Messa ad Assisi con il Rinnovamento dello Spirito

Messa ad Assisi con il Rinnovamento dello Spirito

Sono particolarmente lieto di celebrare con voi questa Santa Liturgia di Pasqua. E’ la quarta volta che in questo 2002 annunciamo al mondo che Cristo è risorto, che il male e la morte non hanno più il potere assoluto su di noi. E con grande gioia lo proclamate voi, care sorelle e cari fratelli del Rinnovamento, mentre ricordate i trenta anni della presenza del vostro movimento in Italia. Più volte, negli anni passati, ho incontrato i vostri amici a Roma rendendo insieme lode a Dio per dono che il Rinnovamento rappresenta per la Chiesa. Il Papa più volte lo ha ripetuto. Lo scorso 14 marzo diceva: “Il Rinnovamento nello Spirito può considerarsi un dono speciale dello Spirito Santo alla Chiesa in questo nostro tempo”. Sì, voi siete un dono speciale alle nostre Chiese nell’Umbria di questo tempo.


Trenta anni. Non è una data qualsiasi. In quell’anno, ricorda Luca, Gesù intraprese come una nuova missione. Gesù lasciò Nazareth, ricevette lo Spirito che si posò su di lui come una colomba si posa nel suo nido e iniziò un nuovo tempo nella sua vita. Luca aggiunge che Gesù in quei giorni fu spinto dallo Spirito nel deserto. L’evangelista sembra sottolineare che non fu semplicemente una scelta di Gesù; fu piuttosto una violenza dello Spirito, una invasione dello Spirito di Dio che cambiò profondamente la vita del giovane nazareno. Gesù, primo carismatico? Primo a lasciarsi spingere dallo Spirito? Così suggerisce Luca nella narrazione del Battesimo. Care sorelle e cari fratelli, potremmo dire che lo Spirito spinge anche noi, spinge voi che avete la stessa età di Gesù al Giordano, perché entriate nel deserto di questo nostro mondo, nel deserto che tante volte è questa nostra terra umbra. Non certo perché le manca il verde, che in realtà la caratterizza come una splendida terra. Parlo del deserto dei cuori, del deserto dei sentimenti, del deserto che lascia sole e abbandonate tante persone: bambini, giovani, adulti e anziani. Parlo del deserto che provocano la violenza e l’odio. E neppure accenno al deserto che creano la povertà, l’ingiustizia e la guerra. Siamo chiamati dallo Spirito ad entrare in questo deserto perché rifiorisca, perché diventi un giardino come quello della risurrezione dove Maria abbracciò Gesù che la chiamava per nome.


Noi, voi siete un dono appunto perché chiamati a rendere un giardino il cuore arido di questa nostra terra. In questo senso siete un dono alle nostre Chiese. E nessuno dono è dato da Dio perché viva solo per se stesso. Anzi i donni vengono dati da Dio per il bene di tutti. Voi siete un dono alle Chiese perché sappiate aiutarle ad essere un dono per l’intera Umbria. Tutti dobbiamo essere un dono per gli altri. Lo Spirito è stato effuso sugli apostoli non perché restassero chiusi nel cenacolo a godersi la loro gioia o perché si beassero della loro comunione. Essi ricevettero lo Spirito, che si posò su di loro in forma di lingue di fuoco, perché il mondo sentisse nuovamente il calore dell’amore e la lingua del Vangelo. Sì, l’Umbria ha bisogno di rivivere la Pasqua e la Pentecoste. E noi, e voi siete chiamati a far rifiorire l’Umbria con il Vangelo, con la forza dell’amore, con la gioia dello Spirito. Non possiamo più attendere. Dobbiamo con forza far risuonare all’Umbria intera le parole che l’apostolo Pietro, unitamente agli altri Undici, disse nel giorno di Pentecoste a coloro che si erano accalcati alla porta del cenacolo: “Salvatevi da questa generazione perversa!”, ossia allontanatevi dalla mentalità triste di questo mondo e accogliete il Vangelo. Ed essi – notano gli Atti – al sentire il Vangelo della Risurrezione: “si sentirono trafiggere il cuore” e chiesero a Pietro: “Cosa dobbiamo fare ?” E’ tutta qui la nostra vocazione.


Ma chi annuncerà agli umbri il Vangelo della risurrezione? Certo, nelle nostre parrocchie ogni domenica lo si annuncia. Ma quante gente non viene! La prima Lettera di Pietro dice di noi: “Eravate come pecore disperse, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle anime vostre” (2, 25). Quante sono ancora in Umbria le pecore disperse! Sono decine di migliaia i giovani che non sanno più cosa significa vivere; sono molti gli adulti che vivono come se Dio non esistesse; e innumerevoli gli anziani che trascorrono nella tristezza gli ultimi anni che gli restano da vivere. E’ un numero enorme di pecore senza pastore. Noi siamo un dono, voi siete un dono per tutti costoro. A tutti costoro deve accadere quel che a noi è accaduto. Sì, noi eravamo pecore disperse, ma siamo stati ricondotti al pastore. In questo anno, nel trentesimo vostro anno, Gesù torna in mezzo a noi come pastore buono per associarci a lui nel compito di radunare, di raccogliere, di consolare, di perdonare, di amare. Noi pur restando gregge del Signore siamo in qualche modo tutti pastori, tutti dobbiamo operare perché gli uomini e le donne dell’Umbria si raccolgano attorno al Vangelo. Molti sono dispersi perché non hanno avuto pastori attenti e premurosi. E badate bene, il Vangelo non parla qui dei sacerdoti, ma di tutti. Ricordiamolo bene, ciascun credente è anche pastore degli altri. Ciascun credente deve preoccuparsi degli altri. Se non ci siamo noi, altri si insinuano e allontanano i cuori della gente da Gesù. Ce lo ricorda il Vangelo. Gesù parla di ladri e di briganti che si portano via i cuori della gente. A noi è chiesto di entrare, assieme a Gesù, ad entrare nei cuori della gente attraverso la porta dell’amore. Gesù, pastore delle pecore, sa parlare con amore alla gente, sa chiamarla per nome, sa volerle bene. Per questo ha la porta aperta: il “guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce”. Nelle prime apparizioni Gesù ha trovato le porte del cuore dei discepoli chiuse per paura e incredulità. Come riesce ad aprire il cuore? Chiamando per nome, ossia volendo bene davvero. Chiamò per nome Maria; chiamò per nome Tommaso perché non fosse più incredulo ma credente; chiamò per nome Pietro; per tre volte gli chiese: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. E’ una voce diretta che chiede una risposta altrettanto diretta.


Non è una voce estranea. E’ la voce dell’amico. Così deve essere la nostra voce per la gente che incontriamo. Sì dobbiamo toccare il cuore. Ma riusciremo a toccare il cuore degli altri se prima abbiamo imparato ad ascoltare noi la voce di Gesù, se noi abbiamo imparato ad accogliere il Vangelo nel nostro cuore. Care sorelle e cari fratelli, Gesù ci invita oggi ad uscire dal nostro recinto per allargarci il cuore, per annunciare a tanti che egli è il salvatore, l’amico della vita. Lui cammina innanzi a noi e ci porta verso pascolo belli e verdi: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Sì, Gesù è venuto per dare in abbondanza non per rubare qualcosa. Seguiamolo e saremo salvi; seguiamolo e salveremo tanti altri; seguiamolo e anche l’Umbria, come scrive il Vangelo: “troverà pascolo e non soffrirà mai la fame…non soffrirà mai la sete” (Gv 6,35).