Non facciamoci rubare il Natale dalla superficialità e della rassegnazione

Da persone credenti cerchiamo di festeggiare il Natale nel suo vero senso, festeggiare il Figlio di Dio che venne ad abitare tra noi. Come approfondire in noi questa fede, per comprendere in fondo il mistero?

Le racconto quello che accade 797 anni fa. Era l’anno 1223 agli inizi di dicembre e Francesco d’Assisi stava a Greccio. Disse al suo amico Giovanni Velita: „Quest’anno vorrei vedere con gli occhi del corpo quel Gesù visse in quella notte a Betlemme”. E cosa fece? Un presepe? No! Chiamò un sacerdote e gli abitanti di Greccio e fece celebrare la Messa di Natale dentro una stalla sulla mangiatoia come altare. E lui, che era diacono, cantò il Vangelo della nascita. San Francesco visse un vero Natale, che lui sosteneva essere la festa più bella.

Quest’anno così difficile cerchiamo di vivere davvero il Natale, imitando più che copiando San Francesco. Dobbiamo raddoppiare la fede e l’amore. Con la Comunità di Sant’Egidio a Natale facevamo il pranzo dei poveri nelle chiese. Quest’anno non possiamo farlo. Andremo in giro per le strade, le stazioni, le case, i ponti, portando pacchi e regali ai poveri che incontriamo. Anche così è un vero Natale. Che sia davvero un Buon Natale per tutti! Non facciamocelo rubare dalla superficialità e dalla rassegnazione al virus. Non è vero che non si può fare niente: si può fare molto, moltissimo. Gesù nasce per noi, anche quest’anno. E’ questa la buona notizia. Certo, la nascita deve avvenire nel cuore di ciascuno di noi. Sappiamo che il nostro cuore spesso è cattivo e maleodorante. Ma non era così anche la mangiatoia di Betlemme? Lasciamo che Gesù nasca nel nostro cuore. Ossia che nascano in noi sentimenti di amore, di fraternità, di solidarietà, di amicizia…Diceva un antico mistico, Silesius: „Nascesse Cristo mille volte a Betlemme, ma non nel tuo cuore, saresti perso!”.

Il bambino nasce in una stalla, il nostro Salvatore è piccolo e indifeso. Capiamo e no, tra tutti i nostri festeggiamenti… Che cosa possiamo fare per non restare indifferenti di fronte a tale debolezza?

Natale è giorno di grande festa perché il regalo più grande l’ha fatto Dio a noi: è diventato uomo per starci accanto. E il Natale torna ogni anno come un dono sempre nuovo. Per questo ben vengano tutte le feste, i doni, i raduni gioiosi. Quest’anno, anzi, ci mancheranno perché in gran parte del mondo dovremo evitare garndi riunioni per il bene di tutti. Ma già il Natale di Gesù, la sua nascita come la riporta il Vnagelo, solleva un problema che è vero sempre: quel bambino non trovò posto nel cuore di molti. Non c’era posto per lui. Come non c’è posto per troppi anziani nelle famiglie, per le guerre dimenticate che mietono vittime e creano enormi povertà, per i bambini che non nascono o che non sono accuditi, per troppi disabili dimenticati. Se a Natale dimentichiamo i più poveri dimentichiamo la vera nascita del Signore, che fu da subito motivo di grande gioia e di grande scandalo.

Vogliamo custodire la vita degli anziani, per questo forse in tante famiglie mancano i genitori, a nonni al tavolo di Natale, gli anziani magari rimangono soli nei giorni delle feste.  Come gestire bene questa situazione?

E’ necessario aiutare le famiglie, permettere che gli anziani vivano dove sempre hanno vissuto. Poi è ovvio che se c’è bisogno di rabilitazione si devono offrire loro luoghi adeguati per questo.  La solitudine è brutta, è bruttissima quando si è ammalati ed è ancora più brutta a Natale. L’amore è creativo: inventiamoci tutto pur di stare in contatto: io moltiplicherei i contatti, le telefonate, le videochiamate, le chat il più possibile. E poi chiederei di trovare strumentazioni, aiuti, ausili per permettere agli anziani soli di essere visitati e ci sono le possibilità per fare questo. Credo che la cura scrupolosa della distanza non impedisca di poter in qualche modo incontrarsi, magari anche distanti, magari anche alla finestra. Moltiplichiamo le visite e i modi per incontrarci!

Per gli anziani in istituto la situazione è ancora più difficile. Lei ha avuto un incarico nel governo italiano per la riforma l’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana. Quale riforma?

Mi sono stupito quando il ministro della Sanità, Roberto Speranza, dopo aver ascoltato l’idea che io proponevo di una commissione per studiare questo tema, mi disse: lei mi ha convinto, faccio la commissione a patto che sia lei  a presiederla.  Ho accettato con entusiasmo perché il tema è cruciale. Nei reparti Covid ci sono anziani che da marzo non vedono parenti e amici. Come commissione abbiamo proposto che il Ministro emani una circolare per permettere ai famigliari di visitare i propri anziani nelle residenze dove si trovano. Ovviamente garantendo ogni misura di sicurezza. Questa misura è l’inzio di una riflessione più ampia: purtroppo le nostre società se per un verso allungano la nostra vita, per l’altro verso non hanno ancora pensato come riempire i lunghi anni di vita in più. Sarebbe tragico far vivere venti anni in più, per viverli in solitudine. C’è bisogno di studiare una riforma ampia che permetta un nuovo assetto della società per far vivere bene una popolazione che sta crescendo sempre più di numero in ogni parte del mondo.

Papa Giovanni Paolo II ha usato la formula che la vita umana sacra e va difesa dalla concezione fino alla morte naturale. Questo si scontra con la cultura dello scarto, come la definisce papa Francesco. Come promuovere invece la civiltà della vita e dell’amore?

La Chiesa difende sempre la vita, dalla concezione sino alla fine, sino alla morte. Ma soprattutto oggi, come credenti nel Dio di Gesù Cristo, siamo chiamati a proclamare, cioè a dire ad alta voce, il mistero della vita che è il modo di Dio di abitare la storia, e quindi ad aiutare ogni donna e ogni uomo che abita questo pianeta a riconoscere la presenza dello Spirito, che è Signore e – appunto – dà la vita. Ma questa non è una verità astratta. Non esiste la vita in sé, in astratto. Esistono gli uomini e le donne (ed anche il creato) del mondo intero: siamo oggi più di sette miliardi: vanno tutti difesi! A partire dai più deboli. Questo è il senso dell’affermazione di Papa Francesco: essere “Chiesa in uscita”. Significa essere “in uscita” come il buon samaritano e farsi “prossimi” a tutti a partire dai tanti “mezzi morti” che troviamo lungo le strade delle nostre città e dei nostri paesi. Quel prete e quel levita – uomini di religione – in realtà erano “chiusi” nel loro cuore e paghi dei loro riti. Non sono l’esempio secondo Gesù.

I nostri figli crescono in un mondo pieno di grandi domande gravi. A partire dal Natale quale può essere la risposta che gli possiamo offrire per avere una vita piena di senso, non piena di paura?

Qui davvero Giovanni Paolo II è per tutti un grande esempio. Non dobbiamo dimenticare le sue prime parole in piazza San Pietro: „Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” Nella pandemia, nei conflitti che agitano il mondo, nei problemi quotidiani delle famiglie e di ognuno di noi, non dobbiamo perdere la speranza e lasciarci travolgere dalla paura. Al contrario, dobbiamo impegnarci per coniugare evangelizzazione e promozione umana, preghiera e carità. Il grande messaggio di Natale è questo: Gesù venne al mondo in tempi difficili, in una Palestina occupata dai romani, in una stalla, e dopo pochi giorni è profugo in Egitto per fuggire da Erode. Immaginiamo la paura dei suoi genitori! Potremmo immaginare anche così la paura di tanti per l’incertezza del presente. Anche la nostra paura. Ma Gesù è venuto per vincere ogni paura. E’ l’Emmanuele, il Dio-con noi. Imitiamo Giuseppe e Maria che „presero Gesù con loro” e salvarono la loro vita e quella del Bambino. Certo, anche con la fatica di essere profughi. Ma il Signore stava con loro.

Lei di recente ha scritto un libro con il titolo: Il crollo del noi. Sembra essere il grande problema del nostro tempo, la frammentazione della società in tanti ego distanziati. Come  possiamo aiutare la gente, i popoli a ritrovare la fraternità di cui parla papa Francesco nella sua nuova enciclica?

Nella ricerca di autonomia, l’individuo contemporaneo rimuove, giorno dopo giorno, la memoria delle radici e dei legami che l’hanno generato e costruito come persona umana. Alcuni parlano di una nuova religione, l’ “egolatria”, il culto dell’Io, sul cui altare si consumano anche gli affetti più cari. Il logoramento dei legami, in tutti i suoi aspetti – famiglia, lavoro, cultura, politica – è uno degli effetti più critici della diffusione globale di questo individualismo senza mondo e senza storia. Per la Chiesa la risposta è quasi “istintiva” – scolpita nel Vangelo – e Papa Francesco lo ha ribadito con la sua enciclica “Fratelli tutti” (e anche “sorelle tutte”) che, peraltro, continua ed allarga la riflessione già iniziata con la “Laudato Sii”: dobbiamo essere più solidali, meno egoisti, con meno ’io’ e più ’noi’. Lo abbiamo capito in tempo di pandemia: il virus non ha frontiere. E vengono a cadere le barriere artificiali che le persone e le società hanno costruito: frontiere, divisioni culturali, di mentalità, pretese di superiorità economica e sociale. La pandemia da Covid-19 ha fatto emergere l’interconnessione di fatto che c’è nel pianeta. Bene, l’interconnessione deve diventare una scelta: la scelta della solidarietà tra tutti. E’ la sola via possibile per uscire anche dalla pandemia. La solidarietà è l’unico vaccino che sconfigge l’individualismo… e anche la pandemia. È accaduto nei mesi di primavera. In questa seconda ondata dobbiamo riprendere la spinta verso la fraternità. Così saremo responsabili per noi stessi e verso gli altri. Da soli è impossibile salvarsi! La fraternità evangelica è una scelta anche culturale, politica, economica, oltre che religiosa. Siamo responsabili e – come dice il Papa – ‘tutto è collegato’. I nostri comportamenti ci salvano o ci perdono, così come le scelte.

Lei scrive ogni anno un libro di meditazioni per ogni giorni sui brani biblici, dal titolo Parola di Dio ogni giorno. Che cosa significa questa lettura dei testi biblici, in che modo trasforma le nostre giornate?

Vogliono essere una guida fedele, lungo i giorni dell’anno, per accogliere la Parola di Dio nella nostra vita: diviene così una bussola spirituale quotidiana per navigare nel mare complicato e difficile del nostro tempo. E apprenderemo giorno dopo giorno lezioni di misericordia e compassione. E Dio sa – assieme ai più poveri e ai più deboli – se non ce n’è bisogno! La Parola di Dio meditata quotidianamente, fissata nella mente e nei nostri cuori, rende più forti e più sapienti nell’affrontare la vita. Vorrei dire ai nostri lettori che io stesso, nel preparare questi libri, approfondisco la mia fede, rinnovo anno dopo anno la confidenza con i testi biblici, scoprendo sempre qualcosa di nuovo. E così per ciascuno di noi. La parola non torna mai indietro senza aver prodotto frutti buoni in chi la ascolta e la legge. Se lo facciamo assieme saremo come un grande santuario di preghiera che aiuta noi e il mondo.

(traduzione italiana dell’intervista uscita sulla rivista Új Ember della Conferenza Episcopale Ungherese)