Messa crismale in cattedrale

Messa crismale 2004

Carissimi sacerdoti e diaconi,
sorelle e fratelli tutti,

il Vangelo che ci è stato annunciato ci porta a Nazareth, la città dove Gesù era stato allevato. Questa notazione evangelica suggerisce che questa cattedrale è la nostra Nazareth, il luogo dove anche noi in certo modo siamo stati allevati; dove cioè il nostro sacerdozio è nato e cresciuto. Il Papa, nella sua lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo, ribadisce che il nostro sacerdozio “trae origine, vive, opera e porta frutto” dall’Eucarestia, dall’altare. Continuando le parole del Papa vorrei aggiungere che da questo altare tutti noi siamo amati, custoditi e fatti crescere. Se qualcuno ci chiedesse: dove sta il sacerdote? dove sta il diacono? Noi dovremmo rispondere che certo, lo si può (e forse lo si deve) vedere in tanti luoghi del mondo e in tanti aspetti della vita della Chiesa, ma va anzitutto cercato sull’altare: siamo nati dall’altare e all’altare dobbiamo tornare. Vorrei che il pellegrinaggio in Terra santa che faremo a giugno con voi, cari sacerdoti, significasse questo tornare alle radici del nostro sacerdozio.

Il beato Papa Giovanni, parlando ai vescovi e ai preti, diceva: “E’ dall’altare che dobbiamo guardare le cose terrene, giudicarle e servircene. Anche le questioni più gravi in cui talora si dilania la umana convivenza, di là debbono prendere il principio di una giusta soluzione”. Il vescovo, il prete, il diacono debbono guardare la vita, con i suoi problemi e i suoi drammi, dall’altare: debbono cioè avere uno sguardo liturgico. Guardare le cose dall’altare vuol dire vederle in maniera diversa che da casa propria o dalla strada. C’è un’originalità dello sguardo dall’altare. E’ a dire, cari sacerdoti, che dobbiamo guardare il mondo con gli occhi di Gesù eucaristia. E questo è possibile se noi stessi diventiamo eucaristici, ossia uomini che si lasciano trasformare gli occhi, la mente, il cuore, dai misteri che quotidianamente celebriamo. Da giovane mi facevano pensare le riflessioni di Chevrier quando paragonava il prete all’Eucarestia. Egli diceva: “il prete è un uomo mangiato”. Sì, la nostra vita consiste nell’essere divorati dalla gente, dai giovani, dagli anziani, dai malati.

C’è bisogno di un eccesso di amore, come diceva Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!”(Lc 12, 49).

Ma lasciate, cari sacerdoti, che questa sera esprima la mia gioia nel vedervi tutti e tutti assieme attorno all’altare. Mancano Mons. Marchetti, che sta poco bene, don Mirek, che sta in Polonia, don Edmund e don Sergio, che sono a Ntambue. Li sentiamo vicini a noi. Sento una profonda gioia nel vedervi assieme a me; e questo mi tocca profondamente. Quattro anni – ve l’ho già detto – fa scelsi di entrare in Diocesi all’inizio della settimana santa proprio perché volevo incontrarvi subito tutti voi. E se gioisco nel sentirvi accanto a me, questa gioia è ancor più grande nel vedervi gli uni vicini agli altri.

Vi confesso che è un pensiero che domina sempre più il mio animo in questi ultimi tempi. E permettete perciò che spenda almeno una parola sulla nostra fraternità sacerdotale. Sappiamo bene tutti per esperienza che non è facile vivere la fraternità, che non semplice vivere come fratelli e, soprattutto, non è affatto scontato. Sì, il carattere sacro ci conforma tutti a Cristo, Buon Pastore. Ma il carattere umano non sempre ci aiuta a vivere questa fraternità che pure ci è stata donata. Ciascuno di noi ha la sua storia, la sua formazione, il suo paese di provenienza, il suo modo di vivere, le sue particolarità, oltre che le sue imperfezioni e le sue debolezze, a partire da me. E chiedo perdono a Dio e a voi, cari sacerdoti, per tutte le volte che non sono stato di esempio e non sono stato capace di farvi sentire il mio amore. So di amarvi, uno ad uno. E tanto.

Anche se non sempre riesco a manifestarlo. E in questo: aiutatemi!
Nello stesso tempo però vi chiedo di amarvi gli uni gli altri, di sostenervi a vicenda, di esortarvi, di correggervi, di confortarvi e di gareggiare nella santità. E’ facile lasciarci travolgere dagli impegni che abbiamo, anche perché sono tanti e talora impellenti. Ma vi chiedo di non dimenticate la fraternità, di non pensare che essa viene dopo gli impegni. Tutte le volte che l’abbiamo vissuta e anche esercitata – e potrei citare non pochi esempi concreti – ne abbiamo toccato con mano i frutti. E voi sapete che la fraternità sacerdotale è fatta di preghiera, di incontri comuni, di attenzione reciproca, di interesse l’uno per l’altro. La stessa divisione delle vicarie, oltre alle motivazioni di ordine pastorale, risponde anche all’aiuto che dobbiamo offrirci tra sacerdoti. Questa sera rinnoveremo insieme le promesse sacerdotali. Esse saranno certamente più robuste se oltre a dirle assieme con una sola voce le viviamo anche assieme.

E voi carissimi fedeli rappresentanti dei Consigli Pastorali Parrocchiali stateci vicino. Abbiamo bisogno di voi per poter servire meglio le comunità che ci sono state affidate. Sento che è necessario far crescere l’amore reciproco, che è urgente sentirci più vicini gli uni agli altri, che c’è bisogno di vedersi e di incontrarsi. I tempi che viviamo non sono facili. La vita del mondo è complessa e spesso drammatica. Anche in Italia si parla di Pasqua blindata. E’ cresciuta in tutti la paura ed è più facile isolarsi gli uni dagli altri. La vita è diventata più dura per tutti, e la gente vive male, soprattutto i più deboli. Lo vediamo qui nella nostra Diocesi e don Pierino potrebbe dirci quel che lui vede personalmente in Italia e in tante parti del mondo. L’individualismo si radica anche nella vita religiosa: Dio diviene sempre più il “mio” Dio e sempre meno il Padre Nostro, come invece Gesù ce lo ha rivelato. C’è bisogno di più amore, di più pietà, di più compassione. Non il sangue deve scorrere ma la compassione; non la violenza, magari sacra, ma la misericordia. Accogliamo lo Spirito che questa sera ci viene donato. Sì, anche la nostra Chiesa diocesana può dire: “Lo Spirito del Signore è sopra di me”. E ripetere che siamo mandati “per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare la libertà ai prigionieri e ai ciechi la vita”. E’ questo il fuoco che ci brucia. Dobbiamo comunicarlo nelle nostre comunità per sconfiggere quell’individualismo che si addice bene ai tempi di paura e di chiusura che viviamo. Ci è chiesto di ascoltare di più l’ammonizione di sant’Ignazio di Antiochia ai suoi fedeli: “Così dunque se qualcuno non partecipa alle riunioni è un superbo che si è giudicato da se stesso, perché sta scritto: Dio si oppone ai superbi”. C’è una sottile superbia nel fare a meno delle riunioni comuni e della preghiera comune, nel credere che il rapporto con il Signore si gioca sul piano individuale.

Questo deriva dalla superbia di chi pensa se stesso non nella comunione dello spirito ma solo sui suoi orizzonti, spesso davvero ristretti. E sant’Ignazio esortava anche il presbitero Policarpo a radunare i fedeli: “Le adunanze siano più frequenti; invita tutti, uno ad uno”. E concludeva: “Faticate insieme, correte, soffrite, dormite, svegliatevi tutti insieme, come amministratori di Dio, suoi assistenti e servitori”. Il tesoro che questa sera stiamo vivendo non disperdiamolo; gustiamolo e continuiamo a nutrircene. Vivere dell’altare vuol dire diventare eucaristici. San Giovanni Crisostomo, a tale proposito, diceva: “Cos’è il pane? E’ il corpo di Cristo. Cosa diventano quelli che lo ricevono? Corpo di Cristo; ma non molti corpi, bensì un solo corpo. Infatti, come il pane è tutt’uno, pur essendo costituito da molti grani, e questi, pur non vedendosi, comunque si trovano in esso, sì che la loro differenza scompare in ragione della loro reciproca e perfetta fusione, così anche noi siamo uniti reciprocamente fra noi e tutti insieme con Cristo”.

Cari sacerdoti, cari diaconi, carissimi tutti, il Signore ci conceda di vivere ancor più una fraternità vera tra noi per poterla trasmettere alle nostre comunità. Sappiamo infatti che “da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni gli altri”(Gv 13, 35). Gli olii santi che ora consacreremo e che porteremo nelle nostre parrocchie manifestino quell’amore e quella compassione che sono fonte di vita, di consolazione e di salvezza per le nostre comunità. E il Signore vi sostenga vi protegga e vi faccia gustare fin da ora quel centuplo che ha promesso a chi segue il Vangelo. Amen.