La vita è l’intera famiglia umana!

L’11 febbraio 2019 ricorre il 25° anniversario della fondazione della Pontificia Accademia per la Vita. Per questa occasione papa Francesco ha voluto inviare una lettera non semplicemente celebrativa all’Accademia per ringraziare tutti i membri per il lavoro che hanno svolto negli anni passati e per incoraggiarla ad affrontare con rinnovato impegno il compito che indirizza il suo futuro.

Il titolo della lettera (Humana communitas) indica esattamente il punto focale di questo impegno. Mentre siamo nel mezzo delle questioni relative alla custodia del creato, si affaccia all’umanità una nuova e ben più profonda problematica relativa alla famiglia umana. Insomma, l’attenzione sul creato come “casa comune” è entrata tra le frontiere che decidono il futuro del pianeta. Oggi, si fa sempre più urgente, anche per gli straordinari progressi della tecnica, una rinnovata attenzione a chi abita quella casa, ossia alla famiglia umana nella sua interezza. Ed è qui che il Papa vuole richiamare l’attenzione anche dell’Accademia per la Vita, sino a invitare ad un allargamento semantico. La “vita” non è un concetto universale astratto: è l’uomo nella sua storia, è l’intera famiglia umana nella trama dei suoi legami. Il Papa rileva l’indebolimento dei legami che costituiscono la fraternità: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”. E’ una sfida che riguarda l’intero pianeta. L’indebolimento della fraternità – lo si voglia o no – contamina tutte le scienze dell’uomo e della vita.

Nella Lettera appare chiaramente l’attenzione del papa al grido che si leva dalla sofferenza dei popoli, perché tutti ce ne accorgiamo. Non si attarda però solo sul momento della diagnosi. Egli si interroga anche sulla missione della Chiesa. E si chiede se come credenti abbiamo dato un contributo adeguato alla costruzione di un umanesimo che non sia solo confinato nel contesto ecclesiale, ma capace di ispirare, motivare e attuare nel mondo una convivenza civile più fraterna. Cosa ci dice il paradosso clamoroso di una tecnoscienza che con i suoi strumenti potrebbe consentire che l’intera umanità viva in condizioni molto migliori, mentre invece alimenta disuguaglianze e, più profondamente, “la malinconia di una vita che non trova destinazione all’altezza della sua qualità spirituale” (n. 3)?

La Lettera non si limita a riflessioni solo sul piano generale. Entra anche nel vivo degli argomenti. Ne accenno solo a qualcuno.

C’è il tema della bioetica globale. I processi della globalizzazione collegano sempre più strettamente le questioni che riguardano la vita e la salute alle condizioni sociali e ambientali. Quindi mettono in gioco la pratica della giustizia. Data la pluralità di culture e di saperi scientifici che interagiscono sempre più strettamente nel nostro mondo, occorre elaborare criteri operativi universalmente condivisibili che siano incisivi sulla determinazione delle politiche nazionali e internazionali. I diritti umani sono per molti aspetti il terreno su cui avviene questo confronto e occorre quindi favorire una loro corretta interpretazione, che, come ci diceva papa Benedetto XVI trovi un giusto equilibrio con i doveri.

Ci sono poi da aggiungere le cosiddette Tecnologie emergenti e convergenti, ossiale nanotecnologie, le biotecnologie, le tecnologie dell’informazione e le scienze cognitive. Esse dilatano in modo straordinario la nostra capacità di intervento sulla materia vivente, aprendo nuovi spazi alla nostra responsabilità. Questo vale per le terapie, ma anche per le ipotesi di potenziamento degli organismi viventi. Quello di cui è importante rendersi conto è che non si tratta solo di rendere più efficienti singole funzioni dell’organismo o di trasferirle su supporti artificiali; più profondamente è in gioco un nuovo rapporto con il mondo. Nuovi dispositivi informatici si annidano con crescente pervasività in vari ambiti di realtà, incluso il nostro corpo, che si trova sempre più esposto alle dinamiche della amministrazione secondo criteri della tecnoscienza (tecnocrazia). È una delle forme di quella che si suole chiamare biopolitica.  

Occorre quindi partecipare alla discussione e favorire una più ampia partecipazione possibile di tutti i soggetti coinvolti, in modo che lo sviluppo e l’impiego di queste straordinarie risorse sia orientato alla promozione della dignità della persona e al bene più universale. Insomma dobbiamo essere avvertiti nell’evitare sia il rischio del riduzionismo dell’umano, sia l’altro ancor più pericoloso di sostituzione dell’umano. L’utopia tecnocratica, per questa via, prepara la strada ad un potenziamento funzionale del quale ci immaginiamo padroni, mentre ne diventiamo schiavi.

Il Papa esorta, quindi, l’Accademia ad entrare nei territori della tecnica e a percorrerli con audacia e creatività e con attento discernimento. Il che significa non avere risposte prefabbricate perché dedotte da una teoria astratta precostituita, ma mettersi anzitutto in attento ascolto dei fenomeni nella loro complessità e impegnarsi in un serio lavoro di interpretazione per comprendere in che modo i nuovi ritrovati della scienza e della tecnica incidono sulla nostra umanità. Ed elaborare quindi criteri di valutazione che ci consentano di promuovere la dignità di ogni persona e di tutte le popolazioni che abitano il pianeta. È un lavoro che mette in gioco la coscienza morale, intesa non tanto come una funzione applicativa delle norme, ma come cuore della persona globalmente intesa, in cui non va separata la dimensione etica da quella spirituale.

La fede nella risurrezione incoraggia tutti, anche i non credenti, a non cedere sulla profondità dei nostri affetti e dei nostri legami, respingendo soluzioni di compromesso. La nostra vita comune – incantata e vulnerabile com’è – deve essere tema di alleanza per il riscatto per l’umano, non merce di scambio per il post-umano.

La data in cui la lettera del Papa è stata siglata è la festa dell’Epifania. Essa porta in sé un simbolo che ci può ispirare. Il vangelo cerca l’alleanza dei popoli, non la chiusura della comunità. I Magi sono il simbolo della condivisione dell’umano e della convergenza della sua sapienza intorno al Figlio eternamente generato di Dio, che si fa uomo e destinazione dell’uomo, per sempre. Essi sono in qualche modo accademici e ambasciatori dell’umano: scrutano i segni del cielo e della vita, si sottraggono alla complicità di Erode e sono lieti di donare le loro ricchezze al Bambino di Betlemme, Signore del cielo e della vita.

Intervento alla conferenza stampa della Pontificia Accademia per la vita – 15 gennaio 2019

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