Venerdì santo 2000
Abbiamo iniziato questa santa Liturgia prostrati a terra. Almeno esternamente abbiamo voluto imitare Gesù prostrato a terra per l’angoscia nell’orto degli ulivi. Come restare insensibili davanti a un tale amore che giunge sino alla morte pur di non abbandonarci? “Noi tutti – scrive Isaia – eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti…Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori…E’ stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità”. Il profeta ci dice la ragione di quella prostrazione con la faccia a terra. E come se non bastasse, “si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come una pecora muta di fronte ai tosatori”. Gesù è l’agnello che ha preso su di sé il peccato del mondo; che ha ingaggiato la lotta contro il male, anche a costo di rimetterci la vita. Gesù non voleva morire. Al Getsemani pregò: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice. Tuttavia non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. E quale fosse la volontà di Dio, Gesù lo sapeva bene; lo disse anche: “La volontà del Padre mio è che io non perda nessuno di quelli che mi hai dato”. La volontà di Dio era evitare che il male ci inghiottisse, che la morte ci travolgesse. Gesù non l’ha evitata; l’ha presa su di sé perché non schiacciasse noi; non voleva perderci. Nessuno dei suoi discepoli di ieri e di oggi, doveva soccombere alla morte. Per questo la passione continua. Continua nei numerosi orti degli ulivi di questo mondo ove c’è ancora la guerra e dove milioni di profughi vengono ammassati; continua là dove c’è gente prostrata dall’angoscia; continua in quei malati lasciati soli nell’agonia; continua ovunque si suda sangue per il dolore e la disperazione.
La passione di Giovanni che oggi abbiamo ascoltato inizia proprio dall’orto degli ulivi, e le parole che Gesù rivolge alle guardie esprimono bene la sua decisione di non perdere nessuno. Quando le guardie arrivano, è Gesù che va loro incontro; non solo non fugge, sembra persino prendere l’iniziativa: “Chi cercate?” Alla loro risposta: “Gesù, il nazareno!”, egli replica: “Se cercate me, lasciate stare costoro”. Non vuole che i suoi siano colpiti; al contrario vuole salvarli, preservarli da ogni male, anche a costo della sua vita. Del resto ha passato tutta la sua vita a raccogliere i dispersi, a guarire i malati, ad annunciare un regno di pace e non di violenza. Ed è proprio questo suo impegno il motivo della sua morte. Da dove nasce l’opposizione contro di lui? Dal fatto che era misericordioso, troppo; dal suo amore per tutti, persino per i nemici. Frequentava troppo i peccatori e i pubblicani per poter essere accettato. Eppoi perdonava tutti, ed anche facilmente. Sarebbe stato sufficiente fermarsi a Nazareth e avrebbe superato i 33 anni; oppure avrebbe dovuto abbassare le esigenze del Vangelo; o anche avrebbe dovuto tralasciare quella caparbietà nel difendere ogni volta i deboli. Insomma bastava che pensasse un po’ più a se stesso e un po’ meno agli altri e certamente non sarebbe finito sulla croce. Pietro – per fare un esempio – fece così. Un po’ seguì il Signore, poi ritornò sui suoi passi, però all’interrogatorio incalzante della serva negò persino di conoscerlo. Del resto che importava? E con quella frasetta si salvò.
Gesù al contrario non volle rinnegare né il Vangelo, né Pietro, né gli altri. Eppure ad un certo momento bastava davvero poco per salvarsi. Pilato era ormai convinto della sua innocenza, e gli chiedeva solo qualche chiarimento. Ma Gesù taceva. “Non mi parli? – chiese Pilato – Non sai che ho il potere di metterti in croce?”. Pietro parlò e si salvò. Gesù tacque, non voleva perdere nessuno di quelli che gli erano stati affidati, e fu crocifisso. Anche noi siamo tra coloro che il Padre ha affidato alle sue mani. Egli ha preso sudi sé il nostro peccato, le nostre croci, perché noi tutti fossimo sollevati. Ecco perché oggi facciamo entrare solennemente la croce, ci inginocchieremo davanti ad essa e la baceremo. La croce per noi non è più maledizione, ma Vangelo, fonte di una nuova vita. “Ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga (Tt 2, 14). Su quella croce è stata sconfitta la legge, sino ad allora irresistibile, dell’amore per se stessi. Questa legge è stata scardinata da colui che ha vissuto per gli altri sino a morire sulla croce. Gesù ha tolto agli uomini la paura di servire, la paura di essere solidali, la paura di non vivere solo per sé. Con la croce siamo stati liberati dalla schiavitù di noi stessi, del nostro io, per allargare le mani e il cuore sino ai confini della terra.
Questa santa Liturgia, non a caso, è segnata in modo del tutto particolare da una lunga preghiera universale; è come allargare le braccia della croce sino ai confini della terra per far sentire a tutti il calore e la tenerezza dell’amore di Dio che tutto supera, tutto copre, tutto perdona, tutto salva.