Lettera aperta sul riposo domenicale

Lettera aperta sul riposo domenicale

 

Gentili Signore e Signori,

volentieri rispondo a nome dei vescovi umbri alla Lettera aperta del 15 gennaio 2010 relativa al riposo domenicale. Non ne prendiamo solo atto, ma desideriamo offrire un contributo positivo a quanto richiedete.

Anche voi sapete che, per il cristiano, le radici del riposo domenicale sono iscritte nell’atto stesso della Creazione. Un’azione che non è compiuta una volta per sempre. Il Signore chiede all’uomo e alla donna di continuare a rendere il mondo sempre più abitabile sino a che non verranno “cieli nuovi e terra nuova”. E la “Domenica” è parte fondamentale di questa opera creatrice che continua nel corso dei secoli.

«Sorretta e animata dallo Spirito, la Chiesa, attraverso i secoli, ha conferito alla Domenica una fisionomia assai viva e ben caratterizzata: giorno dell´Eucaristia e della preghiera, giorno della comunità e della famiglia, giorno del riposo e della festa, giorno della libertà dalle cure e dalle fatiche quotidiane (specie per i più poveri, i servi, gli schiavi) nell´anticipazione della libertà ultima e definitiva dalla servitù e dal bisogno» (cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Il giorno del Signore, nn. 3-4, 1984).

La Domenica, per i cristiani, è divenuta il giorno in cui celebrare la vittoria di Gesù sulla morte, sul male, sull’oppressione, sulla solitudine e ricreare quell’armonia che il peccato continua a minare e a indebolire. Questa centralità del giorno del Signore spinse alcuni cristiani a respingere l’accusa di violare la legge radunandosi di Domenica. Si rivolsero al giudice dicendo: Sine Dominico vivere non possumus (non possiamo vivere senza la Domenica). Si tratta di 49 cristiani del IV secolo di Abitene (una città nell’attuale Nord Africa) i quali accettarono la morte pur di non tradire la celebrazione della Domenica. Sì, sono martiri della Domenica!

È un grido che dovremmo ripetere. Purtroppo non di rado tale grido si è affievolito. In verità, se ascoltiamo meglio, lo sentiamo risuonare anche oggi, magari con toni diversi e forse più sommessi, tra le commesse dei nostri centri storici e commerciali, dove l’apertura domenicale di fatto ruba loro il giorno della festa. Il giorno di riposo è assolutamente necessario per il bene e il benessere della famiglia, sia per la coppia di sposi, in quanto coppia, che ha pur bisogno dell’esperienza della gratuità e della libertà, sia per i figli che hanno urgente e grave bisogno d’un dialogo permanente con il loro papà e la loro mamma. Sono loro infatti che li hanno messi al mondo e li seguono nello sviluppo e nei processi educativi e devono essere sempre disponibili per l’ascolto e il dialogo con i loro figli: è un’esigenza educativa ineliminabile, che a loro solo compete e per la quale anche gli educatori surrogati sono insufficienti ed impropri. Far soffrire la famiglia, cellula primordiale della comunità, è una grave offesa alla società.

La lotta per ri-ottenere questi diritti già conquistati, anzi il diritto al riposo festivo è il primo diritto conquistato dagli operai, tutti legati alla dignità dell’uomo e della donna, è un patrimonio storico dei movimenti sindacali ma anche della Chiesa cattolica (si pensi al magistero di Leone XIII) e non possiamo non essere accanto a tutti coloro che li rivendicano. Fatti salvi i servizi essenziali, che naturalmente non possono conoscere sospensione ma solo equa turnazione, tutto ciò che attiene alla sfera commerciale può e deve essere subordinato al diritto divino e umano al riposo, alla riflessione, alla contemplazione delle cose belle, per ri-creare e l’anima e il corpo.

Oltretutto, ci si può interrogare, anche in sede scientifica ed economica e in termini di organizzazione del lavoro, sulle curve di rendimento in rapporto alla mancata interruzione domenicale. Il diritto ad un ritmo umano del lavoro, mentre distingue la creatura umana per l’uso sapiente e intelligente di tutte le risorse, la collega altresì a tutto ciò che, in natura, si presenta come ritmico e ciclico.

Se rubiamo la Domenica a chi lavora, quali altri ritmi artificiosi di riposo potrebbero essere inventati? Tanto più che, notate giustamente, “l’accrescimento delle aperture nei giorni festivi, lungi dal costituire un incentivo alla spesa, ha avuto, come unico effetto, quello di diluire gli acquisti nell’arco della settimana”.

I negozi aperti la Domenica nei centri storici sono sempre più vuoti, mentre nei grandi centri commerciali – nuove cattedrali del consumo – si assiste sia allo sfruttamento di tanti giovani che vi lavorano con contratti spesso privi di giustizia, sia alla mercificazione delle masse che vi si riversano senza ormai più distinguere, non solo tra giorni feriali e festivi, ma anche tra giorno e notte, con ulteriore tributo all’appiattimento, all’alienazione, alla perdita di ogni identità.

Chiediamo pertanto il rispetto del giorno sacro della Domenica; chiediamo che nessuno sia obbligato a lavorare di Domenica e che, se richiesto, possa rifiutarsi senza pericolo di ritorsioni o di perdita del posto di lavoro. Anche agli sportivi chiediamo di rispettare maggiormente questo giorno, organizzando le gare in modo diverso.

Chiediamo agli uomini e alle donne credenti e di buona volontà, ai sindacati, alle associazioni di categoria di unirsi in un’azione comune volta alla salvaguardia dei valori umani, cristiani, familiari, sociali, sui quali non può non fondarsi la vita di ogni uomo e ogni donna e la salvaguardia dell’intero creato.