La Chiesa non ha interesse «ad alcuna battaglia astratta sul tema eutanasia»

di Domenico Agasso

La Chiesa non ha interesse «ad alcuna battaglia astratta sul tema eutanasia». Certo non può «avallare che si tolga la vita a chiunque e, ovviamente, che nessuno se la tolga da se stesso». Ma riconosce che «un conto è uccidere e un altro conto è lasciar morire», nel senso che «va evitato l’accanimento terapeutico».

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, entra nel dibattito suscitato dall’appello di Mario, che da dieci anni vive a letto paralizzato da una lesione del midollo spinale dovuta a un incidente e che invoca il suo diritto a morire con dignità e ad avere il farmaco letale dell’Asp.

Eccellenza, che effetto le fanno le sue parole disperate?
«Tutti dobbiamo avere grande rispetto per Mario e per i tanti altri che vivono una dolorosa condizione come la sua. Sono innumerevoli e spesso a carico delle famiglie. La richiesta di Mario va esaminata attentamente».

In che modo?
«Non lo conosco direttamente e faccio fatica a rispondere. Certo è che tremano le vene ai polsi per trovare le parole adeguate. In altri casi abbiamo parlato di cure palliative come uno strumento che aiuta a prendersi cura di tali malati: con il loro bagaglio di scienza e di assistenza, di umanità e di delicatezza hanno mostrato la loro efficacia.
I dati statistici ci dicono che laddove vengono applicate si riduce drasticamente la richiesta di eutanasia. Mi auguro che vengano più conosciute in Italia e rese un servizio pubblico gratuito per tutti».

Proviamo però a chiarire la complessa questione: il tema è l’eutanasia legale, ma anche le norme sul fine vita, con le Asl che dovrebbero garantire il diritto di ricorrere al suicidio assistito previa valutazione di un comitato etico, il che non avviene, ed è questa la denuncia di Mario: lei come descrive la situazione?
«Sul tema dell’eutanasia legale sono convinto che non si debba collaborare con il “lavoro sporco della morte”, ossia provocarla attivamente.
Amare vuol dire volere il bene dell’altro, volere che viva, che non soffra, che non sia abbandonato. E qui si apre il campo vasto della “terapia del dolore” che deve continuare a essere sviluppato. Bisogna essere consapevoli di non correre il rischio di “lavarci le mani” con una legge che dispensa dal duro e doveroso impegno di accompagnare chi vive in situazioni drammatiche».

Ci spiega?
«Tutti, comunque, siamo consapevoli che la morte, prima o poi arriva. In tal senso un conto è uccidere e un altro conto è lasciar morire. In questo contesto va evitato l’accanimento terapeutico, ossia una ostinazione sproporzionata dei trattamenti, come Papa Francesco ha recentemente chiarito. Il riferimento ai Comitati Etici deve essere chiarito e ampliato anche ad altre situazioni che riguardano l’etica della pratica clinica».

Ma in sostanza, ci spiega la Chiesa che cosa teme sull’argomento eutanasia?
«La Chiesa non ha interesse ad alcuna battaglia astratta. Come madre e maestra, così la chiama la tradizione cristiana, essa vuole difendere la dignità delle persone e di tutte, anche di quelle che non sono credenti, in qualsiasi condizione si trovino. E non può avallare che si tolga la vita a chiunque e, ovviamente, che nessuno se la tolga da se stesso. È persino ovvio che sia contraria all’eutanasia volontaria, pena una sua complicità alla disumanità».

(La Stampa)