Introduzione al libro “Giunio Tinarelli, l’uomo più felice al mondo”

Introduzione al libro "Giunio Tinarelli, l'uomo più felice al mondo"

Era una giornata qualsiasi di fine gennaio 2004 e a Temi arrivò la notizia della chiusura del reparto del Magnetico nelle acciaierie. Era come un fulmine a ciel sereno. La decisione aziendale, presa solo in base a dubbie logiche economiche, significava la crisi per centinaia di famiglie. La proprietà delle acciaierie ternane avrebbe chiuso per gli interessi internazionali di una multinazionale: così come anni addietro, per ragioni di convenienza, avevano comprato, adesso, per altre ragioni di opportunità avrebbero chiuso.
Questa decisione coinvolgeva non solo la vita economica ma l’identità stessa della città. Infatti, quali che fossero le ragioni economiche che avevano indotto la dirigenza dell’acciaieria a decidere per la chiusura, era chiaro che non avevano avuto presenti a sufficienza le ragioni di quelle centinaia di famiglie. Insomma, quelle persone la loro vita, le loro scelte, i loro affetti, il loro nome contavano meno degli interessi aziendali.
Del resto, cosa controbattere a chi sostiene che un’azienda esiste non per la
vita e la dignità di chi ci lavora, ma per i soldi che produce altrove: in borsa, per gli azionisti, per i proprietari? Non c’è dubbio che proprietari, azionisti e investitori hanno i loro diritti. Ma anche gli operai hanno i loro. Inalienabili.
Nella battaglia per annullare o almeno per mitigare quella decisione Temi aveva e ha molte risorse. Si sono mobilitati in tanti: il Presidente della Repubblica, il Papa, i sindacati, tante altre personalità e molta gente umile e sconosciuta, ma solidale. E c’è stato il miracolo: non la soluzione definitiva, ma un cambio di atteggiamento, l’apertura di una trattativa verso una decisione il più possibile comune e, quindi, rispettosa dell’identità dei nostri operai. Quando seppi di questo cambio di opinione, venne spontaneo parlare di “miracolo”. Era il 14 febbraio 2004, ricorrenza di san Valentino, il patrono della città di Terni. Nell’omelia dissi:.. “Facciamo bene a raccoglierci qui perché è avvenuto un miracolo. È stata allontanata una decisione ingiusta e crudele che ci era stata freddamente comunicata”.
La coincidenza non era casuale. San Valentino aveva aiutato la sua città. Ma anche Giunio Tinarelli, operaio delle acciaierie, aveva certamente seguito e aiutato la “sua” fabbrica.
A lui sono dedicate le pagine di questo libro. Giunio aveva lavorato nelle acciaierie con tutta la forza e l’entusiasmo della propria giovinezza, febbraio 1928 all’agosto 1937. Quando vi entrò aveva sedici anni. Ne aveva venticinque quando dovette lasciare, vittima di una malattia devastante che nel giro di un anno l’avrebbe condotto all’immobilità totale e, vent’anni dopo, a soli quarantaquattro anni, se lo sarebbe portato via.
Non è stato una persona fuori dal comune, a prima vista. E’ nato in una famiglia umile, non ha studiato più del minimo, ha contato su scarse risorse economiche, gli è venuta pure meno la salute. Eppure ci sono fondati motivi per ritenerlo l’uomo più felice del mondo, come dice il titolo di questo libro. Era felice, allegro, viveva la sua vita con una gioia contagiosa. La gente non riusciva a capire da dove gli venisse quell’ energia travolgente: non si poteva far altro che sentirla, goderla, farla propria, lasciarsi contagiare.
Lui diceva di sé che aveva ricevuto un compito: quello di essere operaio. Se, per ragioni che non sapeva, Dio aveva deciso anche di metterlo in quella situazione di infermità, ebbene, lui l’avrebbe vissuta come meglio sapeva, facendo di tutto per rispondere alla volontà di Dio, per non lasciarsi sconfiggere dalla rassegnazione. È così che Tinarelli rimane operaio per tutta la vita: prima, delle acciaierie, poi di Dio e del dolore. E’ stato un giovane attivissimo per tutta la vita, malgrado la rigidità del
suo corpo. Anzi, potremmo dire che mentre il suo corpo perdeva forza e si irrigidiva, il suo cuore si “rafforzava e il suo amore si modulava e si allargava”. Anche se immobile nel corpo, ha promosso opere assistenziali e pellegrinaggi, ha confortato centinaia e centinaia di persone come lui, ha scritto lettere, ha fatto telefonate, ha viaggiato, si è dato da fare con tutto se stesso.
E l’ha fatto perché si è lasciato travolgere dall’amore. Non ha
posto ostacoli all’amore che il Signore, giorno dopo giorno, gli donava. E Giunio scoprì, anche per sé, che la felicità consisteva appunto, in questa generosità di amore. E fu davvero un uomo felice.
Credo che il mondo d’oggi abbia bisogno di esempi come questo. Giunio Tinarelli insegna a tutti noi che il fondamento della felicità non viene dal di fuori, da ciò che gli altri e le circostanze ci riconoscono. Non viene dal successo esteriore o dal benessere. Essere famosi, riveriti, non significa essere felici. Avere tutto e poter consumare ogni cosa non significa essere felici. Essere ossessionati dalla salute del proprio corpo non significa essere felici. Giunio Tinarelli ci insegna che la felicità consiste nello spendere la propria vita per gli attori, soprattutto per i più deboli, per i malati, come lui ha fatto. E una verità semplice, e tuttavia essenziale. Per questo, anche un umile operaio di acciaieria, che si lascia trascinare dal Vangelo dell’amore, può divenire un esempio per tutti noi, anche oggi. Forse soprattutto oggi, in mezzo a una società come quella di questo inizio di millennio che sembra essere attenta solo all’esteriorità e al benessere per sé stessi. Spero di vedere presto Giunio Tinarelli sugli altari, in modo
che sia facile a tanti scorgerne l’esempio e rivolgersi al suo aiuto:
sarà un santo laico e lavoratore, adatto ai nostri tempi. Ma sin da
ora può aiutare tante persone a scoprire la verità di quelle parole di Gesù riportate da san Paolo: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Tinarelli, queste parole, le ha vissute e le ha gustate alla lettera. Lo si capiva da quello che diceva e dall’espressione dei suoi occhi. Nonostante fosse inchiodato sul letto dalla malattia ha continuato a spargere amore, consolazione e speranza a coloro che gli si avvicinavano. Dal suo esempio possiamo apprendere la forza del Vangelo dell’amore, la bellezza del Vangelo della felicità. Anche nelle difficoltà, nella povertà, nella vecchiaia, nella malattia, tutti, se ci lasciamo trasportare dall’amore, possiamo diventare uomini e donne che rendono felici gli altri. Prima operaio delle acciaierie poi operaio dell’amore, Tinarelli ha cercato sempre, “con l’aiuto di Dio, di trovare la sua felicità aiutando gli altri”, soprattutto i malati. Quelli che 10 hanno conosciuto e frequentato l’hanno capito. Era il suo segreto. Spero che in tanti possiamo cogliere ancora oggi il segreto di Giunio. E il segreto di sempre: solo nell’amore, solo nel volersi bene si trova la via della felicità. E della santità.