Omelia di Capodanno

Omelia di Capodanno

 

“Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”(Nm 6, 24-25). Con questa antica benedizione biblica entriamo nel nuovo anno, certi che il Signore veglierà su di noi, e ci sarà vicino accompagnandoci giorno dopo giorno. Nel libro di Isaia si legge: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito, e su chi teme la mia parola”(66,2). Sì, lo sguardo del Signore, all’alba di questo 2003, si rivolge sugli umili e sui deboli, e su chi si dispone ad ascoltare la parola del Vangelo e a metterla in pratica. 


Ancora una volta i pastori di Betlemme ci sono di esempio per come iniziare il nuovo anno: ascoltarono le parole dell’angelo, lasciarono le loro greggi e si diressero verso quel Bambino. Ed è bello quanto riferisce l’evangelista: “dopo averlo visto, riferirono ciò che di lui era stato detto loro”. Gli angeli avevano detto qualcosa ai pastori, ma non è difficile pensare che anche Maria lo presentò loro. E probabilmente, senza di lei non avrebbero potuto comprendere quel mistero. Maria, infatti, sapeva chi era quel figlio, lei che “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Ebbene la Liturgia di questo giorno, con incredibile tenerezza, ci invita a guardare Maria, per comprendere anche noi chi è quel Bambino. Sono passati sette giorni dal Natale, da quando i nostri occhi si sono posati sul piccolo Gesù e su tutti i piccoli e i deboli di questo mondo. Oggi la Chiesa sente il bisogno di guardare anche la Madre, e di farle festa. Ma, è bene sottolinearlo, nel contemplarla non la troviamo sola: Maria ha in braccio Gesù, il Figlio. E continua a mostrarlo ai discepoli di ogni tempo, anche a noi.


E’ una Madre che presenta il Figlio al mondo mentre inizia questo nuovo anno. E il volto del Figlio è dolente. Pochi giorni prima del Natale il Papa, con amarezza grande, diceva: “Come dimenticare che il volto di Cristo continua ad avere un tratto dolente, di vera passione, per i conflitti che insanguinano tante regioni del mondo, e per quelli che minacciano di esplodere con rinnovata virulenza? Emblematica rimane la situazione della Terra santa, ma altre guerre ‘dimenticate’ non sono meno devastanti. Il terrorismo poi continua a mietere vittime e a scavare fossati”. Così il Papa. Quel Bambino raccoglie il dolore dei sofferenti delle numerose Betlemme di oggi e implora per tutti la pace. Il primo gennaio è un giorno che la Chiesa dedica alla preghiera per la pace. Vogliamo iniziare a muovere i primi passi di questo anno sulla via della pace, vogliamo unirci ai tanti testimoni di pace e non  lasciali soli. Il Papa Giovanni Paolo II, che non cessa di esortare i popoli alla pace, nel suo messaggio per questo giorno, ricorda il quarantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII. La prima enciclica diretta da un Papa non solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà, tanto gli stava a cuore la pace. Certo, la situazione del mondo di oggi è diversa da quella dell’epoca di Papa Giovanni: eravamo allora nel periodo della guerra fredda e di un possibile conflitto nucleare. E tuttavia i tempi non sono meno drammatici. Papa Giovanni auspicava la “desideratissima pace”. Non dobbiamo auspicarla anche noi, e forse ancor più vigorosamente, visto che “desideratissima” sembra invece la guerra?  I primi anni di questo nuovo secolo hanno già visto tragedie immani e l’orizzonte sembra segnato dalla spirale infernale del terrorismo e da una guerra lunga, senza confini né limiti. Stanno mutando anche il senso stesso delle parole. Se in passato si diceva: “se vuoi la pace prepara la guerra”, oggi è divenuto normale affermare: “se vuoi la pace fai la geurra”. E così la guerra diviene la via per la pace, fino a giungere alla giustificazione di quel mostro giuridico che è la “guerra preventiva”. Nello stesso tempo però si dimenticano conflitti ben più drammatici e ben più pericolosi, magari perché non ci toccano da vicino. E mentre si predica con passione la guerra giusta contro qualcuno, nello stesso tempo però si rifiutano le cure a basso prezzo per i malati di Aids, per proteggere i guadagni delle industrie farmaceutiche del mondo ricco. Come parlare di guerra giusta se, in verità, la giustizia è lontana?


Care sorelle e cari fratelli, le guerre non sono inevitabili. Esse nascono tutte dal cuore incattivito degli uomini. E il problema grave è che dovunque nel mondo si accumula violenza, si accresce l’odio, si accendono conflitti, dalla Cecenia alla Colombia, dall’Algeria all’Irlanda del Nord, dalla Costa D’Avorio, al Mozambico, e in tante altre regioni ancora. Eppoi quanta rabbia e disperazione si condensano nei paesi più poveri! Quanto dolore non è consolato, non è accolto! E da queste enormi bacini di dolore non nasce forse l’odio contro chi vive bene? La terribile ingiustizia che traversa la terra non spinge a percorrere i sentieri della violenza, gli uni per carpire qualcosa che non hanno e gli altri per difendere il tanto che possiedono?


E’ urgente che gli uomini non solo abbandonino le armi ma intraprendano subito il cammino della pace. E non si tratta di fare solo qualche gesto di buona volontà ma di innescare un processo nel quale tutti debbono coinvolgersi, anche noi qui a Terni, e che deve interessare i vari aspetti della vita umana. Per costruire la pace c’è bisogno da una parte di disarmare i cuori dall’odio, dalla violenza, dall’amore solo per sé, e dall’altra di far crescere in tutte le pieghe della vita la giustizia, il dialogo, l’incontro, il perdono, l’amore. Non si debella la guerra se noi continuiamo le nostre piccole guerre quotidiane. Non si allontanano i conflitti se noi continuiamo le nostre piccole ma non meno feroci battaglie di ogni giorno per eliminarci a vicenda. C’è bisogno di sradicare dal terreno dei cuori quel notevole tasso di bellicosità che sta distruggendo la vita. Ecco perché la pace, pur richiedendo l’impegno tenace degli uomini, è un dono che dobbiamo implorare dall’alto. La pace è un frutto dello Spirito di amore che opera nel cuore degli uomini. Per questo la preghiera d’inizio di questo nuovo tempo ricalca l’antica affermazione degli angeli ai pastori: “Pace in terra agli uomini che Dio ama”.


Il canto del “Veni, creator Spiritus” sia un’invocazione insistente perché lo Spirito del Signore scenda nel cuore degli uomini e “rinnovi la faccia della terra”. Sì, venga lo Spirito del Signore e trasformi i cuori dei credenti, perché sciolgano la loro durezza e s’inteneriscano davanti alla debolezza del Bambino. Venga lo Spirito del Signore e trasformi i cuori delle nostre città e dei nostri paesi perché l’odio, l’invidia, la maldicenza, la sopraffazione, il disinteresse siano allontanati e cresca la solidarietà. Venga lo Spirito del Signore perché trasformi il cuore dei nostri paesi, perché non siano più traversati dalla violenza e dall’individualismo di singoli e di gruppi e crescano invece il perdono, la misericordia e il senso del bene comune. Venga lo Spirito del Signore e trasformi il cuore delle nazioni e dei popoli in guerra perché siano disarmati gli spiriti violenti e si rafforzino gli operatori di pace. Venga lo Spirito del Signore e trasformi il cuore dei popoli ricchi perché non siano ciechi di fronte ai bisogni dei popoli poveri e gareggino piuttosto nella generosità. Venga lo Spirito del Signore e trasformi il cuore delle nazioni e dei popoli poveri perché abbandonino le vie della corruzione e intraprendano quelle dello sviluppo. Venga lo Spirito del Signore e trasformi il cuore di ogni uomo e di ogni donna perché tutti riscopriamo il volto dell’unico Dio, Padre di tutti.