Messa crismale 2000

Messa crismale 2000

Carissimi sacerdoti, cari fratelli e sorelle,


 


questa celebrazione è posta dalla Chiesa quasi come la porta attraverso cui entrare nel triduo pasquale che inizierà domani con la liturgia del Giovedì Santo. In tutte le chiese cattoliche del mondo i vescovi oggi, o domattina, celebrano assieme ai loro sacerdoti la liturgia per la consacrazione degli olii santi. E’ un momento di particolare intimità tra il vescovo e i suoi sacerdoti, un’intimità bella e profonda che affonda le sue radici nel sacramento stesso dell’ordine sacro. Permettetemi perciò, cari fedeli, che mi rivolga anzitutto ai sacerdoti, primi e indispensabili collaboratori del vescovo.


Cari sacerdoti, faccio mie le parole che il Signore rivolse ai suoi discepoli quel lontano Giovedì Santo: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”. Sono passati poco meno di duemila anni da quel giorno, ed io le sento vere anche per me. Sì, posso dire che ho davvero desiderato molto questo incontro con tutti voi. Fin dall’inizio ho pensato a voi e ho pregato per ciascuno di voi, come vi ho scritto nella lettera che ho voluto inviarvi durante i miei esercizi spirituali. Ed vi confesso che uno dei motivi principali che mi ha spinto a scegliere la Settimana Santa per l’ingresso in Diocesi è stato proprio quello di iniziare il mio ministero episcopale assieme a voi, quasi a voler entrare in Diocesi non da solo ma con tutti i sacerdoti; entrare non in modo isolato ma in comunione piena con tutto il presbiterio. Già domenica scorsa ho voluto abbracciare ciascuno di voi, uno per uno, davanti a tutti nella santa liturgia delle Palme. Oggi vi è come un clima più intenso, più intimo, più pieno di comunione. Per questo vorrei che la liturgia di questa sera la vivessimo con quegli stessi sentimenti che Gesù e discepoli avevano quel giorno mentre si raccoglievano nella sala bella, al piano superiore. E questa cattedrale è la sala bella, il luogo alto della nostra Diocesi. Ebbene io vorrei partire da qui con tutti voi, con ciascuno di voi, per tutto il cammino che il Signore ci concederà di fare.


Potremmo dire che la nostra Diocesi riparte dal Cenacolo, dal luogo ove il Signore Gesù “dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine”. Da dove potremmo ripartire, se non da questo amore. E’ dal cuore del Giovedì Santo sgorga il nostro sacerdozio. E oggi pulsa qui il cuore della Diocesi di Terni, Narni e Amelia. E tutti noi sacerdoti siamo coloro che aiutano a trasmettere il sangue dell’amore di Gesù in tutto il corpo della comunità cristiana. Che il cuore perciò sia uno, come scrivono gli Atti degli Apostoli per l’intera comunità cristiana: “avevano un cuor solo e un’anima sola”. Che questo presbiterio batta all’unisono, che sia attraversato dagli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù, il quale non trattenne nulla per sé ma umiliò se stesso prendendo la forma di servo. Dobbiamo modellarci su Gesù. Non su un Gesù generico, ma su Gesù che durante la cena si abbassa sino a lavare i piedi ai discepoli, su Gesù che si fa pane spezzato e sangue versato per tutti. Quanta distanza tra noi e questo Gesù! Ma oggi, questa distanza possiamo accorciarla, e assieme è più semplice, più facile. Per questo ci accingiamo ad entrare non da soli all’appuntamento pasquale, ma assieme. Con questa celebrazione, in certo modo, vogliamo vivere e manifestare il nostro comune sacerdozio, vogliamo rigenerare la nostra fraternità sacerdotale, irrobustire l’amicizia tra noi, un’amicizia concreta, fatta di gesti, di parole, di incontri, di sostegno, di correzione e di esortazione, di pazienza ma anche di creatività. Ne abbiamo bisogno tutti. Ne ha bisogno l’intero presbiterio. Ciascuno di noi ha una sua storia particolare, una sua cultura, una sua provenienza, ma siamo chiamati a formare un solo corpo. E il Signore Gesù, che ha abbattuto ogni muro di divisione, ha fatto di noi, che eravamo lontani o veniamo da lontano, un unico corpo, un unico cuore, un unico spirito. Ripartire dal Cenacolo perciò vuol dire modellare la nostra vita su Gesù, lasciando indietro le nostre asperità, le nostre particolarità. Siamo chiamati a salire assieme su quella sala alta per avere la compassione che Gesù aveva per le folle stanche e sfinite che erano come pecore senza pastore. Si tratta di costruire – non è scontato, per questo parlo di costruzione, di lavoro, di fatica – dentro ciascuno di noi, e anche all’interno dell’intero presbiterio, la comune compassione di Gesù per la gente che ci è stata affidata. Nessuno di noi è un eroe, nessuno di noi è un pastore solitario; siamo tutti uomini deboli e bisognosi di aiuto e di amore. Oggi ci riconosciamo tutti figli dell’unico pastore, a lui chiediamo di donarci il suo stesso Spirito. Ricordiamocelo, cari sacerdoti, tutti noi siamo figli prima di essere padri. Invochiamo oggi il Signore perché ci sostenga e ci protegga, perché l’intera nostra vita sia guidata dalla sua Parola e non dalle nostre abitudini o dalle nostre tradizioni e convinzioni più o meno radicate. Non difendiamo noi stessi, quel che dobbiamo difendere è la salvezza del nostro popolo. Non siamo sacerdoti per noi, ma per il popolo che ci è stato affidato. In tal senso direi che non basta essere santi ciascuno per proprio conto, è l’intero presbiterio che deve essere santo. A tutti noi, in solidum è affidata la comunità cristiana di terni, Narni e Amelia. Con questo spirito di comunione spirituale e pastorale vorrei che accingessimo al lavoro comune che ci attende. Per parte mia, cari confratelli, cercherò di essere accanto a ciascuno di voi perché tutti assieme possiamo somigliare sempre più a Gesù, unico pastore, l’unico che ha dato davvero tutta la sua vita per il suo popolo. La nostra salvezza sta perciò nel restare stretti accanto a Gesù Buon Pastore, nel commuoverci come lui si commuoveva sui deboli e sui peccatori, nel servire tutti come lui serviva la gente, nel rivolgerci a Dio con la stessa confidenza e fiducia con cui lui si rivolgeva al Padre. Questo vuol dire essere conformi a Cristo, avere cioè la forma, il pensiero, lo spirito, l’animo di Cristo.


Nella sua prima predica a Nazareth, aveva appena trenta anni, applicò a se stesso le parole del profeta Isaia: “mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”. E’ il Vangelo che ci viene consegnato in questo giorno. Noi, poveri uomini, fragili e deboli, noi, proprio noi siamo chiamati ad annunciare un anno di grazia, un giubileo; noi, proprio noi chiamati a predicare il Vangelo ed essere pieni di amore e di misericordia. Cari sacerdoti, me lo sentirete dire molte volte, ma è quello che Gesù ci ha lasciato come compito sin dall’inizio: il Vangelo è il tesoro più prezioso che noi abbiamo. Ascoltiamolo, predichiamolo e facciamolo leggere. E il Vangelo renderà le nostre parrocchie non luoghi freddi e rituali, ma case di misericordia e di amore. Di queste case hanno bisogno i piccoli e i grandi, gli uomini e le donne, tutti, chi sta bene e chi sta male. Per questo oggi vi vengono consegnati gli olii santi; siano come l’olio del buon samaritano, olio che conforta, che cura, che guarisce e che consacra il nostro popolo a Dio e al suo culto.