirano nel mondo, magari nascondendosi sotto diverse sembianze. L’elenco sarebbe davvero lungo: basti pensare alla fame e alla sete che continuano a uccidere senza sosta; l’aborto e l’eutanasia sono divenute un fatto sempre più normale; e malattie come l’Aids, soprattutto in Africa, continuano a mietere vittime; e poi i conflitti e le guerre che non cessano di moltiplicarsi e di creare morti senza numero.
Mosè innalzò per il suo popolo un serpente di bronzo: chi lo avrebbe guardato non sarebbe morto. Tutto ciò Mosé lo fece in figura; il suo gesto era una prefigurazione della croce. L’evangelista Giovanni lo scrive esplicitamente: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo” (Gv 3,14), e più avanti, quasi a ricalcare la scena biblica, aggiunge: “Volgeranno gli occhi a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). C’è bisogno ancora oggi di esaltare la Croce, di metterla in alto, di mostrarla ai quattro punti cardinali, perché tutti la vedano e siano salvi. Anche a te, caro Andrey, viene affidato il ministero di alzare e di mostrare la Croce. Il sacerdote riceve il compito di mostrare il Vangelo della Croce perché chiunque lo guardi venga salvato. Potremmo dire che nel mistero della Croce si riassume tutto il senso del sacerdozio, come si riassume tutto l’amore di Gesù. La Chiesa, infatti, con la festa dell’esaltazione della Santa Croce, vuole mostrare a tutti l’indicibile amore di Gesù per gli uomini e per ciascuno di noi. Il prefazio della Messa ci fa cantare: “Nell’albero della Croce tu, o Dio, hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita”. E’ giusto esaltare la Croce: su quel legno è stato sconfitto una volta per sempre l’amore per se stessi e trionfa definitivamente l’amore per gli altri. La Croce è la sintesi, il culmine dell’amore di Gesù per il Padre e per gli uomini. Essa è già presente sin dal cielo, sin da quando Dio decise di mandare il Suo Figlio in mezzo agli uomini. Gesù, infatti, iniziò il suo cammino verso la croce da quando “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio”. Per amore, e solo per amore, “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo”; per amore “umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. E il Padre stesso si è commosso per un amore così sconfinato del Figlio al punto  che “lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”.
Gesù, su quella croce, ha sconfitto definitivamente l’amore per sé, il pensare a sé, il chiedere per sé, il concentrarsi su di sé. Sotto quella croce, tutti gridavano a Gesù: “Salva te stesso”. Potremmo dire che questo è il “vangelo” del mondo: salvare se stessi, a qualsiasi costo. Ma non è, e non può essere il Vangelo di Gesù. Non è, non può essere il Vangelo del sacerdote. Come poteva salvare se stesso Colui che mai aveva vissuto per sé? Gesù diceva di sé: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire”(Mt 20,28); potremmo tradurre: “non sono venuto per salvare me stesso, per stare bene io, sono venuto per far stare bene gli altri”. Questa è la via del sacerdote. Sulla via della croce Gesù ha mostrato la vittoria dell’amore sull’egocentrismo.
Solo Maria e Giovanni, sotto la Croce, non hanno detto a Gesù: “salvati!”. E come avrebbero voluto averlo accanto, averlo vivo, accanto. Siano i compagni del tuo sacerdozio, caro Andrey. Imita Maria che “stava sotto la Croce”. Sii cioè vicino a tutti, ma particolarmente a chi sta in croce, a chi è povero e debole, a chi è deluso e senza speranza. Guardali e amali con gli stessi occhi e lo stesso cuore con cui Maria guardava il suo figlio. Imita Giovanni, il discepolo che Gesù amava. Sappi poggiare la tua testa sul suo petto per poter cogliere da lui i battiti del suo cuore. E imitalo nell’accogliere con te Maria. Dice il Vangelo della croce: “da quel momento il discepolo – è lui stesso che scrive – la prese nella sua casa”. Prendi con te Maria, la madre anziana, prendi con te questa nostra Chiesa diocesana, ormai avanti negli anni, e amala, servila come il Signore ti chiede. In verità è stata lei, questa nostra Chiesa diocesana che amiamo e per la quale diamo la vita, questa Chiesa per prima ti ha amato, ti ha cercato, ti ha chiamato, ti ha preso e ora ti custodisce nella gioia del presbiterio. Sei il più piccolo tra noi, eppure ti viene chiesta tanta saggezza. Quella che nasce dalla Croce, da quel cuore squarciato per amare gli altr4i, e non per pensare e amare se stessi. L’apostolo Giovanni, il giovane che Gesù amava, fu colpito da quel cuore squarciato da cui uscì “sangue ed acqua”. Gesù diede tutto se stesso. Così devi fare tu, caro Andrei. Questa sia la tua vita e la tua gioia.
E voi, cari fratelli e sorelle di san Giovanni Bosco, tu caro don Paolo che hai accompagnato con amore don Andrey, accoglietelo con gioia, lasciatevi amare da lui e amatelo con tutto il vostro cuore. Lo lascio qui, in mezzo a voi, come viceparroco. So che gli volete bene. Da questa festa della Santa Croce sentite rivolte anche voi le parole di Gesù: “Ecco tua madre, ecco tuo figlio”. Amen