Natale 2001 a Narni

Natale 2001 a Narni

Care sorelle e cari fratelli,


è il primo Natale del nuovo secolo. Ed appare un Natale difficile. Il mondo attorno, infatti, non sembra parlare di pace, non sembra pervaso da uno spirito di solidarietà. E la serenità è davvero lontana. Tutti abbiamo più paura, tutti ci sentiamo più insicuri. Ma il Natale torna. E torna perché la vita rinasca, perché la speranza non muoia. Ed ecco il canto degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Sì, questo canto deve risuonare particolarmente forte in questo tempo. Tutti dobbiamo unirci alla moltitudine degli angeli e estenderlo nei cieli del mondo intero, a partire da quelli della Terra Santa, dove fu cantato per la prima volta. Questo canto non lascia indifferenti coloro che lo ascoltano. Il Vangelo che ci è stato annunciato nota, infatti, che “appena gli angeli si furono allontanati, i pastori si dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. E l’evangelista aggiunge che i pastori “partirono senza indugio”. Era il Natale per quei pastori. E così deve essere anche per noi: muoversi per andare a vedere quel bambino. Lo stesso nuovo secolo deve ripartire da quella grotta di Betlemme, da quel bambino. In lui, infatti, è nascosto tutto il mistero del Natale. Quel bambino è il salvatore del mondo, è il nostro salvatore, è colui che ci libera dalla paura e dalla schiavitù del male. Ripartire da Gesù, ripartire dal Vangelo, questo vuol celebrare il Natale; questo significa rinascere. “Nascesse Cristo mille volte a Betlemme, ma non nel tuo cuore, saresti perduto in eterno”, diceva un mistico del Seicento. Il messaggio del Natale è fare spazio a Gesù nel nostro cuore. La tradizione, per farcene comprendere l’importanza, ci invita ad allestire il presepe, e a commuoverci davanti a quel bambino adagiato su una mangiatoia. E’ una bella e delicata tradizione. Ma non dobbiamo dimenticare che il presepe, da una parte significa inaccoglienza e freddezza. L’evangelista Luca, con amarezza, nota che “non c’era posto per loro nell’albergo”, e Gesù dovette nascere in una stalla. E quante volte anche oggi dobbiamo con amarezza scrivere questa stessa frase! “Non c’è posto per gli stranieri, per i poveri, per i soli, per i malati, per gli antipatici, per i deboli, per chi non conta, per chi è lontano…!” Il Natale, visto dalla parte degli uomini di Betlemme, ha i tratti dell’inaccoglienza, se non della crudeltà. Gesù viene e noi non lo accogliamo. Pensate, siamo giunti al paradosso che molti non sanno neppure che il Natale ricorda la nascita di Gesù! E’ una festa senza più il festeggiato. Questo vuol dire che ciascuno mette se stesso al centro di questi giorni. Ed ecco come si rovina anche il Natale. Noi, care sorelle e fratelli siamo venuti qui non per vedere noi stessi, ma per guardare Gesù, per vedere il bambino ch’è nato per noi. Egli ha lasciato i cieli ed è sceso sino a noi. Ed è tale il suo amore che, seppure rifiutato, si accontenta di una stalla pur di starci accanto. Dove trovare un amore più grande di questo? Come allora non commuoversi? Il Natale è ancora più sconvolgente. E’ incredibile che Dio venga sulla terra e accetti di nascere anche in una stalla; ma chi avrebbe mai pensato che si sarebbe fatto bambino? Eppure il Natale è tutto qui: un Dio nelle sembianze di un fragile bambino. “Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”, disse l’angelo ai pastori. Ed essi andarono in quella stalla e si strinsero attorno a quel bambino. Quei pastori, ritenuti tra la gente più disprezzata del tempo, sono i primi ad accorrere. Essi, in certo modo, anticipavano un detto caro a Gesù: “i primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi”. Quella piccola famiglia nella grotta, circondata dai pastori, è l’immagine della comunità cristiana, della Chiesa di Dio. Anche siamo qui come quei pastori. E il duomo di Narni è una nuova Betlemme. Come in quella stalla di duemila anni fa, anche oggi il Bambino sta al centro. Sì, non siamo noi al centro dell’attenzione, come di solito facciamo e imponiamo a chi ci sta intorno. E’ il bambino che dobbiamo guardare, è lui che dobbiamo contemplare. Come tutti i neonati non sa parlare, anche se è la Parola fattasi carne. Forse si esprime solo con un pianto implorante: vuole toccare il cuore di ognuno di noi. Il Natale, che rischiamo di soffocare nel suo senso più vero, chiede ad ognuno di noi di ascoltare questo pianto che implora aiuto e protezione. Assieme al Bambino di Betlemme lo chiedono i bambini poveri, quelli sfruttati e violentati in tante parti del mondo; lo chiedono gli anziani, anch’essi esclusi dalla vita. Non chiedono molto, implorano solo di far parte della famiglia umana. E lo domandano anche gli stranieri, quelli che hanno fame e sete, gli oppressi dalle guerre e dalle ingiustizie, i disperati e gli angosciati del nostro mondo, i malati di Aids in Africa che non possono curarsi perché le medicine costano troppo. In loro nome, implorando e piangendo, il Bambino di Betlemme chiede a tutti un po’ d’amore. Sì, Natale è una domanda di amore per tutti, particolarmente per i deboli. Il Natale ci esorta ad uscire dalla cura delle nostre greggi, ad abbandonare cioè l’orgoglio prepotente e capriccioso, a lasciare alle nostre spalle almeno per un poco il persistente egocentrismo, e avviarci verso quel bambino, appunto come fecero i pastori. Quel bambino, del resto, è la persona decisiva per la nostra vita e per quella del mondo intero. Chi guarda il Signore e non se stesso o i tanti idoli di questo mondo, ritrova la felicità e il senso della vita. A Natale perciò non importa come siamo, non contano i pesi che ci opprimono o i problemi che ci attanagliano. Quel che conta è vedere Gesù; trovarsi attorno a quella mangiatoia, come noi questa mattina, e contemplare quel bambino. Questo per noi significa contemplare il Vangelo, quel piccolo libro che ogni domenica ci viene aperto e che noi circondiamo con l’incenso e il canto dell’alleluia. Oggi abbiamo aperto la prima pagina, quella della nascita di Gesù. Apriamolo ogni giorno, leggiamolo e mettiamolo in pratica. Non ci stanchiamo di questa lettura. E’ il vero pane quotidiano. Man mano che lo leggiamo vedremo crescere in noi quel bambino, sentiremo scaldarci il cuore e irrobustirci le mani, sentiremo la commozione per i deboli e per i poveri, sentiremo la forza per combattere ogni tipo di male, saremo sostenuti dall’energia del Signore per cambiare il mondo e renderlo più bello e più felice per tutti. Sì, chi riprende a leggere il Vangelo non solo ha capito il Natale, lo sta vivendo. Natale, allora, non è una parentesi un po’ menzognera che ti allontana per qualche momento dalla tristezza quotidiana, Natale è una vera rinascita. Si riprende a vivere, a vedere, a gioire, ad amare. Natale è allora pranzare con un gruppo di poveri come farò tra poco nella mensa di San Valentino a Terni. Natale è andare nel carcere, come ho fatto tre giorni fa o a trovare i malati come ho appena fatto all’ospedale di Narni e l’altro ieri a terni. Natale è far sentire un po’ di calore ai tanti piccoli, ai tanti poveri delle numerose Betlemme di questo mondo. Natale è guardare l’altro con occhi diversi, più benevoli e pronti al perdono; Natale è avvicinarsi all’altro con un cuore diverso, più compassionevole e misericordioso. Questo è il Natale di cui tutti abbiamo bisogno. Questo è il Natale di cui ha bisogno Narni. E questo Buon Natale auguro a ciascuno di voi e a tutta questa cara e amata città di Narni.