LA PAROLA DI DIO OGNI GIORNO
“Non ci ardeva il cuore nel petto quando ci spiegava le Scritture?”
“Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi, quando ci spiegava le Scritture?”(Lc 24, 32), si dissero l’un l’altro i due discepoli di Emmaus al termine di quel giorno iniziato davvero tristemente. Avevano perso il loro maestro, e nel modo più tragico e infamante. Gli oppositori erano riusciti ad accusarlo di sovversione sino a farlo condannare a morte. Erano passati già due giorni dalla sua morte in croce. Tutto sembrava finito per sempre. Anche quella speranza di una nuova vita che aveva suscitato in loro e in tanti altri era andata in fumo. Non restava altro da fare che tornare a casa e riprendere la vita di sempre. Non era certo un ritorno esaltante. Più si allontanavano da Gerusalemme, più la rassegnazione raffreddava il loro cuore. Del resto, cosa potevano fare di fronte alla morte del loro maestro? Per di più la sua condanna aveva trovato un vastissimo consenso. La violenza contro quel giusto “che aveva fatto bene ogni cosa” sembrava aver prevalso.
Mentre pensavano queste cose uno straniero si avvicinò e si unì a loro. Durante il cammino, man mano che lo ascoltavano, i loro pensieri si scioglievano e il loro cuore si scaldava. Al termine del tragitto -durò quasi tutto il giorno- si sentivano incredibilmente più felici. Nel loro cuore si era riaccesa la speranza. Fu istintivo attaccarsi a quello straniero; volevano che restasse con loro. E lo pregarono di fermarsi a cena, visto che era ormai il tramonto. “Resta con noi!” gli dissero. Di fronte alla sua reticenza, insistettero, e lo convinsero. Accettò l’invito ed entrò a casa per cenare con loro. L’evangelista racconta che, mentre “spezzava il pane”, i loro occhi si aprirono e lo riconobbero: solo Gesù sapeva spezzare il pane in quel modo. Forse cercarono di abbracciarlo, di trattenerlo, ma egli scomparve. Non lo videro più con gli occhi, ma la speranza, che si era riaccesa nel loro cuore lungo il cammino, cominciò ad ardere robusta. Era sera; ma non poterono restare chiusi in casa. Quel fuoco dentro che bruciava come impazzito li spinse a ritornare immediatamente a Gerusalemme. Non potevano trattenere per sé quel che era successo. Dovevano raccontare agli altri discepoli rimasti nel cenacolo come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Gesù era risorto!
La Parola e l’Eucarestia
Sono ormai quasi quattro anni che le nostre comunità riflettono su questa Emmaus interpretandola come la nostra Domenica. La Lettera pastorale L’Eucarestia salva il mondo, ha sulla copertina l’icona di Emmaus a Terni. Sì, ogni domenica deve essere per noi Emmaus, ossia l’incontro con il Signore risorto. E in questo modo abbiamo cercato di vivere celebrazione dell’Eucaristica che della domenica è il centro. E ringraziamo il Signore per i frutti che questo cammino ci ha già fatto gustare. In questo cammino siamo stati confortati da illustri testimoni. Anzitutto ricevendo dal Papa Giovanni Paolo II la Novo Millennio Ineunte nella quale riproponeva alla Chiesa la centralità della domenica e in essa dell’Eucarestia, e poi Enzo Bianchi, il cardinale Martini e il cardinale Ruini che ci hanno aiutato a comprendere i diversi aspetti di questo mistero.
Certo, molto ci è chiesto ancora perché la celebrazione dell’Eucaristica sia sempre più “fonte e culmine” della nostra vita. Questo anno, dichiarato dal papa l’anno della Eucaristia, è un ulteriore invito a continuare sulla via intrapresa. La Lettera Apostolica Mane Nobiscum Domine, con cui si è aperto questo anno, inizia appunto con l’icona di Emmaus. L’intento è di sottolineare l’inscindibile rapporto tra la Parola e l’Eucarestia. Del resto lo stesso Luca pone il momento finale dello “spezzare il pane” come conclusione del lungo colloquio di Gesù che spiega ai due discepoli le Scritture. Tra Parola ed Eucaristica c’è continuità: ambedue sono il corpo di Cristo e a entrambe va la nostra venerazione. E’ una convinzione presente in tutta la tradizione della Chiesa, al punto che si può parlare dell’aspetto eucaristico della Scrittura. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dei Verbum, scrive: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli”(DV 21). E, nel testo conciliare sulla Santa Liturgia, si afferma: “La liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto”(Sacr Conc 56).
Purtroppo permane in alcuni una concezione riduttiva della Messa per cui si separa l’Eucarestia che dona la grazia, dalla Parola che offre solo dottrina e principi morali. No, c’è una “presenza” vera di Cristo anche nella Bibbia. La Costituzione conciliare sulla Santa Liturgia afferma che attraverso la Bibbia “Dio parla al suo popolo, Cristo annunzia ancora il vangelo” (33). La Sacra Scrittura perciò non è un semplice contenitore di regole morali, ma ci mostra Dio stesso che ci parla. Per questo dona un’energia di grazia, una potenza interiore, misteriosa ma realissima: la Parola è una forza che cambia, che guarisce, che trasforma, che salva. Ecco perché è necessario partecipare alla Messa sin dall’inizio per ascoltare con attenzione le Sante Scritture accogliendone la spiegazione nell’omelia. Se ai sacerdoti è chiesto di preparare con cura l’omelia, chi ascolta è invitato ad aprire il proprio cuore per accogliere la Parola del Signore che viene spezzata. Essa, dopo aver nutrito il nostro cuore, diviene preghiera rivolta a Dio. Per questo tante volte abbiamo insistito che la preghiera dei fedeli è la nostra risposta alle Sante Scritture proclamate durante la messa. Insomma, il lungo cammino dei due di Emmaus con quello straniero descrive alla lettera la prima parte della liturgia Eucaristica. Anch’essi, al termine del ascolto e dopo essersi sentiti toccati nel cuore, rivolsero al Signore la loro preghiera, una preghiera semplice ma diretta. Gesù li esaudì e spezzò il pane per loro.
Accogliere la Bibbia
Ma chi è quello straniero che si mise in cammino con i due discepoli? È Gesù, certo. È Gesù stesso che parla. Ecco perché quello straniero è anche la Parola di Dio, la Bibbia. Ed è straniera nel senso che la conosciamo solo in piccola parte, che la leggiamo poco, o l’ascoltiamo distratti, o anche non ci facciamo accompagnare lungo le nostre giornate come invece fecero i due di Emmaus. Vorrei che in questo tempo accogliessimo questa Parola che torna in mezzo a noi. Sì, vorrei che la Bibbia ci diventasse familiare. Essa ci riscalda il cuore e riaccende in noi la speranza di una vita nuova, di una esistenza più piena e più felice. Quante volte anche noi, come i due di Emmaus, iniziamo le nostre giornate in modo triste! I problemi e gli affanni di ogni giorno spesso ci travolgono. Talora non capiamo il senso di quel che facciamo. Altre volte non sappiamo quale futuro ci aspetta, o come sarà l’avvenire dei nostri figli. E sono tristi le giornate anche per tante famiglie che fanno fatica a tirare avanti; per tanti che restano soli, senza conforto e senza aiuto; per quelli che hanno perso il senso stesso della vita; per i popoli che sono schiacciati dalla fame, dalla malattia, dalla guerra; per questo nostro mondo travolto dalle guerre e dal terrorismo. Potremmo dire che anche questo secolo XXI ha iniziato il suo cammino in maniera triste, anzi tristissima.
E’ facile rassegnarci e ritirarci nel nostro piccolo mondo, ritornando nelle tante nostre piccole Emmaus. Sì, ciascuno è tentato di tornare nel proprio villaggetto, al proprio piccolo orizzonte, alla propria piccola vita. Del resto, anche noi diciamo: cosa posso fare di fronte a quel che sta accadendo? Cosa posso fare di fronte alla guerra e alle minacce di terrorismo? E la rassegnazione gela la speranza di una vita nuova, di un mondo più giusto e più felice. E continuiamo a vivere senza sognare più una vita più bella. E la rassegnazione sembra raddoppiare la sua forza. Prima si diceva che il mondo era sempre andato così. Oggi si aggiunge, ancor più rassegnati, che va peggio, ma che ci si può fare?
Ogni giorno
La Bibbia torna a parlarci. E vuole tornare a parlarci ogni giorno. Sapete che è ormai una consuetudine bella nella nostra Diocesi fare la comunione sotto le due specie per gustare con più chiarezza l’amore di Gesù. Ebbene, come ci nutriamo abitualmente con il Pane e con il Calice, altrettanto abitualmente dovremmo nutrirci con la Parola di Dio. Attraverso le Scritture, infatti, è il Signore stesso che ci parla, come fece con i due di Emmaus. Anch’essi non lo vedevano, come noi non lo vediamo quando ascoltiamo la Bibbia, ma con loro possiamo lasciarci toccare la mente e il cuore mentre ascoltiamo le sante parole. Ma è indispensabile leggere direttamente la Bibbia, frequentarla come i discepoli frequentavano Gesù. San Francesco d’Assisi lo aveva capito. E per gustare fino in fondo la Sacra Scrittura ne apprendeva molte parti a memoria. E, anche quando non poteva partecipare alla Messa, ascoltava la pagina evangelica del giorno e al termine la baciava con devozione (Bibbia e spiritualità, p. 280).
Giovanni XXIII, da patriarca di Venezia, iniziava così la sua lettera pastorale sulla centralità della Bibbia nella vita cristiana: “Voi comprendete, miei diletti fratelli e figli, come tutti i richiami alla Sacra Scrittura che hanno ispirato questa mia comunicazione quaresimale, rispondano non ad uno scrupolo, ma al sentimento di un dovere e di un impegno preciso e grave, impostomi dalla responsabilità del mio ministero pastorale. Insegnare la Sacra Scrittura, particolarmente il Vangelo al popolo, rendere questi figliuoli, commessi alle nostre cure, familiari al libro sacro, è come l’alfa delle attività di un vescovo e dei suoi sacerdoti. L’omega – vogliate concedermi questa immagine dell’Apocalisse – è rappresentato dal calice benedetto del nostro altare quotidiano. Nel libro, la voce di Cristo sempre risonante nei nostri cuori; nel calice, il sangue di Cristo presente a grazia, a propiziazione, a salute nostra, della santa Chiesa e del mondo. Le due realtà vanno assieme: la Parola di Gesù e il Sangue di Gesù. Fra l’una e l’altro seguono tutte le lettere dell’alfabeto: tutti gli affari della vita individuale, domestica, sociale; tutto ciò che è importante pure, ma è secondario in ordine al destino eterno dei figli di Dio, e che non vale se non in quanto è sostenuto dalle due lettere terminali: cioè la Parola di Gesù sempre risonante in tutti i toni nella Santa Chiesa dal libro sacro: ed il sangue di Gesù nel divino sacrificio, sorgente perenne di grazie e di benedizioni”.
Questa lunga citazione esprime con una forza spirituale non comune quanto la Parola e il Calice siano l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine, della vita della Chiesa, della vita di ciascuno di noi. La nostra Chiesa diocesana, in questi ultimi anni, si è fermata a lungo a riflettere sul Calice, ossia sulla Eucarestia. Vorremmo ora fermare la nostra attenzione sulla Parola di Dio “sorgente pura e perenne di vita spirituale”(DV 21). In questi ultimi decenni si è fatto un notevole cammino nelle comunità cristiane relativamente alla conoscenza della Bibbia. Resta però ancora molta strada da fare perché diventi il Libro dei credenti, il nostro Libro, il Libro di ciascuno di noi. Vorremmo inserirci nella lunga tradizione delle generazioni cristiane che hanno creduto nella Parola del Signore e che l’hanno seguita quotidianamente per crescere nella conoscenza e nell’amore di Dio. Scrive l’apostolo Paolo a Timoteo: “Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”(2Tm 3, 16).
Sono passati esattamente 40 anni dalla Costituzione Dei Verbum. Con questo testo il Concilio Vaticano II richiamava la Chiesa alla centralità della Parola di Dio. Pur essendo il testo conciliare più breve, è quello che, assieme alla Costituzione sulla Liturgia, ha portato cambiamenti più profondi nella vita delle comunità cristiane. Sono significative queste parole della Costituzione conciliare: “Il santo concilio esorta con forza e insistenza tutti i fedeli ad apprendere ‘la sublime scienza di Gesù Cristo’(Fil 3, 8) con la frequente lettura delle divine scritture. ‘L’ignoranza delle scritture infatti è infatti ignoranza di Cristo’. Si accostino dunque volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della chiesa lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l‘uomo; poiché ‘gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini”(25).
E’ vero che il Vaticano II ha ridato la Bibbia nelle mani dei fedeli. Ma è senza dubbio necessario un ulteriore impulso alla sua lettura, come pure una sua rinnovata presenza nell’intera vita pastorale e spirituale. C’è ancora poca Bibbia nella cultura dei cristiani. La Scrittura deve riprendere il primo e fondamentale posto nella vita della Chiesa. Anzitutto un posto fisico, direi. Sì, nelle nostre chiese è necessario avere un posto di onore per la Bibbia. Talora, in qualche parrocchia, si fa fatica a trovare una Bibbia. Se è doveroso che ogni chiesa abbia i libri liturgici, in particolare i Lezionari, è ancor più evidente che deve esserci anche una Bibbia. Ed è bene che si metta in un luogo degno e possibilmente ben visibile. La Bibbia è come il tabernacolo della Parola di Dio: va quindi onorata e aperta, come accade con il tabernacolo, perché tutti possano nutrirsene. E ciascun cristiano deve avere la sua propria Bibbia. E’ un’abitudine da introdurre con maggior vigore: ciascuno abbia la sua Bibbia personale, quella che legge ogni giorno. È bene perciò trovare occasioni per regalare la Bibbia; possono essere occasioni propizie, ad esempio, le celebrazioni della Cresima e del Matrimonio.
La Parola di Dio fa la Chiesa
Della Parola di Dio si deve dire, come per l’Eucarestia, che essa “fa la Chiesa”, ossia la costruisce, la edifica. Non solo quindi non possiamo fare a meno della Bibbia, ma ad essa si deve continuamente tornare, come ad una fonte inesauribile di conoscenza e di amore. L’apostolo Paolo scrive ai romani che “la fede viene dall’ascolto”(Rm 10, 17), ossia dalla predicazione della Parola di Dio. La comunità cristiana nasce dall’ascolto della Parola e da essa è custodita, alimentata, nutrita, edificata e sostenuta sino a diventare essa stessa una parola vivente, come lo stesso apostolo diceva ai cristiani di Corinto: “La nostra lettera siete voi, una lettera di Cristo, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente”(2Cor 3,3). La Chiesa (e ogni credente) è chiamata ad essere essa stessa Parola di Dio incarnata nella vita di tutti i giorni. La Sacra Scrittura perciò è il fondamento su cui poggia al Chiesa; un fondamento vivente perché continuamente sostiene e rigenera, illumina e guida i credenti, li rende forti e buoni, sapienti e pronti alla testimonianza sino all’effusione del sangue.
Ma questo chiede l’umiltà dell’ascolto. La Bibbia resiste ai superbi e si apre agli umili. Sant’Agostino dice esplicitamente che la sua conversione iniziò quando accettò di farsi piccolo di fronte ad esse, quando abbandonò la sua superbia di studioso e letterato: “Ed ecco vedo qualcosa di oscuro ai superbi ma allo stesso tempo non evidente ai bambini; un ingresso umile, un interno sublime e carico di misteri; e io non ero tale da sapervi entrare o da piegare il collo ai suoi passi. Non avevo allora i sentimenti di oggi, quando osservai quella scrittura: essa mi parve indegna, a paragone della dignità di Tullio. Il mio orgoglio rifuggiva dalla sua modestia e il mio sguardo non penetrava al suo interno. Essa era invece tale da crescere con i piccoli, ma io non volevo essere piccolo”(Conf. III, 5,9).
Nella Bibbia Dio e l’uomo si cercano
Un sapiente ebreo diceva: “La Bibbia parla non solo di ricerca di Dio da parte dell’uomo, ma anche di ricerca dell’uomo da parte di Dio”(Dio alla ricerca dell’uomo, Roma 1983,p 156). Essa tocca le corde profonde dell’uomo e della sua storia. E il pastore Bonhoeffer diceva: “Chi ha ricevuto la parola di Dio deve cominciare a cercare Dio; non può fare diversamente. Quanto più la parola di Dio ci si mostra in maniera chiara e profonda, tanto più vivo diventa in noi il desiderio di conoscere in modo perfettamente chiaro la profondità insondabile di Dio stesso.”(DBW 15, 518). La Bibbia ci aiuta a scoprire il vero volto di Dio, del Dio di Gesù che è un Padre che non cessa di rincorrerci, come se non potesse fare a meno di noi. E mentre ci mostra questo Dio in continua ricerca dell’uomo ci svela anche qual è il nostro vero volto. Chi legge le pagine bibliche apprende pian piano anche a leggere se stesso e a scoprirsi dentro una storia più grande che è, appunto, la storia del Signore con gli uomini. Nella Bibbia è nascosta anche la storia di ciascuno di noi. Tutti possiamo ritrovarci nelle sue pagine. L’antica tradizione rabbinica diceva: “Gira e rigira la Torah, perché tutto vi è in essa e anche tu stesso sei in lei tutto intero”(Abot, 5,22). Sentiremo vicende che sembrano parlare di noi, dei nostri tradimenti e delle nostre speranze, delle nostre angosce e dei nostri sogni, delle nostre preghiere e dei nostri drammi, del nostro presente e del nostro futuro. Gregorio Magno, a ragione, diceva: “La Sacra Scrittura si presenta agli occhi della nostra anima come uno specchio, in cui possiamo contemplare il nostro volto interiore”.
In verità la lettura della Bibbia fa bene anche a chi non crede. Dalle sue pagine si apprende quel primato della persona umana che continua a irrorare non poche culture contemporanee. Le sue parole stanno alla base della radicale uguaglianza di tutti gli uomini, dell’incancellabile dignità di ogni persona e della insopprimibile universalità della salvezza perché presenta un Dio padre di tutti. La lettura della Bibbia aiuta a comprendere la proprie radici e nello stesso tempo impegna al dialogo con l’Altro. Per questo, alcuni – anche del mondo laico – suggeriscono che la Bibbia venga studiata in tutte le scuole come testo che ha sostenuto in passato la nostra storia e che può ispirare anche il nostro futuro.
La Bibbia il mio libro di preghiera
Fin qui ho cercato di offrire qualche spunto per aiutarci a comprendere la centralità e la bellezza della Bibbia per la nostra vita. L’interrogativo che vorrei porre nel cuore di ciascuno di noi è il seguente: Come far diventare la Bibbia il libro della nostra preghiera? In questo interrogativo è nascosto il senso dell’anno pastorale che viene. Come rendere la Bibbia il mio libro di preghiera? È ovvio che la prima cosa richiesta perché la Bibbia diventi il libro della preghiera è che ciascuno abbia la sua propria Bibbia che possa facilmente portare con sé anche quando è in viaggio. Anzi, mai si dovrebbe dimenticare tra le cose che ci accompagnano. Ed è questa Bibbia che apriamo ogni giorno per leggerne un brano. Da questa lettura nasce la preghiera: le parole stesse della Bibbia diventano le parole della nostra preghiera. E’ come se il Signore ci donasse, attraverso la Scrittura, le parole per rivolgerci a Lui. Per questo tante generazioni cristiane si sono nutrite nella preghiera leggendo la Bibbia. Ne hanno tratto persino una sorta di metodo di preghiera che è stato chiamato lectio divina. Si tratta appunto di una lettura spirituale (ossia, fatta di preghiera) della Bibbia. Gli stessi vescovi italiani nel testo Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia hanno voluto riproporla: “La pratica della lectio divina, intesa come continua e intima celebrazione dell’alleanza con il Signore mediante un ascolto orante delle Sacre Scritture, è capace di trasformare i nostri cuori e di iniziare ognuno di noi all’arte della preghiera e della comunione”(49).
La lettura spirituale della Bibbia permette di percepire nelle parole umane del testo quelle che Dio vuole dirci. Si potrebbe dire che la Lectio divina è una traduzione quotidiana della Liturgia della Parola della Santa Messa che ne è l’esempio più alto e chiaro. Si tratta cioè di leggere le Scritture come avviene nella Messa o, se volete, come Gesù le spiegava ai due di Emmaus. Per questo vorrei che tutti potessimo leggere in questa linea la Bibbia.
La lectio divina
È una via semplice di lettura spirituale della Bibbia, alla portata di tutti, dei piccoli e dei grandi, e può essere fatta da soli o in famiglia, in Chiesa o altrove. Anche il modo è facilmente praticabile da tutti. E’ composta di quattro momenti successivi che aiutano a “conoscere il volto di Dio nelle parole di Dio”, come scriveva Gregorio Magno: la lettura del testo, ossia cosa ha voluto dire l’autore; la meditazione, ossia cosa dice a me quel che ho letto; la preghiera, ossia cosa rispondo a Dio che mi ha parlato; e, infine, la contemplazione, ossia godere di questa intimità con il Signore.
La prima tappa è la lettura. Deve essere possibilmente quotidiana. Ed è utile prendere un libro dell’Antico o del Nuovo Testamento (ad esempio, Genesi, Esodo, un Vangelo, una Lettera) e farne una lettura continuata, brano dopo brano, ogni giorno. Bisogna leggere il testo con calma, cercando di coglierne anzitutto il senso voluto dall’autore (è proficuo pertanto leggere qualche introduzione al libro che si sceglie di leggere per coglierne la collocazione). Nella lettura è bene mettere in rilievo il contesto, i personaggi, l’ambiente, i sentimenti, le immagini, cercando anche i passi paralleli che sono nelle altre parti della Bibbia, e poi sottolineare quello che ha più colpito. Talora non basta leggere il brano una sola volta per comprenderlo. In ogni caso è necessaria una lettura assidua per acquisire la necessaria familiarità col mondo della Scrittura e una maggiore sintonia della propria mente e del proprio cuore con la vicenda biblica. Il rapporto con la Bibbia segue le regole di ogni rapporto umano: la frequentazione porta alla conoscenza, la conoscenza alla familiarità e la familiarità all’amore. L’incostanza nel frequentarsi, in ogni situazione della vita, porta sempre all’affievolimento del rapporto, per finire poi nell’indifferenza reciproca.
Dopo la lettura viene la meditazione. Una volta compreso quello che l’autore ha voluto dire, è necessario ascoltare più profondamente il testo. Le pagine bibliche infatti hanno come due sensi, uno strettamente letterale o storico, e un altro, più profondo, chiamato senso spirituale. La meditazione consiste nella ricerca di questo secondo senso. La meditazione ci fa diventare contemporanei del testo biblico. È quel che il grande teologo K. Barth diceva: il cristiano ha la Bibbia in una mano e il giornale nell’altra. La meditazione insomma attualizza, incarna, la Parola nell’oggi.
“La lettura della Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo”(DV, n. ). Questa affermazione della “Dei Verbum” introduce bene al terzo passaggio della lettura spirituale. In effetti, questo itinerario spirituale non può fermarsi alla meditazione, ossia al momento che fa scoprire cosa la Bibbia dice a me. La risposta è la preghiera. Sant’Agostino diceva: “Quando leggi la Scrittura, Dio parla a te; quando preghi, tu parli a Dio”. La lettura della Bibbia è come circondata dalla preghiera. Essa viene compresa pregando e pregando si entra pienamente nel dialogo con Dio. E la preghiera si sostanzia delle parole e delle frasi lette e meditate. Sant’Agostino, spiegando i Salmi, suggerisce: “Se il testo è preghiera, pregate; se è gemito, gemete; se è riconoscenza, siate nella gioia; se è un testo di speranza, sperate, se esprime il timore, temete. Perché le cose che sentite nel testo biblico sono lo specchio di voi stessi”. E il pastore Bonhoeffer, con sapienza spirituale, parla dei salmi come parola di Dio ma anche come preghiera rivolta a Dio: “Il salterio è il libro di preghiera di Gesù Cristo nel senso più rigoroso. Egli ha pregato il salterio, e questo è divenuto la sua preghiera silenziosa sino alla fine dei tempi. Non è forse chiaro ora perché il salterio sia al tempo stesso preghiera a Dio, proprio per il fatto che qui ci viene incontro il Cristo orante? Gesù Cristo prega i salmi nella sua comunità. E’ anche la comunità a pregare, è anche il singolo, ma chi prega lo fa in quanto Cristo prega in lui; non preghiamo a nome nostro, ma in nome di Gesù Cristo”(DBW 5, 38). La preghiera è come far tornare a Dio la Parola che egli ci ha rivolto.
E’ bella la testimonianza di un vescovo ortodosso, Anthony Bloom, il quale a proposito della preghiera come dialogo, scrive: “Per me pregare significa mettersi in rapporto. Io non ero credente; un bel giorno, scoprii Dio ed egli mi apparve improvvisamente come valore supremo e pienezza di vita, ma al tempo stesso come persona. Credo che la preghiera non possa dire assolutamente nulla a chi non ritiene di avere un tu al quale indirizzare la propria lode. Non si può insegnare a pregare a una persona che non avverte la presenza del Dio vivente”. Insomma, aggiungeva il vescovo, bisogna trattare Dio come un vicino di casa, come una persona vicina, e stimare questa conoscenza allo stesso modo in cui si considera il rapporto con un fratello o un amico.
L’ultima tappa di questo itinerario di preghiera è la contemplazione. E’ un termine che può sembrarci lontano, quasi medioevale, in ogni caso poco adatto a persone abituate alla concretezza. In verità, la preghiera porta sempre ad andare oltre se stessi. La preghiera è sempre un’estasi. Non a caso perciò anche la lettura spirituale trova il suo vertice e frutto naturale nella contemplazione, ossia nel momento in cui la Parola di Dio che abbiamo letta e meditata viene gustata con il cuore. La contemplazione ci porta all’intimità e all’abbandono al Signore. E’ quel che promette l’Apocalisse a chi apre il cuore al Signore: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me… lo farò sedere presso di me, sul mio trono”(Ap 3, 20-21). E’ quel che accadde ai due di Emmaus; dopo un lungo cammino di ascolto e di riflessione sgorgò dal loro cuore una preghiera: “Resta con noi, perché si fa sera”. E quindi, mentre erano a cena, “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”, scrive Luca.
La Bibbia nella vita della parrocchia
Perché tutto ciò avvenga è necessario che nelle nostre comunità si risvegli l’attenzione per la Bibbia. UN’attenzione che deve permeare tutti campi della vita della Chiesa, la liturgia, la carità, la catechesi e l’intero campo della pastorale (familiare, giovanile, anziani, e così oltre). Non si tratta, come si può ben comprendere, di un impegno temporaneo e saltuario, anche perché riguarda la stessa vita spirituale di ciascuno di noi. La Bibbia diventi un Libro sempre più familiare ai credenti e anche a chi si è allontanato dalla fede. Sarà bene promuovere nei vari ambiti (penso alle scuole, ai luoghi di cura, alle case per anziani…) iniziative che aiutino a conoscere la Bibbia come fonte della vita spirituale e culturale. E’ un impegno che riguarda le parrocchie e le diverse comunità perché si educhi alla preghiera con la Bibbia. E’ certamente lodevole il diffondersi della preghiera delle Ore, che sorge in varie parti della diocesi. E’ un modo antico e sempre fruttuoso di pregare con le Sante Scritture. E’ opportuno anche favorire la crescita di piccoli gruppi di riflessione sulla Bibbia, come già esistono in alcune nostre parrocchie.
L’ambito della Catechesi deve essere in certo modo privilegiato. E’ opportuno che i corsi di catechesi (per l’iniziazione cristiana, per la preparazione ai sacramenti, per i fidanzati, per i giovani e per gli adulti, per gli anziani) siano sostenuti da un robusto incontro con la Sacra Scrittura. Non mi dilungo su questo, perché sarà opportuno riflettervi con maggiore puntualità. Ma non c’è dubbio che lo stesso linguaggio biblico, con la sua valenza narrativa e simbolica, è particolarmente adatto per approfondire la fede. Sappiamo che la fede nasce dall’incontro con Gesù. Pertanto, prima di essere spiegata, la fede va raccontata come appare appunto nelle pagine bibliche. In ogni caso la catechesi va decisamente centrata su Gesù e quindi sui Vangeli.
La Bibbia, la Madre di Gesù e le donne
Maria, la madre di Gesù, è l’esempio di colei che ascolta il Signore. E il suo cuore è stato il primo terreno nel quale la Parola di Dio ha attecchito sino a produrre il cento. Il Vangelo dell’annunciazione è l’icona del credente. Maria sta in preghiera e apre il cuore all’angelo che le parla in nome di Dio; ascolta le sue parole e resta turbata. Inizia quindi un dialogo serrato e grave tra lei e l’angelo per comprendere il senso di quelle parole che le sconvolgevano letteralmente la vita. Maria contempla il mistero che si sta attuando in lei e ne resta rapita. E, anche se non vede tutto chiaro, anzi prevede difficoltà incredibili, dice: “Avvenga di me quello che hai detto”(Lc 1, 38).
Questa pagina evangelica che descrive l’inizio dell’Incarnazione, delinea l’esperienza spirituale di ogni credente. Maria è la prima tra tutti noi; la prima a credere alla parola di Dio e la prima gustarne la forza, come le disse la cugina Elisabetta: “Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1, 43). E, proprio perché ha accolto il Verbo nel suo grembo, è anche la prima a seguirlo sin sotto la croce, e la prima ad essere assunta in cielo. Tutto in Maria è segnato dall’ascolto della Parola di Dio. “L’esistenza di Maria è un invito fatto alla Chiesa a radicare il suo essere nell’ascolto e nell’accoglienza della Parola di Dio, perché la fede non è tanto la ricerca di Dio da parte dell’essere umano, ma piuttosto il riconoscimento da parte dell’uomo che Dio viene a lui, lo visita e gli parla”(Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, n.15).
E’ il mistero di Maria. Ed è importante coglierlo anche in rapporto al tema su cui stiamo riflettendo. Maria, al di là delle prospettive ministeriali che ci sono nella Chiesa, rappresenta l’essenza del credente, ossia ciò che nel credente dura per sempre. Sì, i ministeri e i carismi, necessari alla vita della Chiesa, termineranno; quel che mai terminerà è l’ascolto e la contemplazione del Signore. E’ appunto quel che Maria ha vissuto e continua a vivere e a mostrare a ciascuno di noi. L’ascolto definisce la dignità perenne dei cristiani. Da esso perciò dipende tutta la vita, quella presente e quella futura. In Maria appare evidente quel principio femminile nella Chiesa che nel rapporto con la Parola di Dio si manifesta in modo chiaro. Senza ripercorrere le tappe della presenza di Maria nei Vangeli e la sua fedeltà nell’ascolto del Figlio, resta decisivo anche per quel che dice l’evangelista Luca quando nota che Maria “serbava tutte queste cose nel suo cuore”(Lc 2, 51). Per questo Gesù elogiava ancora una volta Maria quando rispose alla donna che encomiava la madre che lo aveva allattato: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”(Lc 11,28). E si deve ugualmente applicare a lei quel che Gesù rispose a coloro che gli comunicarono la presenza della madre e dei familiari: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”(Lc 8, 21).
Accanto a Maria ci sono poi anche le altre donne che stavano al seguito di Gesù. Una cosa appare chiara nelle narrazioni della passione di Gesù: nessuna donna lo ha tradito; al contrario dei discepoli che tutti, invece, lo hanno abbandonato. Si potrebbe persino dire che l’ascolto è tipicamente femminile, perché non concerne di per sé il ministero, non riguarda l’operare e neppure il fare, non attiene al produrre e neppure al pretendere, ma anzitutto all’accogliere. Solo infatti l’accoglienza assoluta, senza porre limiti e condizioni, rende capaci di generare una vita nuova. Ed è per questo che Maria è stata anche la Madre del Salvatore.
Maria non è forse un esempio per le donne, le mamme, le nonne, perché prendano a cuore l’impegno a far crescere l’amore per la Bibbia soprattutto nelle famiglie e nelle comunità parrocchiali? Non è un caso che nell’impegno della catechesi prevalga il numero delle donne catechiste. E non è neppure un caso che nelle famiglie siano anzitutto le donne a sostenere e a difendere l’importanza della dimensione religiosa. Come è affidato a loro il nutrimento del corpo dei figli, siano anch’esse le prime a nutrire anche il cuore dei figli con la Parola di Dio. Sia per loro un vanto. E il Signore saprà ricompensarle. Come non ricordare, ad esempio, che proprio le nonne salvarono la fede cristiana negli anni bui della persecuzione religiosa in Russia? Talora si sente dire, con tono dispregiativo, che la religione è delle donne. Quest’affermazione è piuttosto un’accusa all’insensibilità degli uomini, alla loro durezza e ad una concezione fredda della vita. Loro, le donne, arrivano prima al pane Eucaristico e al pane della Parola forse perché si abbandonano di più all’amore.
L’entusiasmo per la Bibbia
Nel concludere vorrei prendere in prestito le parole che Giovanni XXIII pronunciò prendendo possesso della Basilica di san Giovanni in Laterano: “Se tutte le sollecitudini del ministero pastorale ci sono care e ne avvertiamo l’urgenza, soprattutto sentiamo di dover sollevare da per tutto e con continuità di azione l’entusiasmo per ogni manifestazione del libro divino, che è fatto per illuminare dall’infanzia alla più tarda età il cammino della vita”. Sì, sollevare l’entusiasmo per la Bibbia ovunque e a qualsiasi età. È una questione di cuore. Sì è come una passione nuova da suscitare tra noi tutti perché ciascuno di noi rinnovi e cresca nel suo rapporto con la Bibbia. Cantiamo con il salmista: “Quanto amo la tua legge, Signore; tutto il giorno la vado meditando. Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici, perché sempre mi accompagna. Sono più saggio di tutti i miei maestri, perché medito i tuoi insegnamenti. Ho più senno degli anziani, perché osservo i tuoi precetti. Tengo lontano i miei passi da ogni via di male, per custodire la tua parola. Non mi allontano dai tuoi giudizi, perché sei tu ad istruirmi. Quanto sono dolci al mio palato le tue parole: più del miele per la mia bocca. Dai tuoi decreti ricevo intelligenza, per questo odio ogni via di menzogna. Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. Ho giurato, e lo confermo, di custodire i tuoi precetti di giustizia”(Salmo 119, 97-106).