Messa per Giovanni Paolo II

Messa per Giovanni Paolo II


Care sorelle e cari fratelli,
ieri sera mentre stavamo radunati in preghiera con i giovani nella chiesa di San Francesco abbiamo ricevuto la notizia della morte di Giovanni Polo Il e abbiamo letto il brano evangelico della morte di Gesù.


Come in quel venerdì santo anche ieri sera era buio. La morte, questa morte, ci ha gettati ancora una volta dentro il mistero della forza del male che si abbatte su tutti. I nostri cuori si sono rattristati profondamente per la perdita di un amico buono, di una guida sicura, di un riferimento saldo per noi e per tanti nel mondo. La Chiesa ha perso il Papa che l’ha fatta entrare nel terzo millennio, il mondo ha perso una guida spirituale alta e forte fino all’ultimo, anche Terni ha perso il papa che l’ha visitata e che ha amato e difeso le acciaierie, e perdo anch’io il papa del mio episcopato proprio nel giorno anniversario della mia ordinazione (a lui personalmente debbo il dono di essere vescovo qui a Terni).


Tante volte abbiamo parlato di Terni; e ogni volta mi chiedeva della diocesi e sempre il discorso si spostava sulle acciaierie e ricordava con piacere e anche con un po’ di orgoglio l’incontro con gli operai al consiglio di fabbrica. Sì, possiamo dire che è stato il papa del mondo ma anche il papa di Terni. E chi di noi non ricorda con gratitudine l’intervento dello
scorso anno nel giorno di San Valentino da Piazza San Pietro in difesa delle acciaierie?
Abbiamo ascoltato in questa celebrazione il brano evangelico di Giovanni in cui Gesù pone a Pietro le tre domande sull’amore. In queste domande c’è la ragione che  ha guidato nel suo pontificato, c’è il perché del Suo amore per la Chiesa, per il mondo e anche per Terni.


Sì, quella triplice richiesta di amore che Gesù fece a Pietro, l’ha rivolta in questi 26 anni a Giovanni Paolo Il: “Giovanni Paolo Il, mi vuoi bene più di costoro?” Per tre volte, ossia sempre, Pietro si è sentita rivolgere questa domanda. Giovanni Paolo II ne ha sentito la bellezza e il peso. Se era stato chiamato al ministero papale era perché doveva rispondere all’amore, anzitutto all’amore per Gesù e quindi all’amore per tutti. L’amore per Gesù ha davvero consumato Giovanni Paolo II.


In questi giorni sono passate davanti a noi le immagini del suo lungo pontificato, dei suoi incontri, della sua infaticabile azione. Ma tutto deriva dal suo rapporto con Gesù. È un rapporto ovviamente poco documentabile. Eppure è la ragione di tutti i gesti del papa. È incomprensibile Wojtyla senza questa intenso, forte, esclusivo, rapporto con Gesù.


Ricordavo già ieri sera con i presenti nella chiesa di san Francesco come il papa si preparò all’incontro storico con Gorbaciov. Quel giorno – abbiamo visto in questi giorni più volte scorrere le immagini – il papa con il volto sereno e con un passo spedito va incontro al Presidente dell’Unione Sovietica. Ebbene, dalle quattro del mattino stava nella sua cappella a pregare e a invocare il Signore perché quell’incontro fosse fruttuoso.
E che lo sia stato ne ho avuto più volte conferma dallo stesso Gorbaciov, il quale ieri diceva che senza Giovanni Paolo Il non sarebbe caduto il muro di Berlino.


E un’altra volta, prima di un incontro particolarmente importante per evitare una nuova guerra, i segretari che lo cercavano perché chiamato al telefono dal presidente del più potente stato del mondo, non riuscivano a trovarlo, e finalmente lo trovarono nella sua camera da letto prostrato con il volto a terra e la mani allargate come in croce.


Care sorelle e cari fratelli, è qui il segreto di questi anni di pontificato: il segreto di un amore che non conosce limiti. Il papa ha cercato di amare tutti, nessuno escluso; di rispondere a tutte le richieste di amore, espresse e non espresse. In tutte sentiva quella stessa richiesta di Cristo a Pietro: “Mi ami più di costoro?”. In ogni persona, in ogni popolo, in ogni città e in ogni continente, Giovanni Paolo II ha sentito questa richiesta di amore. E ha cercato di rispondere a tutti.


Lo ricordo quando, talora anche criticato, diceva che era suo compito
primario visitare i cattolici in ogni parte del mondo per confermarli nella fede, perché senza la fede il mondo diventa ancor più disumano. E lui ne aveva avuta esperienza diretta sotto i due grandi totalitarismi del secolo scorso. Questa domanda di amore infatti se l’è sentita bruciare dentro all’inizio del pontificato dai paesi dell’Est ancora sotto il giogo comunista; se l’è sentita porre dai milioni e milioni di poveri e di deboli che ha sempre cercato, amato e difeso ovunque andasse; se l’è sentita porre dai popoli oppressi dalla violenza e dalla guerra e non ha mai mancato di esporre le ragioni dei deboli ai potenti della terra; se l’è sentita porre dagli uomini e dalle donne delle altre religioni e ha continuato senza mai recedere a incontrarli e a esortarli al dialogo e al rispetto reciproco.


E come non ricordare qui, in Umbria, il legame che Giovanni Paolo Il ha voluto stringere con Assisi, trasformando questa città in santuario di preghiera e in cattedra per la pace e il dialogo tra i popoli? Giovanni
Paolo Il ha come dato ad Assisi una nuova vocazione universale. È una eredità che noi umbri dobbiamo ancora scoprire in tutta la sua ricchezza.

In questo amore, pieno e tenero, appassionato e forte, c’è il segreto di tutto il pontificato di Giovanni Paolo Il. Egli ha introdotto nel nuovo millennio una Chiesa che sa amare tutti e particolarmente i più deboli. Ha sentito in questa prospettiva la risposta di Gesù a Pietro: “Pasci le mie pecorelle”. E non si è fermato di fronte alla difficoltà e agli ostacoli, alle incomprensioni e alla solitudine in cui non poche volte è stato lasciato. Ma l’amore era più forte, e Giovanni Paolo Il ha obbedito all’amore anche quando la logica umana magari suggeriva prudenza, ha usato il linguaggio dell’amore anche quando altri suggerivano linguaggi diversi. E ha voluto raccogliere i giovani attorno a questa utopia, l’utopia della felicità che non spinge mai ad andare contro gli altri ma a fare l’impossibile per essere con gli altri, anche a costo della propria vita. E il papa la sua vita l’ha davvero data.


Ricordo che una volta, dopo l’attentato del 13 maggio, mi trovavo con lui e al telegiornale veniva ridata la notizia con alcuni commenti relativi alla necessità di usare misure protettive, e il papa commentò criticando questo atteggiamento: “il pastore sta sempre con le sue pecore anche a costo di dare la vita”. E non ha mai smesso di stare con il suo popolo. Fino alla fine.


Certo, questi ultimi lunghi mesi sono stati per lui dolorosi, non solo nel corpo, forse soprattutto per il suo spirito. E il papa ha ricordato le parole che disse a Pietro in quel giorno sulle rive del lago di Tiberiade: “In verità ti dico, quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Nota l’evangelista: “questo gli disse per indicare di quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi!”. Queste parole, in certo modo, descrivono anche gli ultimi anni della vita di Giovanni Paolo Il, ormai indebolito nel corpo e trasportato senza che egli potesse più muoversi. E tutti possiamo immaginare quale fosse istintivamente il suo stato d’animo. Ma anche in questo tempo ha glorificato Dio: nella sua debolezza non ha cessato di amare e di attrarre al Signore piccoli e grandi, giovani e anziani. E la sua morte ha trasformato il mondo in una grande preghiera corale. E alla fine,
ancora una volta, è risuonata alle sue orecchie e soprattutto al suo cuore quella parola che aveva sentito da giovane: “Seguimi!”. E Wojtyla ha lasciato tutto, anche il mondo che ha tanto amato, per seguire il Signore che ama sopra ogni cosa.


Noi oggi ci stringiamo attorno a lui in preghiera per accompagnarlo verso il paradiso. Ricordate, care sorelle e cari fratelli, quel grido forte e chiaro del suo primo giorno di pontificato: “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo!”. Quel grido l’ha ripetuto per tutti gli anni del suo pontificato in ogni parte del mondo, e lo ha detto ad ogni cuore: “Non aver paura, apri le porte a Cristo!” Questo grido continuiamo a portarlo nel nostro cuore: è l’eredità che Giovanni Paolo Il lascia a ciascuno di noi e al mondo intero. E la nostra preghiera si rivolge al Signore Gesù per dirgli: “Signore Gesù, apri oggi le porte del tuo regno a questo servo buono e fedele che ha dato tutta la sua vita perché tu fossi conosciuto e amato”.