Messa pellegrinaggio a Lourdes

Messa pellegrinaggio a Lourdes

Care sorelle e cari fratelli, mentre questo primo giorno del nostro pellegrinaggio sta per finire, noi, come i due discepoli di Emmaus, dopo essere stati lungamente con Gesù, dopo aver ricevuto il suo perdono, ci troviamo ora attorno alla tavola ove egli spezza il pane per noi. E anche noi apriremo gli occhi. Sì, dopo che abbiamo sentito scaldarci il cuore nel petto mentre il perdono di Dio scendeva sulla nostra vita, ora sentiremo aprirsi i nostri occhi perché possiamo vedere quanto è grande l’amore del Signore. Egli, con le sue parole ci dice: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”. E le dice a noi; a noi che siamo malati e noi che siamo meno malati. Lo dice a noi che siamo tutti malati dentro di egoismo, di avarizia, di maldicenza, di freddezza, di violenza e anche di odio. Certo, l’evangelista Matteo, mentre riportava queste parole di Gesù, aveva forse davanti agli occhi non noi ma la sua comunità che stava subendo forti persecuzioni, al punto da dover abbandonare le case a volte anche la città ove vivevano per non essere uccisi. E voleva indicare loro come dovevano comportarsi in questi momenti così difficili per la loro vita. Ma cosa vuol dire questo brano evangelico per noi che certo non stiamo sotto una persecuzione? Non è mai stato semplice e lineare per i cristiani annunciare il Vangelo, ossia vivere da veri credenti. Non a caso, Sant’Agostino scriveva che il discepolo “deve proseguire il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”. Ripeto, non è che noi siamo perseguitati; a volte siamo anche corteggiati. L’Evangelista suggerisce alla comunità cristiana che non siamo chiamati a starsene per conto nostro, a cercare la nostra tranquillità, Noi siamo chiamati ad entrare dentro la vita di tutti i giorni anche se questo comporta rischi. Il discepolo di Gesù, infatti, non è lasciato a se stesso, abbandonato e senza alcun aiuto. Il Signore ci esorta ad uscire da noi stessi e anche dalle nostre famiglie per essere servitori del suo Vangelo, per spendere la nostra vita per aiutare chiunque ha bisogno. Noi, invece, ci siamo come adagiati alla nostra tranquillità; siamo diventati tiepidi di amore, sazi di egoismo e tranquilli nella nostra avarizia. Ma comportandoci in questo modo siamo diventati come tutti. Dov’è il sale del Vangelo? Dov’è quella luce da mettere sul candelabro? Il sale del Vangelo lo abbiamo fatto diventare scipito e la luce della Parola di Dio l’abbiamo rinchiusa dentro le nostre chiese, se va bene, perché a volte neppure dentro risplende. Ma è logico che questo accada. Se le nostre chiese non risplendono (e questo accade quando si ascolta poco il Vangelo e quando si ama poco perché ciascuno pensa solo a se stesso) le parrocchie diventano come un secchio rovesciato con sotto la candela: non solo non illuminano nulla di fuori, ma l’assenza di aria e quante volte le nostre parrocchie sono senz’aria!) fa spegnere pure quella poca luce. Guardate questi giorni: se siamo tutti più contenti è perché pensiamo anche agli altri: il sale dell’amore ci fa sopportare anche la fatica e la luce dell’amore ci riscalda il cuore. Insomma, il pellegrinaggio a Lourdes con i malati, è l’immagine di come deve essere la nostra vita: un lungo pellegrinaggio verso il cielo unendoci gli uni agli altri, aiutandoci tutti e particolarmente i malati. Questa e solo questa è la via, più che la via, la ferrovia della felicità. Ecco perché non dobbiamo aver paura e timore di coloro che possono uccidere il corpo, anche perché non c’è persecuzione per noi, ma di quelli che possono uccidere l’anima. Oggi, in effetti, in Umbria, è difficile che ci sia chi uccide la Chiesa o i cristiani, ma è facile, molto facile, invece che ci sia chi uccida l’anima, lo spirito, la forza del Vangelo. E questo possiamo farlo anche noi quando realizziamo un patto tra il nostro egoismo e il Vangelo, ossia quando cerchiamo un compromesso tra una vita intesa come servizio a Dio e agli uomini e la vita, invece, intesa come ripiegamento su noi stessi e sui nostri interessi. E se tante volte rimproveriamo alla nostra società che non ci sono più quei valori che dovrebbero sostenere la stessa vita civile, dobbiamo chiederci se anche noi cristiani non ci siamo fatti fiaccare da quello spirito individualista che sta minando la vita di tutti. Lo sappiamo bene tutti per esperienza diretta, la legge dell’amore solo per se stessi e a qualunque costo, è diventata la grande direttrice trasversale che abbraccia tutti, in alto e in basso, a Nord e a Sud, dell’Umbria, dell’Italia e dell’intero pianeta. Oggi (parlo evidentemente dell’Italia, non certo dei paesi in guerra, come la Terra Santa, dove ci sono tanti che continuano ad uccidere) oggi noi che non abbiamo chi ci uccide nel corpo, dobbiamo più che mai temere tutto ciò che fiacca l’anima sino ad ucciderla, tutto ciò che rende il Vangelo insipido e senza forza. Gli esempi di questo sarebbero numerosissimi. La Parola di questa domenica ci esorta a non aver paura di seguire il Signore e di testimoniarlo con i nostri pensieri e i nostri comportamenti. Talora è facile pensare che il Vangelo ci chieda una vita in ribasso, fatta solo di rinunzie, di penitenze, senza un reale interesse per noi, e alla fine inefficace per la società. Non è vero. Chi segue la via del Vangelo non si perde perché Dio lo sostiene: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!”. Questa attenzione amorosa e compassionevole del Signore diviene compagnia preziosa nella battaglia per il Vangelo e per la felicità di tutti. Le parole di Geremia che abbiamo ascoltato stanno a testimoniare questa compagnia: “Il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori cadranno e non potranno prevalere; saranno molto confusi perché non riusciranno”. Ma la vittoria è possibile unicamente se moriamo all’amore per noi stessi per risorgere ad una nuova dimensione di vita, quella evangelica. E’ la vittoria che Maria, la prima dei credenti, la prima tra noi, ha vissuto in tutta la sua vita. Ella ha potuto schiacciare il capo del serpente, del male, perché non ha creduto a se stessa, ma a Dio, non ha obbedito alla sua volontà ma a Dio; per questo è felice, ossia beata, come sta scritto: “Beata perché ha creduto nell’adempimento della Parola del Signore.